"Pubblicate nel 1986 le Guidelines for public libraries sono ora sostituite da questo documento," esordisce Philip Gill, presidente del gruppo di lavoro della Sezione Biblioteche pubbliche dell'IFLA preposto all'elaborazione di queste nuove Guidelines che presentano inevitabili divergenze e affinità di ordine concettuale e strutturale con la versione precedente (qui si fa riferimento all'edizione italiana, Raccomandazioni per le biblioteche pubbliche, del 1988). Cercherò brevemente di illustrare i punti più salienti emersi da una lettura "comparativa" dei due testi.
Philip Gill conclude il suo intervento introduttivo con un rimando all'Introduzione del 1986 di Arthur Jones, di cui riprende la concezione fondamentale della biblioteca pubblica quale "servizio locale che soddisfa i bisogni della comunità locale e opera al suo interno". Sia l'edizione del 1986 sia quella del 2001 derivano tale concezione dal Manifesto IFLA/Unesco sulle biblioteche pubbliche rispettivamente del 1972 e del 1994, sebbene attraverso una diversa organizzazione del discorso. Le Raccomandazioni del 1986 citano esplicitamente il Manifesto solo due volte; di contro, queste Raccomandazioni sono strettamente intrecciate col Manifesto e i capitoli si strutturano in un continuo alternarsi di citazioni dal Manifesto a cui seguono commenti e annotazioni. Basti pensare che alla sintetica definizione della biblioteca pubblica e dei suoi obiettivi posta all'inizio delle Raccomandazioni precedenti fa da contrappunto l'ampia discussione nel cap. 1 del presente testo. Questo capitolo è articolato in una serie di paragrafi che, partendo dal concetto di biblioteca pubblica, ne approfondiscono i vari aspetti, quali il "ruolo sociale" svolto nei confronti della sua comunità di riferimento, o ne sviluppano i principi di base, ad esempio la "libertà di informazione"(par. 1.5) e l'"accesso per tutti"(par. 1.6), ispirandosi chiaramente al Manifesto.
Nell'Introduzione, inoltre, Philip Gill ripropone il quesito sollevato durante la stesura delle bozze se standard quantitativi potessero essere una valida e giustificata integrazione delle linee guida, quesito che è stato risolto, scrive Gill, elaborando "un complesso di raccomandazioni e standard" che pongono questa edizione a metà strada tra la prima del 1973 e quella del 1986. Dell'edizione del 1973 viene riportata la convinzione di allora che fosse possibile stabilire obiettivi comuni a tutte le biblioteche, per cui si giunse alla redazione degli Standards for public libraries che fornirono una serie di dati e misure quantitativi. Successivamente, Gill riferisce l'opinione di Arthur Jones che, prendendo le distanze dall'edizione precedente, sostenne l'impossibilità di stabilire degli standard comuni e universalmente validi e, di conseguenza, si preferì relegare in appendice un sommario degli standard quantitativi offrendo al loro posto consigli basati sull'esperienza comune di molti paesi.
Il libro in oggetto, dunque, vuole essere un compromesso tra due prospettive antitetiche e una risposta alla richiesta di un testo che a differenza di quello del 1986 avesse maggiore impatto e rilevanza pratici. Tuttavia, ad una lettura più attenta, si coglie un atteggiamento più dogmatico nelle Raccomandazioni del 1986 piuttosto che nella loro revisione; lo stesso Arthur aveva osservato nella sua Introduzione che, nonostante il testo fosse uno strumento di ausilio piuttosto che un insieme di regole, obbligativi come "deve" e "dovrebbe" ricorressero frequentemente. A dimostrazione di ciò, nei primi tre capitoli troviamo stilate numerose "liste di controllo" relative ai servizi e ai materiali della biblioteca e alla gestione del suo personale. Nelle nuove Guidelines, invece, troviamo alcuni standard numerici nei cap. 4 e 5 relativamente al posseduto e alle risorse umane della biblioteca: pochi rispetto a quanto le suddette premesse facessero pensare al punto che nel paragrafo 3.10.2 sull'estensione dell'edificio bibliotecario non vengono forniti dei parametri numerici alla luce del fatto che l'organizzazione e l'estensione degli spazi rimane legata alle condizioni di ogni singola realtà, unica in sé, e quindi non suscettibile di standard universali. Si rinvia perciò il lettore all'Appendice 4 dove vengono riportati in maniera esemplificativa gli standard sviluppati in Canada e in Spagna sugli edifici delle biblioteche.
1986-2001. Ben 15 anni intercorrono tra le due edizioni, un lasso di tempo notevole se si considerano i recenti sviluppi delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che, come lo stesso Gill ci ricorda nella Introduzione a p. xiv, hanno rivoluzionato i modi e i tempi di organizzazione e accesso all'informazione. Una problematica attualissima la cui portata, osserva Philip Gill, difficilmente poteva essere immaginata quando nel 1986 furono pubblicate le Guidelines, in cui viene discussa l'importanza crescente di "fonti di informazione accessibili con mezzi elettronici" nella previsione di uno scenario che all'epoca si stava ancora delineando. Mancava la consapevolezza matura del gruppo di lavoro capeggiato da Gill secondo il quale la "sfida della rivoluzione elettronica" comporta un riesame del ruolo chiave coperto dalla biblioteca pubblica nella "fornitura di informazione": da un lato la biblioteca deve continuare a garantire l'accesso all'informazione attraverso canali ormai consolidati; dall'altro, si legge a p. xiv-xv, deve divenire l'"ingresso al mondo dell'informazione elettronica", supplendo al cosiddetto digital divide ("spartiacque digitale"), cioè il divario che separa "i ricchi dell'informazione" e i "poveri dell'informazione" tra coloro che non godono delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie perché privi dei presupposti necessari (efficiente rete di telecomunicazioni, conoscenze tecnologiche appropriate, cultura di base) – un punto cruciale più volte affrontato nel testo, essendo l'informazione uno strumento di crescita e di potere (cfr. ad esempio il par. 1.3.2 e il Manifesto).
Nelle ultime Raccomandazioni lo spazio dedicato ai nuovi media elettronici risulta inevitabilmente più preponderante rispetto alla versione del 1986 che non elenca, ad esempio, tra i vari obiettivi della biblioteca pubblica, quello di combattere una sorta di "analfabetismo informatico", né fa accenno al nodo attuale della necessità urgente di una legislazione coerente in tutti i paesi che regoli le questioni riguardanti il diritto d'autore per le pubblicazioni elettroniche (par. 2.3.2). In definitiva, affinché venga garantito lo sviluppo delle biblioteche pubbliche – non a caso il titolo del libro specifica meglio che le raccomandazioni non sono semplicemente rivolte alle biblioteche pubbliche ma sono finalizzate al loro sviluppo ("development"), parola assente nel frontespizio dell'altra edizione – occorre che ogni settore del servizio bibliotecario pubblico, dalla pianificazione degli spazi alla gestione delle collezioni fino ad arrivare alla formazione e alle competenze del personale, si adeguino ai tempi e ai cambiamenti imposti dalle cosiddette "tecnologie dell'informazione e della comunicazione". L'invito è aperto a tutti gli operatori del settore.
Adelaide Ferrara
Bari