Dario D'Alessandro, Silenzio in sala!: la biblioteca nel cinema
Main Article Content
Abstract
Dario D'Alessandro. Silenzio in sala!: la biblioteca nel cinema, presentazione di Morando Morandini. Roma: AIB, 2001. 221 p. ISBN 88-7812-073-1. Eur 16,52.
Una veste grafica inedita e piacevolmente accattivante, accompagnata dalla presentazione di un critico cinematografico autorevole come Morando Morandini, costituiscono il biglietto da visita di questa pubblicazione curata da Dario D'Alessandro. Un'opera «unica nel suo genere», come viene definita da Morandini. E, in effetti, si tratta della prima pubblicazione a stampa di questo tipo in Italia e di una delle poche che siano mai uscite anche in altri paesi. Come D'Alessandro evidenzia nella sua introduzione pare che il mondo bibliotecario stenti a manifestare interesse per la sua immagine riprodotta dal cinema, nonostante questa stessa immagine possa fornire spunti importanti per una riflessione di tipo sociologico sulla nostra professione. Ostacoli di tipo psicologico-relazionali e pratici spiegano, secondo l'autore, le cause di questa trascuratezza. Da un lato il bibliotecario si rapporta più naturalmente con la letteratura, essendo il libro tradizionalmente alla base del suo lavoro, ed oggetto sul quale «ha potere quasi assoluto» in quanto «lo sceglie, lo acquista, lo scheda»; dall'altro è solo recentemente che l'individuazione dei film sulle biblioteche è divenuta operazione agevole, grazie alla nascita di alcuni repertori bibliografici su Web e cartacei, come il presente Silenzio in sala!
Il volume è strutturato come una raccolta di schede sintetiche (ne sono incluse ben quattrocentosessantacinque), precedute da una corposa nota introduttiva dell'autore che evidenzia i criteri di selezione e presenta il lavoro svolto, con alcune riflessioni sui temi che emergono dall'analisi della rappresentazione della biblioteca nel cinema, e lo fa in maniera aneddotica e curiosa, corredando le affermazioni di percentuali e cifre relative alla presenta di tal o tal altro stereotipo o di un certo servizio di biblioteca. Scopriamo, per esempio, che nella prevalenza di bibliotecari timidi e dimessi, sovente anche frustrati, ve n'è un 20% che sono, invece, personaggi deviati, alcolizzati o assassini, e quasi tutti in film di provenienza europea o orientale, mentre gli americani sono connotati da un'assoluta normalità che evidenzia la diversa considerazione della biblioteca e del bibliotecario all'interno della società americana. Le bibliotecarie sono spesso belle e intelligenti, e questa immagine (fortunatamente) sembra pian piano prendere il posto dello stereotipo della zitella con occhiali e crocchia che tutti conosciamo.
Ancora, veniamo a sapere che tra le tipologie di biblioteca è la public library a dominare il grande schermo, e che la biblioteca più filmata è la New York Public Library, seguita dalla Library of Congress, mentre tra le europee prevale la British Library. E in Italia? Quattro nazionali (Napoli, Roma, Venezia e Torino), le universitarie di Ferrara (in Il giardino dei Finzi Contini) e di Pavia (Paura e amore) e le civiche di Trieste, Bergamo, Civitavecchia, oltre alla Biblioteca della Società di storia patria di Napoli. Italiano è anche il record dell'attore più coinvolto con le biblioteche, come bibliotecario o utente, che appartiene a Marcello Mastroianni.
D'Alessandro estende, poi, la sua indagine ai servizi bibliotecari e alle attività bibliotecarie (catalogazione e classificazione, raccolte speciali, manoscritti, incunaboli e rari, emeroteca, ragazzi, consultazione e prestito, servizi speciali) per rilevare (e farci rammaricare), per esempio, quanto sia più presente nei film americani la CDD o l'utilizzo del lettore di microfilm per la consultazione dei quotidiani. Analisi altrettanto minuziosa per altri aspetti della biblioteca, quali l'uso del telefono o di Internet, il silenzio, le deturpazioni, e per le varie tipologie di biblioteche (universitarie, carcerarie, di giornali, di studi legali, di castelli, di abbazie e monasteri).
Le schede, ordinate alfabeticamente in base al titolo italiano del film, ne presentano poi il titolo originale, il regista, il paese e l'anno di produzione, e una descrizione delle scene significative. Alla sezione centrale costituita dalle schede, segue una raccolta di illustrazioni a colori che riproducono alcune immagini tratte dai film del repertorio e una serie di locandine; vi sono poi un indice per titoli originali, un indice cronologico per titoli originali e un indice per registi, che agevolano la consultazione dell'opera.
Concludono il volume una ricca bibliografia di libri, riviste e siti Web, preceduta da due appendici: la prima è un elenco di film che dovrebbero contenere scene in biblioteca, ma che l'autore non ha avuto modo di visionare direttamente e di cui non ha avuto il riscontro in almeno tre delle fonti bibliografiche utilizzate nella ricerca; la seconda contiene i film che, seppur presenti nelle fonti utilizzate, per motivi diversi non sono stati inseriti nel repertorio; si tratta perlopiù di opere i cui protagonisti sono archivisti, documentalisti addetti al trattamento dei dati e non dei documenti e quelle figure ibride (ma è più esatto dire confuse) che il cinema spesso ci propone, proprio perché probabilmente manca della piena consapevolezza del lavoro del bibliotecario e delle differenze tra le varie attività legate al mondo dell'informazione, che pure sarebbe interessante analizzare, proprio per la loro ambiguità e indefinitezza.
È indubbio che sia ormai arrivata l'ora di una riconsiderazione dell'importanza del cinema come specchio in grado di riflettere la percezione che il grande pubblico ha della biblioteca. L'opera di D'Alessandro costituisce un'aggiunta importante in questa direzione proprio per l'esaustività che la contraddistingue. Uno strumento che di certo indurrà riflessioni nel lettore, soprattutto se bibliotecario, ma tanto più importante poiché, attraverso un mezzo di comunicazione universale come il cinema, apre una finestra sulla professione anche a chi bibliotecario non è. Riprendendo le parole di Morandini nella sua presentazione, è certo che «diventerà un libro di memorie» e, in quanto tale, non dovrebbe mancare nella libreria di ogni bibliotecario e, soprattutto, sugli scaffali di ogni biblioteca, dal momento che, aspirazione di ogni biblioteca è proprio, per citare un grande regista come Resnais, conservare «tutta la memoria del mondo».
Una veste grafica inedita e piacevolmente accattivante, accompagnata dalla presentazione di un critico cinematografico autorevole come Morando Morandini, costituiscono il biglietto da visita di questa pubblicazione curata da Dario D'Alessandro. Un'opera «unica nel suo genere», come viene definita da Morandini. E, in effetti, si tratta della prima pubblicazione a stampa di questo tipo in Italia e di una delle poche che siano mai uscite anche in altri paesi. Come D'Alessandro evidenzia nella sua introduzione pare che il mondo bibliotecario stenti a manifestare interesse per la sua immagine riprodotta dal cinema, nonostante questa stessa immagine possa fornire spunti importanti per una riflessione di tipo sociologico sulla nostra professione. Ostacoli di tipo psicologico-relazionali e pratici spiegano, secondo l'autore, le cause di questa trascuratezza. Da un lato il bibliotecario si rapporta più naturalmente con la letteratura, essendo il libro tradizionalmente alla base del suo lavoro, ed oggetto sul quale «ha potere quasi assoluto» in quanto «lo sceglie, lo acquista, lo scheda»; dall'altro è solo recentemente che l'individuazione dei film sulle biblioteche è divenuta operazione agevole, grazie alla nascita di alcuni repertori bibliografici su Web e cartacei, come il presente Silenzio in sala!
Il volume è strutturato come una raccolta di schede sintetiche (ne sono incluse ben quattrocentosessantacinque), precedute da una corposa nota introduttiva dell'autore che evidenzia i criteri di selezione e presenta il lavoro svolto, con alcune riflessioni sui temi che emergono dall'analisi della rappresentazione della biblioteca nel cinema, e lo fa in maniera aneddotica e curiosa, corredando le affermazioni di percentuali e cifre relative alla presenta di tal o tal altro stereotipo o di un certo servizio di biblioteca. Scopriamo, per esempio, che nella prevalenza di bibliotecari timidi e dimessi, sovente anche frustrati, ve n'è un 20% che sono, invece, personaggi deviati, alcolizzati o assassini, e quasi tutti in film di provenienza europea o orientale, mentre gli americani sono connotati da un'assoluta normalità che evidenzia la diversa considerazione della biblioteca e del bibliotecario all'interno della società americana. Le bibliotecarie sono spesso belle e intelligenti, e questa immagine (fortunatamente) sembra pian piano prendere il posto dello stereotipo della zitella con occhiali e crocchia che tutti conosciamo.
Ancora, veniamo a sapere che tra le tipologie di biblioteca è la public library a dominare il grande schermo, e che la biblioteca più filmata è la New York Public Library, seguita dalla Library of Congress, mentre tra le europee prevale la British Library. E in Italia? Quattro nazionali (Napoli, Roma, Venezia e Torino), le universitarie di Ferrara (in Il giardino dei Finzi Contini) e di Pavia (Paura e amore) e le civiche di Trieste, Bergamo, Civitavecchia, oltre alla Biblioteca della Società di storia patria di Napoli. Italiano è anche il record dell'attore più coinvolto con le biblioteche, come bibliotecario o utente, che appartiene a Marcello Mastroianni.
D'Alessandro estende, poi, la sua indagine ai servizi bibliotecari e alle attività bibliotecarie (catalogazione e classificazione, raccolte speciali, manoscritti, incunaboli e rari, emeroteca, ragazzi, consultazione e prestito, servizi speciali) per rilevare (e farci rammaricare), per esempio, quanto sia più presente nei film americani la CDD o l'utilizzo del lettore di microfilm per la consultazione dei quotidiani. Analisi altrettanto minuziosa per altri aspetti della biblioteca, quali l'uso del telefono o di Internet, il silenzio, le deturpazioni, e per le varie tipologie di biblioteche (universitarie, carcerarie, di giornali, di studi legali, di castelli, di abbazie e monasteri).
Le schede, ordinate alfabeticamente in base al titolo italiano del film, ne presentano poi il titolo originale, il regista, il paese e l'anno di produzione, e una descrizione delle scene significative. Alla sezione centrale costituita dalle schede, segue una raccolta di illustrazioni a colori che riproducono alcune immagini tratte dai film del repertorio e una serie di locandine; vi sono poi un indice per titoli originali, un indice cronologico per titoli originali e un indice per registi, che agevolano la consultazione dell'opera.
Concludono il volume una ricca bibliografia di libri, riviste e siti Web, preceduta da due appendici: la prima è un elenco di film che dovrebbero contenere scene in biblioteca, ma che l'autore non ha avuto modo di visionare direttamente e di cui non ha avuto il riscontro in almeno tre delle fonti bibliografiche utilizzate nella ricerca; la seconda contiene i film che, seppur presenti nelle fonti utilizzate, per motivi diversi non sono stati inseriti nel repertorio; si tratta perlopiù di opere i cui protagonisti sono archivisti, documentalisti addetti al trattamento dei dati e non dei documenti e quelle figure ibride (ma è più esatto dire confuse) che il cinema spesso ci propone, proprio perché probabilmente manca della piena consapevolezza del lavoro del bibliotecario e delle differenze tra le varie attività legate al mondo dell'informazione, che pure sarebbe interessante analizzare, proprio per la loro ambiguità e indefinitezza.
È indubbio che sia ormai arrivata l'ora di una riconsiderazione dell'importanza del cinema come specchio in grado di riflettere la percezione che il grande pubblico ha della biblioteca. L'opera di D'Alessandro costituisce un'aggiunta importante in questa direzione proprio per l'esaustività che la contraddistingue. Uno strumento che di certo indurrà riflessioni nel lettore, soprattutto se bibliotecario, ma tanto più importante poiché, attraverso un mezzo di comunicazione universale come il cinema, apre una finestra sulla professione anche a chi bibliotecario non è. Riprendendo le parole di Morandini nella sua presentazione, è certo che «diventerà un libro di memorie» e, in quanto tale, non dovrebbe mancare nella libreria di ogni bibliotecario e, soprattutto, sugli scaffali di ogni biblioteca, dal momento che, aspirazione di ogni biblioteca è proprio, per citare un grande regista come Resnais, conservare «tutta la memoria del mondo».
Article Details
Section
Recensioni e segnalazioni
This work is licensed under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License.