A quasi trent'anni dal pionieristico Classification in the 1970's (London, 1972, rev. ed., 1976) Arthur Maltby torna a fare il punto sulla classificazione con una raccolta di dieci contributi edita insieme a Rita Marcella. Maltby è un esperto molto noto per aver curato due edizioni del classico A manual of classification for librarians di Sayers (4th ed., London, 1967, Sayers' manual of classification for librarians, 5th ed., London, 1975); Marcella gli è subentrata in questo compito per l'ultima edizione (con Robert Newton: A new manual of classification. Aldershot, 1994). L'origine dei dodici autori è relativamente omogenea: sette britannici, tre statunitensi, un australiano e l'indiano Satija, l'unico non appartenente direttamente all'area angloamericana, ma collaboratore a manuali e guide pratiche alla Dewey.
L'intento del libro è riferire gli ultimi sviluppi, gli studi in corso, le problematiche più urgenti e le direzioni di evoluzione. Il taglio è sempre attento alle applicazioni e funzionalità pratiche, all'obiettivo efficienza; anche nelle questioni teoriche o di principio c'è un orientamento all'utente e al servizio. L'esame degli schemi di classificazione è limitato ai tre maggiormente diffusi, mentre sono programmaticamente escluse le classificazioni speciali.
Constatato che manca ancora una filosofia internazionale della classificazione, vengono dapprima affrontate tematiche generali: la persistente utilità delle classificazioni, in particolare per l'organizzazione della conoscenza e nel contesto dei sistemi di recupero dell'informazione (cap. 1-3). Due capitoli centrali (4-5) sono dedicati all'impatto delle nuove tecnologie e all'uso delle classificazioni nella biblioteca digitale e in Internet. Segue la presentazione della classificazione a faccette e di specifici schemi (cap. 6-9).
Eric Hunter (Do we still need classification?) mostra col brio rigoroso del manualista collaudato la necessità di pratiche classificatorie per qualsiasi attività ben organizzata ed esamina criticamente le carenze della maggioranza degli OPAC nell'offrire possibilità di ricerca su base classificata, senza sfruttare la potenza delle relazioni sottese alla classificazione. Altrettanto insufficienti le ricerche per parole chiave con operatori booleani (una forma nascosta di classificazione, si noti) senza l'uso di thesauri e le generiche classificazioni ampie presenti sul Web. In conclusione, "i bibliotecari hanno molto da offrire nell'era dell'informazione", ma attenzione: "il bibliotecario che ignora la classificazione è come il medico ignorante in biologia".
Il contributo specifico dei due curatori (Organizing knowledge: the need for system and unity) partendo dall'esigenza di risparmiare tempo in ricerca e di selezionare ciò che veramente interessa nell'eccesso di informazione, conferma il valore del classificare non solo negli schemi, da usare oltre i documenti fisici come strumento di organizzazione del sapere, ma come metodico "essere sistematici". La strategia proposta comprende il recupero delle relazioni fra concetti perse negli schemi, e una capacità, più flessibile, di far interagire i diversi strumenti di ricerca disponibili.
L'apporto della classificazione alla valutazione dei sistemi di recupero dell'informazione nello scritto controcorrente di Julian Warner (Can classification yield an evaluative principle for information retrieval?) non sta in nuove formule di calcolo, ma nel superare il criterio tradizionale che indicava l'efficacia della ricerca nel recupero di tutti i record rilevanti. La rilevanza è già in discussione perché difficilmente verificabile e quantificabile; inoltre, interessa davvero recuperare tutto? Alla base dei nostri sistemi c'è la classificazione aristotelica, ma Werner, appoggiandosi alla critica vichiana ("Le categorie e la topica di Aristotele qualora vi si voglia trovare qualcosa di nuovo non servono a nulla"), vuole liberare il pensiero da rigide gabbie che fissano le conoscenze nelle classi, in favore di schemi che assistano nell'esplorazione controllata e progressiva del nuovo e sfruttino dinamicamente il vero potenziale dei termini d'indice: la capacità di distinzione, di selezione fra gli oggetti rappresentati nell'universo del discorso. Assumendo il principio della scelta progressiva come modello del canone valutativo, cadono i dibattiti quantitativi interni al quadro teorico precedente e si recupera un'influenza reciproca fra teoria e pratica; ne risulta approfondito il concetto di rilevanza, svincolato dal paradigma di performance, e l'uomo, da destinatario di pacchetti di record, è riabilitato artefice della ricerca. Occorre però elaborare una riflessione sulla pratica per progettare sistemi migliori o per usare meglio gli attuali.
Lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione è senz'altro il fattore più incisivo sull'attualità della classificazione: al tema, che attraversa tutto il libro, sono dedicati due contributi specifici. Robert Newton (Information technology and new directions) si concentra sulla classificazione delle risorse elettroniche, i cui benefici stanno nel dare un certo senso all'intricata informazione di Internet, ma per cui resta molto da fare. Discute l'uso degli schemi tradizionali e, pur riconoscendo loro molti meriti, propende per un approccio teoretico più flessibile, non lineare, che utilizzi il legame ipertestuale in modo da aggiungere alle relazioni gerarchiche una rete di collegamenti fra soggetti nelle diverse classi. Per un funzionamento efficace si dovranno prevedere coordinamento tra i servizi e adeguata attenzione alla manutenzione. Non va trascurato l'aiuto che può derivare da tecniche di recupero automatico, dall'elaborazione delle lingue naturali e dall'intelligenza artificiale, ma è pericoloso ridurre l'input da parte dello staff. Vengono presentati progetti e sperimentazioni di classificazione automatica, insufficienti a sostituire la tradizione basata sull'intervento umano, ma molto importanti come strumenti ausiliari di assistenza all'operatore, per l'approfondimento teorico e per la conoscenza delle strategie di ricerca. Uno sguardo ottimista ma senza facili illusioni, che invita i bibliotecari a cimentarsi nel digitale.
Analogamente Alan McLennan (Classification and the Internet) esamina motori di ricerca, cataloghi di risorse e schemi di classificazione usati in Internet auspicando la diffusione di metadati in funzione di indicizzazione. Critica gli schemi universali e precostituiti, in favore di schemi speciali integrati e di approcci multidimensionali adeguati all'ipertestualità della rete.
La classificazione a faccette rappresenta per A.C. Foskett (The future of faceted classification) il futuro del recupero dell'informazione per la capacità di analisi, di correlazione dei concetti in una dimensione dinamica della conoscenza, per l'adattabilità al trattamento con l'elaboratore; ma ne sono anche evidenziati alcuni limiti, come l'esclusione di legami tra faccette e al pensiero laterale. Foskett sottolinea anche l'importanza di un'organizzazione che stia a sostegno di uno schema di classificazione. Da qui la scarsa diffusione di schemi pienamente sfaccettati, proprio mentre ogni schema affermato tende a rinnovarsi in questo senso: l'apprezzamento delle faccette come caratteristica saliente e di sicuro avvenire è presente in ogni contributo del libro.
Segue la presentazione dei tre schemi più diffusi a livello mondiale, da parte di autori direttamente coinvolti nella loro elaborazione (Joan S. Mitchell, The Dewey decimal Classification in the twenty-first century, Ia C. McIlwaine, UDC in the twenty-first century, Lois Mai Chan e Theodora L. Hodges, The Library of Congress Classification). Brevemente: la DDC è pienamente lanciata nelle nuove tecnologie, attraverso la produzione di strumenti ausiliari al lavoro di elaborazione e di classificazione e la sperimentazione dell'applicazione alle risorse elettroniche e della classificazione automatica. La UDC dopo una riorganizzazione editoriale, ha in corso un ampio rinnovamento strutturale per eliminare i soggetti composti nelle tavole, contrari a una struttura a faccette, e per omogeneizzare le tavole ausiliarie. La LCC ha investito nel rinnovamento tecnologico, si sono evidenziate incongruenze, soprattutto fra le classi, e si richiede una definizione dei criteri e procedure di revisione; campi di studio e sperimentazione sono l'uso per le risorse in Internet e i supporti al classificatore, come sistemi esperti per facilitare la sintesi delle notazioni; la difficoltà a sganciare la ricerca dalla collocazione (che peraltro traspare come condizionamento tradizionale diffuso) conferma la continuità col passato. Di rilievo la ricerca di collaborazione fra i sistemi maggiori: si parla di estensioni UDC per la DDC e di uso di aree Dewey nell'Universale, la quale rinnova la classe di medicina seguendo la Bliss Bibliographic Classification. Accostamenti che, se gestiti senza confusioni, possono giovare alla funzionalità di ciascun sistema.
Ogni contributo è ricco di spunti stimolanti che meriterebbero spazio per un commento ed è corredato da riferimenti utili per l'approfondimento. Ma un'ulteriore indicazione delle fonti per ripercorrere la storia e mantenere l'aggiornamento sulle classificazioni bibliografiche ci è fornita da M.P. Satija nell'ultimo articolo (Sources for investigating the development of bibliographical classification): segnala selettivamente fonti per la storia, bibliografie, riviste, fonti ufficiali di organizzazioni e sistemi, glossari e biografie, fonti in Internet, biblioteche specializzate, con una menzione speciale per Ranganathan l'innovatore.
La tendenza emergente a far evolvere il discorso da "classificazione" a "organizzazione della conoscenza" è richiamata da Maltby e Marcella e presente in sottofondo in vari interventi, ma sarebbe stata utile, anche come apertura a scuole di pensiero diverse e ad ambiti più vasti di quello bibliotecario, un'esposizione specifica di questa disciplina, per esempio illustrando il lavoro dell'ISKO, International Society for Knowledge Organization, e gli studi che ruotano intorno alla rivista "Knowledge organization" (già "International classification"), cui è riservata solo una menzione di Satija (che dell'ISKO è il coordinatore indiano). Sarebbe stato un modo per corrispondere all'affermazione di Newton, vera ma non svolta, che intorno alla classificazione c'è stata la convergenza di molti temi, prima visti come problemi distinti di particolari discipline: filosofia, scienze della comunicazione, lessicografia, linguistica, intelligenza artificiale, scienze computazionali e matematiche, e per suggerire così alla professione di arricchirsi con i risultati di altre competenze.
L'ampiezza dei temi trattati, sia pur lontana dall'esaustività, e la chiarezza espositiva, che insieme all'autorevolezza è una costante degli scritti, raccomandano quest'opera come un contributo notevole, un punto da cui procedere nella ricerca. A dispetto del titolo, c'è più retrospettiva che predizione, ma il futuro è già ora e in ogni caso "le previsioni
potranno risultare non esatte in ogni dettaglio, non per ciò sono meno intriganti".
Pino Buizza
Biblioteca Queriniana, Brescia