Il volume, frutto di una meritoria iniziativa del Dipartimento di storia e culture del testo e del documento dell'Università della Tuscia, costituisce un omaggio a una studiosa che all'intenso lavoro di scavo archivistico sui temi di storia del libro e del materiale a stampa, ha sempre accostato l'insegnamento nelle università italiane e straniere, in uno scambio proficuo e ricco di stimoli con gli studenti e con i docenti di discipline affini. Esso raccoglie numerosi contributi della Nardelli, pubblicati nell'arco di quindici anni in riviste e in volumi miscellanei, relativi in particolare alla storia del libro e della legatura dal medioevo al secolo XVIII. A complemento del volume compare anche una bibliografia completa degli scritti dell'autrice, curata da Chiara Carlucci che firma anche la Prefazione, che per la sua ricchezza costituisce una ulteriore conferma della validità e della serietà dell'apporto scientifico fornito in quasi trent' anni di puntuale ricerca storiografica.
Nel saggio che chiude il volume, &34;La bibliofilia&34; e la storia della legatura, scritto in occasione del centenario della rivista, la Nardelli lamenta il disinteresse di gran parte degli studiosi italiani nei confronti del tema della legatura del libro manoscritto e a stampa. E in effetti questo tema, dalle "biccherne" senesi ai volumi encomiastici delle stamperie settecentesche, attraversa e tiene insieme tutti i diversi contributi non come un'analisi puramente tecnica ma come una chiave interpretativa in grado di far parlare meglio i libri della loro storia e del loro uso presso i lettori. I tipi e le forme delle legature librarie, i materiali utilizzati e gli artigiani che le curavano, consentono di comprendere meglio sia i processi produttivi e l'organizzazione del lavoro all'interno della bottega, sia i mutamenti delle modalità di lettura nell'arco dei secoli, come è ben evidenziato tra l'altro nei saggi su Storia e tecnica delle legature medioevali e Funzione della legatura e modi di conservazione libraria.
Se, come varie volte ha affermato la Nardelli, il libro senza legatura non è un libro ma solo un insieme di fascicoli, la figura del legatore esce dall'anonimato per acquistare una maggiore rilevanza tra i diversi mestieri del libro dell'antico regime tipografico. Nell'epoca della stampa, infatti, questi artigiani acquistano una progressiva autonomia, distinguendosi dalle altre figure dello stampatore e del libraio. Tuttavia, nella realtà del commercio librario romano tra Cinque e Settecento, da sempre oggetto degli studi della Nardelli e qui indagato soprattutto nei contributi su Il fior di loto in legatoria o sui Legatori vaticani, i legatori costituiscono sì un gruppo sociale numeroso e rilevante ma non riusciranno mai ad organizzarsi in corporazione autonoma, distinta e concorrenziale rispetto alla forte e onnicomprensiva Università dei librari. Di fatto, è il commerciante libraio, figura finanziariamente più solida, ad intrattenere rapporti con il cliente e a commissionare il lavoro del legatore che, pur fondamentale nel processo produttivo, rimane una figura subalterna e precaria, spesso soggetta all'aleatorietà delle committenze.
Un altro tema centrale delle riflessioni della Nardelli è la funzione del mecenatismo nella produzione libraria in Italia tra Sei e Settecento, come emerge dagli illuminanti saggi sui cardinali Barberini o sulla Stamperia reale di Napoli. Che il mecenatismo aristocratico o cardinalizio sia stato uno dei più rilevanti fattori di crescita della produzione a stampa nell'Europa di antico regime è stato sottolineato in questi anni da molti studiosi. Le modalità di questo mecenatismo sono differenti; in alcuni casi, come nella complessa vicenda del cardinale Francesco Barberini senior, si tratta di un finanziamento a varie tipografie, tra cui la nascente Tipografia di Propaganda Fide, finalizzato alla pubblicazione di testi a carattere pastorale, encomiastico o scientifico come i volumi di Atanasio Kircher o di Luca Holstenius, senza finalità di lucro. Solo in pochi casi si configura un vero e proprio disegno editoriale del cardinale, nipote di Urbano VIII, che prevede un intervento diretto non solo nella scelta delle opere ma anche della tipologia e del formato dei testi, con la cura attenta della carta, dei caratteri e delle calcografie.
In altri casi, invece, il mecenatismo acquista le forme di una vera iniziativa tipografico-editoriale: è il caso della stamperia Barberina di Palestrina, impiantata dal nipote del già nominato cardinale anch'egli principe della Chiesa, o della Stamperia Reale di Napoli, nata nel 1750 come proprietà personale del sovrano Carlo III, che pubblica soprattutto opere di grande mole a carattere encomiastico/celebrativo, a cominciare dalle costose e ricchissime Antichità di Ercolano, da diffondere poi in dono a studiosi e personaggi in vista dell'epoca.
Da tutti questi studi emerge un quadro assai mosso e variegato del mondo del libro tra Cinque e Settecento, popolato da figure piccole e grandi, da oscuri artigiani e potenti mecenati, sottratti all'oscurità dalla puntuale ricerca e dalla passione interpretativa della nostra Autrice.
Maria Iolanda Palazzolo
Università di Pisa