RECENSIONI E SEGNALAZIONI


Il libro in Romagna: produzione, commercio e consumo dalla fine del secolo XV all'età contemporanea: convegno di studi (Cesena, 23-25 marzo 1995), a cura di Lorenzo Baldacchini e Anna Manfron.  Firenze: Olschki, 1998.  2 vol. (IX, 900 p.).  (Storia della tipografia e del commercio librario; 2).  ISBN 88-222-4587-3.  L. 170.000.

Questa ponderosa pubblicazione in due volumi raccoglie, come recita anche il sottotitolo, le ricerche presentate nel convegno su "Produzione, circolazione e consumo del libro in Romagna dalla fine del Quattrocento all'età contemporanea". Il lavoro vuole offrire infatti un primo ma importante contributo alla conoscenza delle origini e delle dinamiche dell'attività tipografica e della diffusione editoriale in una zona geografica che, pur non assurgendo a dignità regionale, possiede una forte identità storica e culturale, dovuta sia alla lunga dominazione pontificia che ai suoi legami di contiguità e concorrenza con la Repubblica di Venezia.

L'arco cronologico estremamente ampio, dall'introduzione della stampa a caratteri mobili alla realtà contemporanea, non consente oggi facili sintesi, come del resto sottolinea nel suo intervento di apertura Luigi Balsamo (Storia della stampa e storia del libro). Tuttavia la ricchezza e l'interesse dei volumi sta nell'offrirsi come una prima ricognizione delle ricerche in corso su questo tema: accanto a studi già conclusi, vengono presentati infatti numerosi progetti - quegli «scavi documentari» di cui Balsamo lamentava la carenza in Italia - tra cui, ad esempio, un censimento delle cinquecentine conservate nelle biblioteche romagnole (Rosaria Campioni) o una complessa catalogazione di edizioni romagnole del Seicento (Elisa Grignani e Alberto Salarelli) che consentiranno una conoscenza più accurata del fenomeno.

La sfida non è da poco. Non esistono infatti studi così ampi su altri territori italiani, almeno per ciò che riguarda le ricerche più recenti di storia del libro che tendono ad assumere un orizzonte geografico e cronologico tendenzialmente più ristretto. Da questo punto di vista il lavoro, se non può costituire un modello data la specificità e la diversità delle singole identità regionali italiane, può certamente fornire anche alcune interessanti indicazioni metodologiche e ipotesi interpretative, utili per disegnare più accuratamente il quadro degli insediamenti editoriali e della circolazione libraria anche fuori della Romagna.

Ad un primo sguardo, il libro appare come uno specchio delle attuali tendenze della ricerca sulla storia del libro in Italia; largo spazio viene dato agli albori della stampa tra Quattro e Cinquecento seguendo la tradizione secolare della scuola storica, pochi gli studi sul Seicento, mentre vi è una ripresa di interesse per la stampa nel Settecento anche per gli influssi degli studi sulla diffusione della cultura illuminista di provenienza francese e anglosassone. Infine si deve registrare una scarsa presenza di indagini sulla realtà contemporanea che, come lamenta acutamente Vanni Tesei nel suo breve saggio sui rapporti tra l'editore Aldo Garzanti e la città natale, Forlì, «ci sfugge molto di più di quella dei secoli trascorsi».

Gli studi presentati consentono di individuare comunque sin da ora alcune importanti linee evolutive. Nella Romagna del Quattrocento la circolazione ed il consumo del libro a stampa precedono generalmente la conoscenza della tecnica e l'insediamento delle aziende tipografiche. Quando nel 1494 si stampano a Cesena gli Statuti della città, come sottolinea Lorenzo Baldacchini nel suo saggio su Le origini della stampa a Cesena, i libri stampati erano già diffusi, probabilmente per l'abilità commerciale di mercanti già da tempo in contatto con Venezia. Non è un fenomeno solo cesenate, come mettono in evidenza Rosaria Campioni e Claudia Giuliani nelle loro differenti ricerche; mentre anche a Ravenna la stampa si insedia tardi, forse ancora a causa dell'ingombrante vicinanza veneziana, la presenza di numerose cinquecentine nelle biblioteche della città, al di là dei successivi apporti collezionistici, fa supporre comunque una solida richiesta libraria da parte di intellettuali ed ecclesiastici locali.

Gli insediamenti dei tipografi nei centri romagnoli, almeno per il primo secolo di vita della stampa, sono spesso effimeri e legati a vicende e situazioni contingenti. Le ricerche di Leonardo Quaquarelli e di Paolo Temeroli sembrano confermare il modello, già accreditato da tempo dalla storiografia, dello stampatore itinerante, che si sposta da una città all'altra in cerca di finanziamenti e migliori condizioni di lavoro. Sono le committenze a motivare gli spostamenti dei primi tipografi, committenze quasi tutte istituzionali come rivela la grande quantità di editti e bandi che escono dai torchi di Romagna; spesso infatti l'introduzione della stampa risponde più a esigenze di controllo amministrativo che di prestigio o ancor meno di aggiornamento culturale. Forte poi, e certamente peculiare della zona, la presenza della stampa ebraica, come sottolinea Ennio Sandal che evidenzia i rapporti tra gli stampatori ebraici e Aldo Manuzio; anche qui emerge con forza il ruolo di Venezia, centro di diffusione libraria in tutta Europa ma anche luogo dove si apprende l'arte per poi esportarla in tutte le zone del Mediterraneo.

Un interessante "capitolo" è dedicato alla circolazione libraria, con particolare riguardo alla diffusione dei testi riformati o semplicemente eterodossi nella seconda metà del Cinquecento. Malgrado la Romagna sia già sotto il dominio pontificio, non solo sono largamente diffusi i testi cardine della riforma luterana per opera di attivi mercanti, come mette in luce Achille Olivieri, ma anche le biblioteche monastiche rivelano una consistente presenza di libri proibiti dalla Congregazione dell'Indice o anche soltanto sospetti. Segno questo, come evidenzia la ricerca di Angelo Turchini, della pervasività delle istanze riformate che raggiungono ormai, attraverso un intelligente uso dello strumento librario, grandi e piccoli centri, capitali della cultura e province più appartate.

Il Seicento segna in generale un momento di crisi della produzione tipografica della Romagna, anche se il libro proveniente dalle altre regioni d'Italia continua ad essere acquistato con continuità, particolarmente all'interno dei ceti professionali e nobiliari. Netta la ripresa dell'attività nel XVIII secolo, con caratteristiche simili a quelle di altri insediamenti editoriali; accanto alla committenza istituzionale infatti, come già avviene in altri centri come Venezia Lucca o Firenze, emerge una committenza nobiliare (Maria Gioia Tavoni, La Società di Pallade tra nobili e tipografi), mentre sono sempre più numerosi i tipografi che ricorrono all'uso delle sottoscrizioni per il finanziamento di opere costose, soprattutto di interesse scientifico, come emerge dagli studi di Maria Lucia Cavallo e di Anna Rosa Gentilini sulla tipografia Archi di Faenza. Caratteristica peculiare della zona è invece la forte presenza dei gesuiti spagnoli che, cacciati dalla penisola iberica, si rifugiano con il consenso di Clemente XIII nella Romagna, costituendo un importante nucleo di consumatori di cultura; principalmente a loro è rivolta, come nota Pier Angelo Bellettini, una vasta produzione che spazia dall'apologetica alla difesa dell'attività della Compagnia di Gesù nel continente americano alle traduzioni di testi spagnoli.

L'unificazione italiana, con la creazione di un unico mercato nazionale, costituisce un importante momento di svolta nello sviluppo delle imprese editoriali della penisola. Gran parte delle aziende, soprattutto lungo l'asse Torino-Milano-Firenze, si sono attrezzate sia sul piano tecnologico e organizzativo che con la costruzione di progetti editoriali di ampio respiro, rivolti potenzialmente ad un vasto pubblico di lettori. A fronte di questo processo, le imprese tipografiche romagnole sembrano avere il fiato corto; abituate a rivolgersi ad un consumo prevalentemente locale, come ricorda Giorgio Montecchi, arrivano in ritardo ad un buon livello di meccanizzazione, mantenendo in ogni caso una dimensione aziendale ed un'organizzazione del lavoro sostanzialmente artigianale. Alle soglie del terzo millennio, nell'epoca delle grandi concentrazioni editoriali che tendono ad espellere dal mercato tutte le piccole aziende della provincia italiana, anche le librerie romagnole sono ormai «terminali passivi della grande distribuzione nazionale».

Maria Iolanda Palazzolo
Università di Roma Tre