Costruire nuove biblioteche o costruire un nuovo modo di essere biblioteche? Un percorso italiano attraverso 19 interviste

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Anna Galluzzi

Abstract

Gli ultimi quindici anni sono stati caratterizzati in tutto il mondo occidentale - e non solo - da una grande spinta alla costruzione di nuove biblioteche, soprattutto pubbliche, ma anche universitarie e di altre tipologie, o alla ristrutturazione di edifici storici allo scopo di garantire sedi più ampie a biblioteche preesistenti o a biblioteche di nuova istituzione. Le pagine delle riviste professionali - anche italiane - ormai non mancano di dedicare ad ogni numero spazi sempre più ampi alle nuove realizzazioni bibliotecarie, alle loro innovazioni biblioteconomiche, ai loro successi in termini di pubblico, alla bellezza delle loro linee architettoniche, alla gradevolezza degli interni. Questa tendenza, che si è andata confermando anche negli ultimissimi anni, contribuisce a rassicurare i bibliotecari sul fatto che, nonostante la "convergenza al digitale" dei contenuti informativi e la virtualizzazione dei servizi, le biblioteche continuano ad essere considerate essenziali per l'armonioso sviluppo di una comunità e non c'è alcun rischio di una loro scomparsa o marginalizzazione. In questa convinzione risiede probabilmente una parte di verità. D'altra parte, non si può fare a meno di sottolineare che la maggior parte degli interventi architettonici che hanno riguardato le biblioteche sono inserite all'interno di progetti urbanistici più ampi e sono spesso il risultato di una felice coincidenza tra politiche nazionali e iniziative locali e tra politiche sociali e urbanistiche generali e scelte più strettamente culturali e bibliotecarie. In sostanza, il fervore di realizzazione di nuove biblioteche che si è registrato negli ultimi anni matura, più che all'interno di un rinnovato interesse per le biblioteche, all'interno del tentativo delle città - grandi soprattutto, ma anche medio-piccole - di ridare vitalità agli spazi pubblici, riconquistando quella parte dei cittadini ormai inevitabilmente attratta dagli spazi privati e dalle cittadelle dello shopping, facendo appello in alcuni casi a un'idea del tutto teorica della biblioteca. I governi cittadini, soprattutto in quelle città la cui economia è fondata sui flussi, sono fortemente impegnati nel cercare di attirare nuovamente i residenti e le diverse categorie di popolazioni in movimento nei centri storici o nei nodi urbanistici rivitalizzati, anche puntando su architetture innovative e spettacolari. È essenziale che biblioteche e bibliotecari non si lascino sfuggire questa occasione e confermino, giorno dopo giorno, a cittadini e amministratori la bontà della scelta di costruire una biblioteca piuttosto che, ad esempio, un centro sportivo, indipendentemente dalle motivazioni iniziali che hanno spinto in quella direzione piuttosto che in un'altra. In alcuni casi le biblioteche ne sono perfettamente consapevoli, come ad esempio emerge dall'intervista a Cecilia Cognigni per le biblioteche comunali torinesi, la cui progettazione - soprattutto nelle periferie - ha inteso dare un apporto specifico ai processi di riqualificazione urbana e culturale della città di Torino, e dall'intervista ad Antonella Agnoli in riferimento alle finalità iniziali di rilancio dell'area urbana che stavano alla base dell'intervento sul San Giovanni di Pesaro.

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