In questo volume sono raccolti alcuni saggi di bibliotecari e docenti di biblioteconomia americani sui temi del multiculturalismo e della differenza e sul loro rapporto con il mondo delle biblioteche. Benché sia rivolto in particolare ai bibliotecari dell'università, può incontrare l'interesse anche dei bibliotecari delle biblioteche pubbliche, se è vero, come sostiene Mark Winston, curatore dell'opera, che la differenza è una priorità in biblioteconomia. Sappiamo infatti dal testo delle Raccomandazioni per le biblioteche pubbliche dell'IFLA e da quello del Manifesto Unesco, quanto il riconoscimento della diversità dentro e fuori la biblioteca costituisca uno dei tratti essenziali della nostra mission. Il tema del multiculturalismo in particolare, nel senso ristretto dell'incontro tra una molteplicità di culture etniche differenti, viene presentato come parte del concetto di differenza e cioè di tutte quelle realtà e culture che chiamiamo "diverse": culture etniche di minoranza, culture della differenza sessuale, culture dell'handicap ecc.
Questo tema viene affrontato in modo decisamente innovativo anche rispetto alla pubblicazione IFLA del '92 Multicultural librarianship: an international handbook, che continua ad essere un punto di riferimento irrinunciabile per chi si avvicina a questi temi. Per chiarire meglio il contributo che il volume offre alla discussione sul multiculturalismo e le biblioteche, mi sembra opportuno confrontarlo con la pubblicazione dell'IFLA sopra citata, tanto diversa per struttura e finalità. In Multicultural librarianship è considerato prioritario un approccio alla questione del multiculturalismo che parta dalla considerazione dei bisogni degli utenti e dai diversi aspetti strutturali del servizio, mentre in questo libro il tratto più interessante è costituito dall'attenzione riservata ai problemi organizzativi del personale, al management e al lavoro di staff. In Multicultural librarianship, invece, la questione dell'organizzazione delle risorse umane e del reclutamento dello staff interno costituisce un tema collaterale.
Questo volume risente della situazione sociale e politica degli Stati Uniti e in particolare è collegato alle politiche sociali e istituzionali perseguite dal Governo dagli anni Sessanta ad oggi. Mette a fuoco il passaggio dalla affirmative action, e cioè dall'impegno delle istituzioni americane per incrementare le opportunità educative e professionali per i membri dei diversi gruppi minoritari, al diversity management, che si è imposto dopo il governo Reagan, quando si iniziarono progressivamente a ridurre gli interventi dello Stato e delle istituzioni in questo campo. Nonostante i molti stimoli offerti al lettore, visto il suo stretto legame con la realtà americana può non incontrare il pieno interesse del lettore italiano, ma tuttavia, resta un punto di riferimento importante per il dibattito internazionale, per la ricchezza di riferimenti bibliografici e per le tante informazioni che contiene. Anzi, direi che proprio per questo ci fa sentire pienamente quanto la biblioteconomia italiana sia ancora lontana dall'aver avviato una riflessione completa sui temi in questione, nonostante i rapidi mutamenti del tessuto sociale e culturale avvenuti negli ultimi anni nel nostro paese. La complessità del volume e la sua struttura a più voci richiedono, comunque, una presentazione più dettagliata, almeno degli articoli più significativi.
Nel primo saggio DeEtta Jones della Association of Research Libraries introduce il concetto di diversità attraverso la definizione dei termini di equità e pluralismo culturale, fornendo così il quadro teorico di riferimento per tutti i contributi successivi. L'autrice considera l'educazione multiculturale un concetto cardine perché aiuta a riscoprire il valore delle proprie radici culturali e invita al riconoscimento delle altre culture, partendo dall'assunto che nessuna può essere considerata superiore a un'altra. Lorna Peterson, professore associato alla State University of New York di Buffalo, ci fornisce alcuni dati statistici elaborati dall'ALISE (Association for Library and Information Science Education) per il 1991-1992 e il 1995-1996, che ci danno un'idea dell'esiguo numero di studenti di biblioteconomia e di bibliotecari appartenenti a minoranze etniche e ci informa, più in generale, della scarsa attenzione riservata dalla biblioteconomia ufficiale delle università ai temi del multiculturalismo.
Altri dati statistici sul numero di direttori di biblioteche appartenenti a minoranze etniche e fasce svantaggiate di popolazione ci vengono presentati da Deborah R. Hollis, bibliotecaria presso l'Università del Colorado a Boulder. Dall'analisi di questi prospetti statistici, che si riferiscono a un campione di 86 biblioteche universitarie, si evince che il numero delle donne che occupano ruoli di responsabilità in biblioteca, negli ultimi venti anni, è notevolmente aumentato, mentre è ancora molto scarsa la presenza di uomini e donne di colore. L'articolo di James F. Williams II, responsabile del Servizio biblioteche della Colorado University, entra nel cuore del problema sostenendo che prima nelle università e poi nelle biblioteche è necessario creare una cultura dell'organizzazione che tenga conto della diversity e che coinvolga tutti i membri dello staff della biblioteca perché ognuno sia messo in condizione di riflettere sui suoi pregiudizi e sulle sue credenze in tema di minoranze e intercultura. E per una biblioteca che voglia sviluppare un library's diversity program è indispensabile lavorare per potenziare le possibilità occupazionali e di studio per le minoranze, attraverso la promozione di viaggi studio e stage, anche per studenti di biblioteconomia provenienti dai paesi e dai contesti socio-culturali più diversi.
Uno strumento strategico, che può essere utilizzato in biblioteca per creare questa nuova cultura dell'organizzazione e per migliorare e accrescere l'accettazione delle differenze sul posto di lavoro, è il diversity dialogue group che consiste, come ci riferisce Janice Simmons Welburn delle biblioteche dell'Università dell'Iowa, in un gruppo di persone che si incontrano volontariamente per discutere e confrontarsi e che attraverso il dialogo cercano di identificare e superare i propri stereotipi culturali, riconoscendo le reciproche differenze. Partecipare sul posto di lavoro a un diversity dialogue group stimola il senso di responsabilità individuale e l'autoconsapevolezza. I singoli partecipanti possono provenire da differenti settori di una stessa organizzazione, ad esempio dalle singole facoltà e dalle biblioteche dell'università, ma questa tecnica può essere utilizzata anche all'interno della biblioteca stessa. Il dialogo può creare fruttuosi scambi stimolando, ad esempio tra biblioteche e università, una revisione dei modi in cui si stabiliscono gli ordini gerarchici della conoscenza.
Particolarmente interessanti l'excursus sulle iniziative e i programmi del Governo e delle diverse associazioni professionali, presentatici da Teresa Y. Neely della Morgan Library della Colorado State University, e l'esperienza sul campo effettuata dalla Oberlin College Library, riferita da Haipeng Li. Tra le iniziative e i programmi nazionali va segnalata SI (Spectrum Initiative) dell'ALA, progetto pensato per attrarre studenti di colore verso la professione di bibliotecario, grazie all'attivazione di borse di studio. Dall'articolo della Neely veniamo a conoscenza dei programmi delle associazioni bibliotecarie statunitensi affiliate dell'ALA e rappresentative di minoranze etniche, quali l'American Indian Library Association oppure la Chinese American Library Association. Se è vero che il concetto di differenza è stato interpretato nel mondo in modo diverso in paesi diversi e in contesti socio-culturali differenti, come ci spiega Jose A. Aguinaga, bibliotecario presso l'Università di San Diego, per esempio usando concetti come quello di melting pot per la società statunitense o usando la metafora del "mosaico" per quella canadese, ormai ovunque, per la nostra professione, impostare intorno al tema della diversity le politiche dei nostri servizi, è diventato un compito irrinunciabile.
La definizione che viene data di "mosaico" per indicare le caratteristiche culturali della società canadese mi sembra possa aiutarci a comprendere su quali basi dobbiamo costruire la nostra mission e in quale concetto di diversità riconoscerci. Per Canadian Mosaic si intende qualcosa in cui "each constituent part retains its color, identity, separation, but at the same time fits into a larger picture with pieces of many other shapes and colors". Voglio concludere facendo riferimento a ciò che ci viene ricordato da Zora Sampson dell'Università del Winsconsin-Barron County nell'articolo The role of civility in diverse relations e che, a mio avviso, costituisce il messaggio più profondo e duraturo che questo libro ci trasmette: essere bibliotecari oggi è molto più che organizzare e facilitare l'accesso alle informazioni e, aggiungiamo, occuparsi di management e risorse umane. È lavorare per promuovere un'idea di civiltà che si fondi sul dialogo e il reciproco riconoscimento delle differenze culturali, etniche e sociali.
Cecilia Cognigni
Biblioteche civiche torinesi