La pubblicazione del saggio di Antonio Scolari è di quelle da salutare con particolare favore, in quanto viene a colmare un vuoto nella pubblicistica italiana su un argomento pur così cruciale nell'ambito del controllo bibliografico e della costituzione di archivi bibliografici elettronici. Fino ad oggi al riguardo non erano apparsi che pochi, frammentari interventi, generalmente di natura specialistica, prodotti in seguito ad esperienze di progettazione e di realizzazione di cataloghi informatici o al coinvolgimento in una fra le numerose iniziative europee riguardanti la definizione o l'adozione degli standard catalografici, inadatti a fornire un quadro organico della materia, indispensabile a chi vi si accosti per la prima volta. È proprio questo, al contrario, il merito principale del libro di Scolari, il quale, con la competenza che gli è unanimemente riconosciuta, traccia una sintesi agile e mai banale delle questioni storiche e metodologiche concernenti l'applicazione del formato elettronico allo scambio dei dati prima e alla costituzione dei cataloghi in un secondo momento. La lunga frequentazione con gli standard, testimoniata da precedenti pubblicazioni, e le doti di comunicatore fanno sì che, anche in presenza di argomenti squisitamente tecnici, la lettura del volume si presenti facile e interessante.
La trattazione prende ovviamente le mosse dal programma di Controllo bibliografico universale avviato dall'IFLA nel 1974 allo scopo di creare un sistema mondiale per lo scambio controllato di informazioni bibliografiche, rendendo disponibili, ovunque e con rapidità, e in una forma accettata a livello internazionale, i dati bibliografici relativi a tutte le pubblicazioni di tutti i paesi. La diffusione di procedure informatiche da parte delle agenzie bibliografiche nazionali in primo luogo, e successivamente anche da parte di alcune importanti biblioteche, portò, fra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, allo sviluppo di un gran numero di varianti nazionali del formato elettronico messo a punto poco tempo prima dalla Library of Congress - il formato MARC - tanto che l'IFLA avvertì l'urgenza di definire a propria volta un formato che, affiancando e non sostituendo i formati nazionali, consentisse lo scambio internazionale di quegli stessi dati.
La pubblicazione del volume di Scolari offre l'occasione, a distanza di venticinque anni dall'adozione del formato MARC per la produzione dei nastri della Bibliografia nazionale italiana e a circa quindici dall'avvio del Servizio bibliotecario nazionale, per una prima, sommaria valutazione di quanto la pratica della catalogazione derivata abbia inciso fino ad oggi nell'attività quotidiana delle biblioteche nel nostro paese e sul ruolo che essa potrebbe assumere nei prossimi anni, in virtù del trattamento di documenti digitali all'interno di cataloghi creati originariamente in forma elettronica, anche secondo il modello di registrazione prospettato da FRBR. Per quanto riguarda la prima questione, è del tutto evidente che la catalogazione derivata abbia rappresentato, fino a pochissimi anni fa, una pratica estranea alla cultura dei bibliotecari italiani, tanto che la quasi totalità dei sistemi informatici per la gestione delle biblioteche sviluppati in Italia non prevedeva nemmeno l'esistenza di un apposito modulo per l'importazione dei dati. A ciò contribuiva in maniera, direi, determinante l'assenza di una fonte catalografica autorevole ed estesa, al tempo stesso. L'adozione di un formato proprietario e di un'architettura di rete chiusa da parte di SBN ha di fatto privato la gran parte delle biblioteche di qualunque incentivo verso la cattura di dati da fonte esterna. Un'eccezione, piccola ma significativa, hanno rappresentato i cataloghi collettivi, costituitisi in seguito a progetti di recupero del pregresso, messi a disposizione degli utenti dell'uno o dell'altro sistema. Le grandi reti internazionali, invece, non hanno avuto sulle biblioteche italiane un impatto neanche lontanamente paragonabile a quello esercitato sulle biblioteche di altri paesi. D'altro canto, che altra giustificazione può trovare lo scarso interesse dei bibliotecari per questo tipo di tematiche, testimoniato dalla rarità di contributi sull'argomento nelle riviste professionali e dall'assenza di traduzioni ufficiali per quanto riguarda gli strumenti di base per l'utilizzazione di UNIMARC?
Quanto agli sviluppi futuri della procedura, credo che la pubblicazione dei Requisiti funzionali per record bibliografici rappresenti il momento in cui l'interesse prevalente della catalogazione si volge dalla definizione di criteri certi per la descrizione dei documenti alla elaborazione di dispositivi per mettere quegli stessi documenti in relazione fra loro. Gli oggetti vengono, dunque, messi in relazione fra loro, piuttosto che essere semplicemente descritti. Si dedicano meno risorse alla catalogazione descrittiva in primo luogo perché sempre minore è la necessità, da parte delle singole biblioteche, di effettuare la prima descrizione, la catalogazione originale dei documenti. Questa è una conseguenza dello sviluppo delle reti e dei cataloghi collettivi e della sempre crescente percentuale di documenti prodotti originariamente in forma digitale. Affermare che il catalogo deve gradualmente mirare a organizzare e dar conto del tessuto di relazioni esistenti fra i documenti in esso rappresentati, non significa soltanto avere trovato una soluzione al problema posto dall'accrescimento degli archivi elettronici che, come ricorda Heaney, rende sempre più problematica la consultazione dei cataloghi, ma significa soprattutto pensare per la prima volta a un catalogo totalmente elettronico, organizzato secondo una struttura reticolare che si avvalga delle capacità proprie dei sistemi di elaborazione di "istituire, coordinare e connettere sintassi di segni" (Serrai). Uno strumento di ricerca strutturalmente complesso, che realizzi il modello concettuale dei Requisiti funzionali, mette in grado l'utente di esplorare efficacemente "l'universo rappresentato in una bibliografia, in un catalogo o in una base di dati bibliografica", senza essere più soltanto la riproposizione in forma elettronica, organizzata linearmente, del catalogo cartaceo, quello stesso che Buckland infatti definisce catalogo automatizzato. Il formato UNIMARC, la cui struttura prevede la costituzione di un certo numero di legami bibliografici tra le notizie, può essere considerato un punto di partenza ragionevole nell'elaborazione di un nuovo modello di registrazione.
Paul Gabriele Weston
Università di Pavia