Gregory L. Reese - Ernestine L. Hawkins, Stop talking, start doing! Attracting people of color to the library profession

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Domenico Ciccarello

Abstract

Gregory L. Reese - Ernestine L. Hawkins. Stop talking, start doing! Attracting people of color to the library profession. Chicago: American Library Association, 1999. 176 p. ISBN 0-8389-0762-8. $ 30.
L'esclamare del titolo, man mano che leggo il volumetto, quasi per un effetto di transfert mi appare sempre più come un monito per i nostri amministratori, i nostri dirigenti, ma in definitiva anche per noi bibliotecari italiani (100% bianchi), ancora solo sfiorati dalla consapevolezza dell'urgenza di una workforce etnicamente diversificata nelle nostre biblioteche, soprattutto in quelle pubbliche locali. La provocazione dei due autori, ovviamente, si rivolge in realtà al mondo bibliotecario statunitense, ai responsabili della selezione di personale, ai docenti e ai ricercatori dei corsi accademici nel campo della biblioteconomia e della scienza dell'informazione. Il libro non si limita semplicemente a un invito a prendere in considerazione, nei criteri per il reclutamento, la ricchezza di risorse umane che può derivare da una composizione multietnica del personale. Piuttosto pone come un imperativo emergente, se si vuole, sia a livello di biblioteche pubbliche che universitarie, dare davvero risposte adeguate ai bisogni di informazione delle nostre società multiculturali, il raggiungimento di una coerenza soddisfacente tra obiettivi proposti e strumenti impiegati. Dal confronto di pochi dati, semplici, facilmente leggibili (aumento esponenziale della percentuale di immigrati nei Paesi economicamente floridi; alta incidenza, perlomeno negli Stati Uniti, di fattori quali bassa scolarizzazione e precarietà economico-sociale nel determinare la frequenza d'uso dei servizi offerti dalle biblioteche aperte al pubblico; tendenziale crescita del peso sociale assunto da ciascuna delle minoranze etniche presenti sul territorio, con conseguente accentuazione delle dinamiche di difesa, consapevolezza ed esternazione della propria identità culturale), Reese e Hawkins ricavano un quadro d'insieme piuttosto evidente a sostegno di una nuova e più coraggiosa metodologia di programmazione delle risorse umane in biblioteca, in cui la presenza di professionisti provenienti da un background etnico minoritario sia garantita in proporzione alla popolazione servita. Le cifre di partenza, citate nell'introduzione, parlano chiaro: le più grandi minoranze etniche degli Stati Uniti assommano a oltre un quarto della popolazione totale, tuttavia costituiscono appena il 10% dei laureati LIS. Non si tratta, evidentemente, del solo bisogno di una rappresentanza numerica nella professione. Le politiche di gestione del personale di provenienza etnica diversa hanno il duplice scopo di rendere i servizi bibliotecari più efficaci e rispondenti ai bisogni locali, e nello stesso tempo promuoverli ulteriormente. Così facendo possono attrarre alla biblioteca nuovi utenti, che incontrerebbero difficoltà molto maggiori ad utilizzarla se non vi trovassero fin dal primo contatto un ambiente familiare e rassicurante, e strumenti di orientamento e mediazione informativa adeguati, cioè anzitutto vicini al proprio retroterra etnico e linguistico.
Anche il Programma Biblioteche proclamato dal Dipartimento statunitense dell'Istruzione nel 1994, ampiamente richiamato dagli autori, enfatizza la necessaria contiguità tra i bisogni informativi specifici delle comunità locali e la biblioteca pubblica, a cui sono attribuite otto funzioni essenziali: 1) centro di sostegno all'istruzione per studenti di tutte le età; 2) centro di apprendimento in forma indipendente per discenti adulti; 3) centro di nuove esperienze e di apprendimento per bambini in età prescolare; 4) centro di ricerca per studiosi e ricercatori; 5) centro per l'informazione di comunità; 6) centro di informazione per le imprese locali; 7) ambiente accogliente e tranquillo per leggere e pensare; 8) centro di lettura, a scopo di svago, di materiali popolari. In tale contesto, l'analisi di comunità che di norma precede ogni attività di programmazione dei servizi e di costruzione delle raccolte potrà rivelare la configurazione etnico-demografica dell'area servita, nonché l'entità e la diversità dei bisogni di informazione di ciascuna delle minoranze di utenti, suggerendo ai responsabili del servizio bibliotecario, tra le altre cose, la necessità di attivare politiche di reclutamento di personale appartenente ai diversi gruppi culturali della comunità, e di prevedere un riposizionamento della struttura organizzativa e gestionale del personale secondo una linea efficace e coerente alle scelte adottate.Sebbene una tale necessità possa sembrare scontata, una buona parte del libro è dedicata alla manifesta denuncia di una sensibilità culturale in larga parte ancora da costruire nel mondo professionale statunitense, che da poco tempo, e con fatica, sta aprendo le porte al contributo dei bibliotecari di provenienza africana, asiatica, latino-americana. Reese e Hawkins raccontano nei particolari gli episodi di frustrazione di eccellenti bibliotecari di colore scartati sistematicamente nei colloqui di selezione per le offerte di lavoro, i casi di bibliotecari culturalmente diversi scartati, senza plausibile motivo nonostante la documentata esperienza professionale, dall'ammissione a scuole di specializzazione in discipline biblioteconomiche, e infine gli esempi di chi subisce, a causa della propria etnia, mobbing o marginalizzazione sul posto di lavoro. Qualcuno di loro finisce con amarezza per considerare la professione bibliotecaria «the whitest industry in America». A dimostrazione di quanto cammino rimanga ancora da percorrere, in appendice all'opera alcune tabelle illustrano la quantità di studenti iscritti ai diversi livelli di corsi accademici LIS, suddivisi per etnia e per Stato in cui studiano, e forniscono analoghi dati riassuntivi sulla composizione etnica delle varie fasce di docenti.
L'American Library Association, tuttavia, è oggi molto meglio attrezzata che in passato per affrontare tutte queste istanze. Nella sua struttura hanno un posto di rilievo i Caucases, organizzazioni di bibliotecari dedicate a sostenere la causa di ciascuna delle minoranze etniche, presenti in ogni Stato e sostenute, a livello centrale, dall'OLOS (Office for Literacy and Outreach Services), che ha il ruolo di promuovere l'equità di accesso all'informazione, in particolare per i gruppi socialmente più svantaggiati. Qualche anno fa, inoltre, l'ALA con successo ha finanziato, con un milione e mezzo di dollari, un programma triennale denominato Spectrum, finalizzato proprio al reclutamento di bibliotecari delle minoranze etniche, attraverso l'erogazione di contributi a una serie di scuole di biblioteconomia appositamente consorziate, che a loro volta hanno assegnato borse di studio per facilitare la frequenza dei Master a studenti di etnia non statunitense. E il titolo stesso del volume, Stop talking, start doing, allude al titolo di un workshop tenuto annualmente dal Chapter Relations Office dell'Associazione americana, a partire dal 1994, sui temi della diversità etnica del personale bibliotecario. Ripongo il volumetto preso di nuovo dal dubbio iniziale, chiedendomi cioè cosa si aspetta a porre seriamente la questione del reclutamento multiculturale anche nel nostro "bel" paese. A mia notizia, si contano sulle dita di una mano le biblioteche italiane che, prima che altri aprano la discussione, e a dispetto dell'infelice legislazione esistente, hanno iniziato a fare.

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