Il 22 agosto, in una pausa della Conferenza IFLA di Boston, ero a New York. Rivedo oggi, dopo il terribile attentato dell'11 settembre (brutto anniversario, per chi ricorda Salvador Allende), le foto sotto le torri gemelle del World Trade Center a Downtown. L'istintiva sensazione di un pericolo personale, il dolore per la morte assurda di persone delle quali probabilmente avevamo incrociato lo sguardo quel pomeriggio, mi danno oggi un quadro diverso, più fioco, di quella che mi era sembrata una fondata speranza, di quell'orgoglio per aver partecipato ad un evento importante, non solo per le biblioteche, ma per il mondo.
Al Council dell'IFLA avevo portato i 32 voti dell'AIB (tanto vale il voto "ponderato" delle associazioni in quel consesso) e il voto dell'istituzione che mi aveva delegato, ad approvare una raccomandazione, che fondeva due testi similari proposti dalle associazioni bibliotecarie di Cuba e degli USA, da un lato, e dall'IFLA/FAIFE, dall'altro, volta a richiedere ai Governi americano e cubano di favorire il diritto all'informazione e alla conoscenza senza limiti e censure, attraverso le biblioteche. Il punto più significativo della mozione approvata dagli stessi rappresentanti dell'American Library Association, era la richiesta al Governo USA di sospendere l'embargo ed aprire relazioni di collaborazione con Cuba. Chi ha visitato l'isola di Fidel sa che l'embargo è il limite più grande allo sviluppo economico, e conseguentemente all'apertura politica democratica della società cubana. Da qui l'intuizione e l'auspicio che le biblioteche potevano candidarsi ad essere il grimaldello per un'insperata positiva trasformazione nelle relazioni internazionali, che nel passato, ai tempi di Kennedy (nato a Boston) e Kruscev, erano state al centro di una crisi politica gravissima e che ancor oggi rappresentavano un punto di contraddizione gravido di pericoli. Le biblioteche come il ping pong di Nixon e Mao Tse Tung nel 1972, quando la ripresa delle relazioni diplomatiche fra USA e Cina e l'accendersi di grande speranze di pace furono favorite da un semplice incontro sportivo.
Il clima di Boston, i valori che evidentemente sostenevano l'incontro internazionale dei bibliotecari, e cioè non solo il forte senso di identità professionale oltre le barriere degli Stati, delle politiche, delle culture, ma anche i valori fondanti dell'eguaglianza tra gli uomini del mondo, della libertà, della pace erano stati al centro dell'intervento al Council, non retorico ma di alto spessore morale, del presidente dell'IFLA e delle guest lectures che avevano riempito gli spazi vuoti dei lavori degli Standing Committees, dove bibliotecari di tutto il mondo, anche di paesi che in anni recenti si erano trovati in stato di guerra, si trovavano nella stessa comunità professionale. Il titolo della conferenza: "Libraries and librarians: making a difference in the knowledge age" bene esprimeva il nostro specifico, la nostra presunzione. Fare la differenza, nell'età della conoscenza, favorendone lo sviluppo e la diffusione, offrendo all'umanità possibilità di arricchimento intellettuale nella coniugazione tra la cultura archiviata e la ricerca culturale contemporanea, tra la conservazione e la distribuzione di cultura, tra la storia e la scienza, come le biblioteche, forse solo le biblioteche, tra le altre agenzie d'informazione, possono fare.
Ma l'IFLA è ovviamente dentro la realtà e le contraddizioni della globalizzazione e non è un'isola felice. Non lo è la nostra professione. Ricordo la conferenza di Brighton, nel 1986, dove i rappresentanti di Iran e Iraq si distrussero reciprocamente gli stand e, nel 1991, il colpo di Stato e l'arresto di Gorbacev, nei giorni della Conferenza IFLA di Mosca, con i delegati che guardavano con preoccupazione i carri armati sovietici (gli stessi di Praga, per intenderci) davanti agli alberghi. Ricordo il ricevimento a Bangkok, nel 1999, quando un collega israeliano ed un collega arabo si allontanarono dal nostro tavolo, per non trovarsi commensali. Ma la nostra professione è in sé una professione di libertà, la biblioteca è lo strumento della garanzia del diritto alla conoscenza e quindi della crescita culturale, e quindi del progresso politico e democratico delle donne e degli uomini del mondo. A Boston è stato presentato il primo rapporto sulle condizioni della libertà intellettuale e culturale nel mondo, a cura dell'IFLA/FAIFE, compilato attraverso le biblioteche, proprio perché le biblioteche sono strumento di quelle libertà, sono istituto della democrazia, come icasticamente scriveva tanti anni fa la nostra Virginia Carini Dainotti.
Sicuramente più del ping pong le biblioteche potevano e possono riavviare i motori della pace e delle eque relazioni internazionali. Così ci sembrava a Boston.
Poi quella giornata terribile e i terribili venti di guerra di oggi, che da lì hanno ripreso alimento e ci fanno temere l'impossibilità di controllare le tensioni storiche di un mondo così diviso, dalla Palestina al Kashmir. È molto doloroso il periodo che stiamo vivendo, è agghiacciante vedere il fondamentalismo trionfare, soprattutto per noi che dedichiamo la nostra professione alla crescita dell'intelligenza critica e quindi al dubbio, alla tolleranza e al rispetto e cioè alla laica religione della libertà.
La nostra triste solidarietà alle vittime di quella orrenda giornata potremo forse manifestarla oggi, nel modo più efficace, riproponendo con ancora maggiore convinzione e tenacia nel nostro lavoro di tutti i giorni, nel nostro impegno professionale, culturale e associativo, i valori della comunità internazionale dei bibliotecari. Il mondo post ideologico di oggi non ci lascia molte speranze e utopie. Il nostro orizzonte è forse ristretto, ma è chiaro; il nostro contributo, concreto e quotidiano, è nel nostro servizio professionale.