Due papi per Cesena: Pio VI e Pio VII nei documenti della Piancastelli e della Malatestiana, a cura di Paola Errani. Bologna: IBC: Pàtron, 1999, 398 p. (E.R.B.A.; 40).

Pubblicato in occasione della mostra omonima, organizzata nella suggestiva "Malatestiana" di Cesena, questo volume è ben più di un supporto a un evento espositivo: ne è l'alter ego verbale. Riesce, cioè, ad essere testimonianza vivida dello scavo archeologico e della ricerca storica di cui si fa diffusore, almeno quanto la mostra stessa, e assume una propria dignità anche rispetto a studi più ponderosi sulla storia di Cesena. Infatti, la capacità degli autori di trattare dall'angolazione culturale gli eventi storici della città romagnola negli anni tra la Rivoluzione francese e l'impero napoleonico, ne fa un contributo sostanzialmente nuovo. Viene così narrata un'importante pagina di storia locale, ma anche nazionale, attraverso la ricostruzione dei rapporti tra Cesena e due protagonisti d'eccezione, papa Pio VI e papa Pio VII, entrambi cesenati, chiamati al soglio pontificio rispettivamente nel 1775 e nel 1823, e delle trasformazioni artistiche che la città ebbe proprio per loro cura. Filo rosso che lega tutti i contributi, i quali analizzano a tutto tondo la vita della città tra Sette e Ottocento (si vedano per l'inquadramento generale i ponderosi capitoli nella prima parte del volume: Utopia e realtà... di Fabrizio Foschi, e La questione del capoluogo... di Roberto Balzani), è proprio l'attenzione ai "beni culturali". I due pontefici, pur coinvolti nella drammaticità dei tempi in cui ressero la Chiesa romana, ebbero, infatti, spiccata sensibilità per le belle arti e la manifestarono sia promuovendo un'intensa attività artistica, sia impegnandosi a fondo nella salvaguardia del patrimonio pontificio tramite concreti interventi di tutela (si veda, a conclusione del volume, il saggio di Anna Manfron "Sua Beatitudine, intenta sempre alla speciale protezione delle Belle Arti"...). Come non ricordare il bel museo Pio-Clementino, voluto da Pio VI nei palazzi vaticani, quello attiguo Chiaromonti, ad opera del suo successore e, soprattutto, l'editto Doria Pamphili, con cui Pio VII creò il primo testo legislativo sulla circolazione, sul controllo e sulla valorizzazione dei beni culturali e archeologici?

L'opera tocca tutti questi aspetti, dei quali offre un panorama ben circostanziato (le tante note e la pluralità degli archivi consultati ne sono testimoni): dallo studio dell'architettura cittadina a quello del suo assetto urbanistico (Alberto Severi, Una città fra due papi: urbanistica e architettura a Cesena tra Sette e Ottocento, di ampio respiro sociologico); dall'analisi della splendida mazza processionale di Pio VI ad opera di Franco Faranda nel contributo Due doni alla Romagna dei papi cesenati Pio VI e Pio VIII, a quella della sua statua bronzea (Giampiero Savini, La statua bronzea di Pio VI: una storia cesenate tutta all'italiana); fino a giungere, nella seconda parte del volume, a un approdo culturale d'eccezione, le raccolte librarie.
Della sfortunata biblioteca di Pio VI ci rimangono solo notizie da cataloghi editoriali e da raccolte pubbliche e private, data la disgregazione e dispersione che subì, a causa dell'invasione francese, questa pregiatissima raccolta, composta anche di rari incunaboli di cui il Papa era appassionato collezionista. Dalla ricostruzione, tutta virtuale (Massimo Ceresa nel saggio Una biblioteca nella Rivoluzione: i resti della Biblioteca di Pio VI) di quella che doveva essere una collezione di oltre seimila volumi tra cui oltre duecento incunaboli e quasi centocinquanta manoscritti, emerge un ritratto di Pio VI lettore selettivo, interessato alla scienza e al diritto, lontano da quell'universalismo enciclopedico proprio del XVIII secolo, sicuramente bibliofilo sensibile al libro come bell'oggetto di antiquariato.

Più integra, invece, è la biblioteca Piana, raccolta da Pio VII e oggi approdata a una sistemazione definitiva e unitaria all'interno della Biblioteca Malatestiana; fondo questo che, per quanto modesto nel suo nucleo di antichità, data la maggior attrattiva verso le istanze moderne del suo fondatore - che viene infatti definito da Davide Gnola (I manoscritti della Biblioteca Piana) più bibliotecario che bibliofilo - mostra nei suoi 59 manoscritti, dei quali è qui riportata anche una prima descrizione catalografica, la particolare sensibilità culturale del Papa, che faceva provvedere a una preziosa rilegatura tutte le opere che andavano ad arricchire la sua raccolta privata. Un fondo eterogeneo ma comunque prezioso che Fabrizio Lollini (La miniatura nei codici della Piana) analizza pezzo per pezzo nelle sue particolarità grafiche e che svolge un fondamentale ruolo nel contesto odierno delle raccolte della biblioteca Malatestiana, per costituire una sorta di museo del libro manoscritto e delle sue forme.

Federica Rossi
Biblioteca del Dipartimento di Scienze giuridiche "A. Cicu", Università di Bologna