A.C. Foskett, Il soggetto
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Abstract
A.C. Foskett. Il soggetto, traduzione di Leda Bultrini. Milano: Editrice Bibliografica, 2001. 518 p. ISBN 88-7075-554-1.
The subject approach to information di Foskett ha avuto grande diffusione fin dalla sua prima edizione (1969), che Ranganathan fece in tempo a conoscere e ad apprezzare; la quinta edizione, molto attesa, uscì nel 1996 (se ne può vedere la recensione di Stefano Tartaglia in questo stesso "Bollettino AIB", 36, 1996, n. 4, p. 455-456). Ne esce ora la traduzione italiana, senza indicazione sul frontespizio del numero di edizione, come secondo volume della collana "I manuali della biblioteca". L'autore, docente all'Università dell'Australia Meridionale, ad Adelaide, inizia il suo lavoro con la citazione di una frase, "Un altro maledetto libro grande e grosso", pronunciata dal duca di Gloucester all'apparire del Declino e caduta dell'impero romano di Gibbon: citazione opportuna per i pericoli che presenta la parola chiave, in quanto l'opera, che termina con la caduta di Costantinopoli, è in buona parte una storia dell'impero bizantino. Non so se la citazione nella sua ironia abbia anche un riferimento al conflitto tra soggetto e parola chiave, ma è certo che l'ironia traspare in più di un punto di questo lavoro, come (p. 375-376) nell'accenno alla complessità della notazione nella Classificazione Colon (che nulla toglie all'apprezzamento per quella classificazione); il senso dell'ironia non è disgiunto dall'entusiasmo per il lavoro dell'indicizzatore, a conferma di una partecipazione non asettica dell'autore. Così, a proposito dell'Art and architecture thesaurus, egli osserva che "è bello vedere queste regole e queste procedure enunciate con chiarezza e rispettate!" (p. 474).
Le differenze riguardo all'edizione precedente sono rimarchevoli. Come avverte l'autore stesso nella nuova prefazione, l'ormai lontana quarta edizione, del 1982, "è stata riscritta" per la maggior parte, pur se la struttura rimane inalterata, e con essa l'intendimento dell'opera, non volta unicamente al lavoro tradizionale del bibliotecario catalogatore, che individua e inserisce i dati, ma anche al funzionamento dei mezzi che li trasmettono e ne permettono il recupero: in effetti il titolo originale rende il duplice aspetto dell'opera con maggiore evidenza del titolo italiano. È questa la ragione più evidente dei mutamenti tra le edizioni: accanto agli aspetti teorici sono presentate infatti le soluzioni offerte dai linguaggi e dagli archivi di dati. I quali si modificano e si rinnovano con una rapidità maggiore dei pur tutt'altro che immutati aspetti teorici; il semplice confronto della lista delle abbreviazioni rivela che molte sono scomparse dall'edizione precedente, mentre altre se ne sono aggiunte. Il che lascia una qualche sensazione di incompletezza a una traduzione che esce cinque anni dopo l'originale. Volutamente, spiega Foskett nella prefazione, ha trascurato tecniche superate, come l'indicizzazione postcoordinata in ambiente manuale: manca così qualsiasi accenno alle schede a coincidenza ottica (uniterm, peek-a-boo): il nome di Taube risulta solo in una citazione bibliografica.
Mai è dimenticata la finalità dell'indicizzazione: con la potenzialità offerta dalla rete informatica, finalmente "i bibliotecari cominciano a rendersi conto che nel passato avrebbero dovuto dedicare più tempo a spiegare come usare il materiale di consultazione a stampa" (p. 491). E i cataloghi, aggiungo. Il confronto riprende un tema che Foskett considera già in precedenza, quando riconosce che sono trascorsi i tempi "in cui i catalogatori potevano starsene seduti in una stanza dietro le quinte, senza aver incontrato le persone che si supponeva stessero aiutando" (p. 153). In realtà a mio avviso il problema di base non cambia: cambiano le modalità della scelta, dell'immissione e del recupero dei dati, ma l'esigenza di non ignorare le reazioni degli utenti, con una retroazione destinata anche a influire su quelle stesse modalità, permane immutata. Oggi questa esigenza si è fatta più evidente, ma non è nuova, perché il distacco dal pubblico è pur sempre drammatico. Ed è proprio la necessità del recupero nelle condizioni ottimali, avverte Foskett, a far considerare essenziale l'opera dell'indicizzatore nel mondo attuale: la risposta alla domanda è "un sonoro sì" (p. 10). In questo si vede la convinzione di quanto sia necessario valorizzare una professionalità che gli sviluppi della tecnologia non possono vanificare: come avverte la traduttrice nella Premessa all'edizione italiana, "la potenzialità, ma anche i limiti" della tecnologia non devono far trascurare le competenze professionali. L'invecchiamento dei cataloghi è una realtà di sempre, ma la celerità del cambiamento aggrava il problema odierno: "La velocità del cambiamento è essa stessa crescente e invece noi siamo ancora vincolati da schemi di pensiero del passato". Questo vale in particolare per la classificazione, per la quale "gli approcci tradizionali non servono come base utile per collocare nuovi soggetti interdisciplinari, in relazione alle discipline dalle quali essi originano" (p. 222). D'altronde è evidente l'importanza di adottare le modificazioni introdotte dalle edizioni successive di una classificazione, in quanto "la disponibilità crescente di servizi informatizzati fa sì che oggi le biblioteche debbano affrontare una competizione molto dura per la fornitura di informazioni e sarebbe miope ignorarlo" (p. 254-255).
La prima parte è dedicata ai sistemi di recupero dell'informazione, dove ampio spazio occupa la ricerca per parole chiave, alla quale seguono gli aspetti semantici e quelli sintattici dell'indicizzazione controllata, dove sono posti in evidenza i vantaggi dello schema sintetico rispetto a quello enumerativo. Da notare che l'esaustività è posta in relazione con la quantità di soggetti rilevata in un documento e non con i concetti rilevati in un soggetto (in quest'ultimo caso preferirei parlare di specificità sintattica). Il vantaggio delle relazioni tesaurali (con l'aggiunta di SA per casi particolari) è riconosciuto, pure con l'ammissione della difficoltà di segnalare in maniera non casuale le relazioni non gerarchiche, mentre si ammette l'importanza degli indicatori di ruolo per evidenziare la categoria di appartenenza di un termine nel caso specifico. Foskett attribuisce molta importanza all'ordinamento sintattico, al fine di "assicurare che lo stesso soggetto composto sia trattato sempre nello stesso modo, indipendentemente da come possa essere espresso nel linguaggio naturale" (p. 135). La coerenza deve essere supportata da regole, non senza "tener presente che un ordine di citazione fisso può presentare dei problemi, specialmente nell'ordinamento sistematico" (p. 136).
La seconda e la terza parte sono dedicate ai sistemi e ai linguaggi dell'indicizzazione precoordinata. Foskett avverte la difficoltà della coerenza nelle registrazioni per soggetto (alfabetico o classificato) e conferma quanto valeva anche per il catalogo cartaceo, che "l'accesso per soggetto agli OPAC è inadeguato per qualunque ricerca che non sia del tipo più semplice" (p. 283). A questo proposito Foskett riprende autorevolmente i noti inconvenienti sulla scarsa probabilità che i termini immessi nel sistema corrispondano a quelli cercati, poiché manca nel pubblico la consapevolezza che si tratta di un linguaggio artificiale. Con il collegamento in linea la media della corrispondenza, avverte l'autore, potrebbe aumentare. Quanto alla classificazione in particolare non manca l'apprezzamento per la Classificazione bibliografica di Bliss, dandosi per scontata la sua applicazione molto limitata: "Certamente le scuole di biblioteconomia che vogliono illustrare la classificazione analitico-sintetica dovrebbero assumerla come il modello di gran lunga migliore" (p. 355). Foskett evidenzia inoltre la possibilità di utilizzarne l'indice per la compilazione di un thesaurus. Ampio spazio Foskett assegna anche alla Classificazione Colon la cui notazione, come abbiamo visto, appare eccessivamente complessa senza peraltro intaccare la validità della struttura: come avverte in altro punto dell'opera (p. 225), la notazione di una classificazione infatti è da considerarsi separata e conseguente allo schema, al quale si attribuiscono a volte inconvenienti che stanno nella notazione; comunque, la continuazione migliore della CC è vista nella seconda edizione della Classificazione bibliografica e nel lavoro del Classification Research Group. Foskett è ottimista anche sul futuro della CDU, della quale si era già interessato in una pubblicazione del 1973, che si avvia a una struttura completamente a faccette e con un perfezionamento delle tavole ausiliarie.
La quarta parte, dedicata ai linguaggi di indicizzazione postcoordinata, considera i thesauri in lingua inglese più noti (Foskett osserva giustamente che sovente è difficile distinguere un thesaurus da un soggettario), tra i quali è dato rilievo particolare al MeSH (Medical subject headings), mentre il capitolo finale, intitolato Il futuro, è del tutto nuovo ed è dedicato alle biblioteche digitali, al posto dell'ultimo capitolo dell'edizione precedente, che era dedicato alla valutazione dei sistemi di recupero delle informazioni. Qui il discorso si allarga ai compiti del bibliotecario e all'invito a organizzare le informazioni contenute in Internet. I rapporti con la scuola, in particolare con l'università, comportano l'idea che "il bibliotecario potrebbe diventare parte integrante del programma di insegnamento" (p. 490). È questa una convinzione ampiamente condivisa da chi si interessa ai rapporti della biblioteca accademica con i docenti.
La traduzione ha affrontato un testo ampio e complesso, dove la difficoltà più evidente sta nella presentazione in maniera coerente delle numerose esemplificazioni dell'originale, che nel testo italiano non sono rese in modo costante, e nella resa di certe espressioni non ancora stabilizzate nella nostra letteratura professionale: come tradurre quel futility point, che io renderei con limite di utilità, altrettanto instabile peraltro di punto di futilità? La traduzione italiana della CDD è stata utilizzata convenientemente, ma non poteva offrire tutte le soluzioni. L'edizione italiana, il cui testo in genere scorrevole rende bene l'originale superando di solito anche le difficoltà del linguaggio tecnico, non è esente da errori non infrequenti che in quei casi rendono invece il testo poco comprensibile.
Se si considerano, ad esempio, i capitoli sulla Classificazione decimale universale e sulla Classificazione Colon si noteranno punti che non lasciano comprendere il testo, come l'improbabile data iniziale 1884 (favorita da un errore di stampa dell'originale, 1984), da correggere in 1894, seguita poco dopo da una decima edizione che in realtà è la quinta (p. 333). Nel capitolo sulla Classificazione Colon risulta che Ranganathan a Londra si dedicò "a una serie di letture di lavori di W.C. Berwick Sayers", che in realtà erano lezioni o conferenze (lecture significa conferenza, mentre conference significa congresso e non conferenza, come tradotto altrove). Poco oltre non si comprende perché Ranganathan, di ritorno in India, "come gli altri indiani a bordo e solo loro", fosse in grado di portare avanti il suo lavoro senza essere disturbato dagli altri passeggeri. Invece, "siccome era il solo indiano a bordo, poté ecc.". La seconda edizione della CC è del 1939, non del 1950. E non la virgola, ma i due punti hanno dato il nome a quella classificazione (p. 369-370). È un esempio di sviste che una lettura attenta delle bozze avrebbe permesso di correggere, insieme con una quantità troppo rilevante di refusi.
The subject approach to information di Foskett ha avuto grande diffusione fin dalla sua prima edizione (1969), che Ranganathan fece in tempo a conoscere e ad apprezzare; la quinta edizione, molto attesa, uscì nel 1996 (se ne può vedere la recensione di Stefano Tartaglia in questo stesso "Bollettino AIB", 36, 1996, n. 4, p. 455-456). Ne esce ora la traduzione italiana, senza indicazione sul frontespizio del numero di edizione, come secondo volume della collana "I manuali della biblioteca". L'autore, docente all'Università dell'Australia Meridionale, ad Adelaide, inizia il suo lavoro con la citazione di una frase, "Un altro maledetto libro grande e grosso", pronunciata dal duca di Gloucester all'apparire del Declino e caduta dell'impero romano di Gibbon: citazione opportuna per i pericoli che presenta la parola chiave, in quanto l'opera, che termina con la caduta di Costantinopoli, è in buona parte una storia dell'impero bizantino. Non so se la citazione nella sua ironia abbia anche un riferimento al conflitto tra soggetto e parola chiave, ma è certo che l'ironia traspare in più di un punto di questo lavoro, come (p. 375-376) nell'accenno alla complessità della notazione nella Classificazione Colon (che nulla toglie all'apprezzamento per quella classificazione); il senso dell'ironia non è disgiunto dall'entusiasmo per il lavoro dell'indicizzatore, a conferma di una partecipazione non asettica dell'autore. Così, a proposito dell'Art and architecture thesaurus, egli osserva che "è bello vedere queste regole e queste procedure enunciate con chiarezza e rispettate!" (p. 474).
Le differenze riguardo all'edizione precedente sono rimarchevoli. Come avverte l'autore stesso nella nuova prefazione, l'ormai lontana quarta edizione, del 1982, "è stata riscritta" per la maggior parte, pur se la struttura rimane inalterata, e con essa l'intendimento dell'opera, non volta unicamente al lavoro tradizionale del bibliotecario catalogatore, che individua e inserisce i dati, ma anche al funzionamento dei mezzi che li trasmettono e ne permettono il recupero: in effetti il titolo originale rende il duplice aspetto dell'opera con maggiore evidenza del titolo italiano. È questa la ragione più evidente dei mutamenti tra le edizioni: accanto agli aspetti teorici sono presentate infatti le soluzioni offerte dai linguaggi e dagli archivi di dati. I quali si modificano e si rinnovano con una rapidità maggiore dei pur tutt'altro che immutati aspetti teorici; il semplice confronto della lista delle abbreviazioni rivela che molte sono scomparse dall'edizione precedente, mentre altre se ne sono aggiunte. Il che lascia una qualche sensazione di incompletezza a una traduzione che esce cinque anni dopo l'originale. Volutamente, spiega Foskett nella prefazione, ha trascurato tecniche superate, come l'indicizzazione postcoordinata in ambiente manuale: manca così qualsiasi accenno alle schede a coincidenza ottica (uniterm, peek-a-boo): il nome di Taube risulta solo in una citazione bibliografica.
Mai è dimenticata la finalità dell'indicizzazione: con la potenzialità offerta dalla rete informatica, finalmente "i bibliotecari cominciano a rendersi conto che nel passato avrebbero dovuto dedicare più tempo a spiegare come usare il materiale di consultazione a stampa" (p. 491). E i cataloghi, aggiungo. Il confronto riprende un tema che Foskett considera già in precedenza, quando riconosce che sono trascorsi i tempi "in cui i catalogatori potevano starsene seduti in una stanza dietro le quinte, senza aver incontrato le persone che si supponeva stessero aiutando" (p. 153). In realtà a mio avviso il problema di base non cambia: cambiano le modalità della scelta, dell'immissione e del recupero dei dati, ma l'esigenza di non ignorare le reazioni degli utenti, con una retroazione destinata anche a influire su quelle stesse modalità, permane immutata. Oggi questa esigenza si è fatta più evidente, ma non è nuova, perché il distacco dal pubblico è pur sempre drammatico. Ed è proprio la necessità del recupero nelle condizioni ottimali, avverte Foskett, a far considerare essenziale l'opera dell'indicizzatore nel mondo attuale: la risposta alla domanda è "un sonoro sì" (p. 10). In questo si vede la convinzione di quanto sia necessario valorizzare una professionalità che gli sviluppi della tecnologia non possono vanificare: come avverte la traduttrice nella Premessa all'edizione italiana, "la potenzialità, ma anche i limiti" della tecnologia non devono far trascurare le competenze professionali. L'invecchiamento dei cataloghi è una realtà di sempre, ma la celerità del cambiamento aggrava il problema odierno: "La velocità del cambiamento è essa stessa crescente e invece noi siamo ancora vincolati da schemi di pensiero del passato". Questo vale in particolare per la classificazione, per la quale "gli approcci tradizionali non servono come base utile per collocare nuovi soggetti interdisciplinari, in relazione alle discipline dalle quali essi originano" (p. 222). D'altronde è evidente l'importanza di adottare le modificazioni introdotte dalle edizioni successive di una classificazione, in quanto "la disponibilità crescente di servizi informatizzati fa sì che oggi le biblioteche debbano affrontare una competizione molto dura per la fornitura di informazioni e sarebbe miope ignorarlo" (p. 254-255).
La prima parte è dedicata ai sistemi di recupero dell'informazione, dove ampio spazio occupa la ricerca per parole chiave, alla quale seguono gli aspetti semantici e quelli sintattici dell'indicizzazione controllata, dove sono posti in evidenza i vantaggi dello schema sintetico rispetto a quello enumerativo. Da notare che l'esaustività è posta in relazione con la quantità di soggetti rilevata in un documento e non con i concetti rilevati in un soggetto (in quest'ultimo caso preferirei parlare di specificità sintattica). Il vantaggio delle relazioni tesaurali (con l'aggiunta di SA per casi particolari) è riconosciuto, pure con l'ammissione della difficoltà di segnalare in maniera non casuale le relazioni non gerarchiche, mentre si ammette l'importanza degli indicatori di ruolo per evidenziare la categoria di appartenenza di un termine nel caso specifico. Foskett attribuisce molta importanza all'ordinamento sintattico, al fine di "assicurare che lo stesso soggetto composto sia trattato sempre nello stesso modo, indipendentemente da come possa essere espresso nel linguaggio naturale" (p. 135). La coerenza deve essere supportata da regole, non senza "tener presente che un ordine di citazione fisso può presentare dei problemi, specialmente nell'ordinamento sistematico" (p. 136).
La seconda e la terza parte sono dedicate ai sistemi e ai linguaggi dell'indicizzazione precoordinata. Foskett avverte la difficoltà della coerenza nelle registrazioni per soggetto (alfabetico o classificato) e conferma quanto valeva anche per il catalogo cartaceo, che "l'accesso per soggetto agli OPAC è inadeguato per qualunque ricerca che non sia del tipo più semplice" (p. 283). A questo proposito Foskett riprende autorevolmente i noti inconvenienti sulla scarsa probabilità che i termini immessi nel sistema corrispondano a quelli cercati, poiché manca nel pubblico la consapevolezza che si tratta di un linguaggio artificiale. Con il collegamento in linea la media della corrispondenza, avverte l'autore, potrebbe aumentare. Quanto alla classificazione in particolare non manca l'apprezzamento per la Classificazione bibliografica di Bliss, dandosi per scontata la sua applicazione molto limitata: "Certamente le scuole di biblioteconomia che vogliono illustrare la classificazione analitico-sintetica dovrebbero assumerla come il modello di gran lunga migliore" (p. 355). Foskett evidenzia inoltre la possibilità di utilizzarne l'indice per la compilazione di un thesaurus. Ampio spazio Foskett assegna anche alla Classificazione Colon la cui notazione, come abbiamo visto, appare eccessivamente complessa senza peraltro intaccare la validità della struttura: come avverte in altro punto dell'opera (p. 225), la notazione di una classificazione infatti è da considerarsi separata e conseguente allo schema, al quale si attribuiscono a volte inconvenienti che stanno nella notazione; comunque, la continuazione migliore della CC è vista nella seconda edizione della Classificazione bibliografica e nel lavoro del Classification Research Group. Foskett è ottimista anche sul futuro della CDU, della quale si era già interessato in una pubblicazione del 1973, che si avvia a una struttura completamente a faccette e con un perfezionamento delle tavole ausiliarie.
La quarta parte, dedicata ai linguaggi di indicizzazione postcoordinata, considera i thesauri in lingua inglese più noti (Foskett osserva giustamente che sovente è difficile distinguere un thesaurus da un soggettario), tra i quali è dato rilievo particolare al MeSH (Medical subject headings), mentre il capitolo finale, intitolato Il futuro, è del tutto nuovo ed è dedicato alle biblioteche digitali, al posto dell'ultimo capitolo dell'edizione precedente, che era dedicato alla valutazione dei sistemi di recupero delle informazioni. Qui il discorso si allarga ai compiti del bibliotecario e all'invito a organizzare le informazioni contenute in Internet. I rapporti con la scuola, in particolare con l'università, comportano l'idea che "il bibliotecario potrebbe diventare parte integrante del programma di insegnamento" (p. 490). È questa una convinzione ampiamente condivisa da chi si interessa ai rapporti della biblioteca accademica con i docenti.
La traduzione ha affrontato un testo ampio e complesso, dove la difficoltà più evidente sta nella presentazione in maniera coerente delle numerose esemplificazioni dell'originale, che nel testo italiano non sono rese in modo costante, e nella resa di certe espressioni non ancora stabilizzate nella nostra letteratura professionale: come tradurre quel futility point, che io renderei con limite di utilità, altrettanto instabile peraltro di punto di futilità? La traduzione italiana della CDD è stata utilizzata convenientemente, ma non poteva offrire tutte le soluzioni. L'edizione italiana, il cui testo in genere scorrevole rende bene l'originale superando di solito anche le difficoltà del linguaggio tecnico, non è esente da errori non infrequenti che in quei casi rendono invece il testo poco comprensibile.
Se si considerano, ad esempio, i capitoli sulla Classificazione decimale universale e sulla Classificazione Colon si noteranno punti che non lasciano comprendere il testo, come l'improbabile data iniziale 1884 (favorita da un errore di stampa dell'originale, 1984), da correggere in 1894, seguita poco dopo da una decima edizione che in realtà è la quinta (p. 333). Nel capitolo sulla Classificazione Colon risulta che Ranganathan a Londra si dedicò "a una serie di letture di lavori di W.C. Berwick Sayers", che in realtà erano lezioni o conferenze (lecture significa conferenza, mentre conference significa congresso e non conferenza, come tradotto altrove). Poco oltre non si comprende perché Ranganathan, di ritorno in India, "come gli altri indiani a bordo e solo loro", fosse in grado di portare avanti il suo lavoro senza essere disturbato dagli altri passeggeri. Invece, "siccome era il solo indiano a bordo, poté ecc.". La seconda edizione della CC è del 1939, non del 1950. E non la virgola, ma i due punti hanno dato il nome a quella classificazione (p. 369-370). È un esempio di sviste che una lettura attenta delle bozze avrebbe permesso di correggere, insieme con una quantità troppo rilevante di refusi.
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