Prosegue con questo volume, che si riferisce al convegno del 1998, la pubblicazione da parte dell'AIB degli atti dell'ormai tradizionale incontro pescarese sulle biblioteche pubbliche. Tra i temi questa volta al centro del dibattito, che ha registrato con l'occasione anche una verifica critica della prima fase del piano d'azione Mediateca 2000, c'è stata un'analisi dei nuovi spazi operativi offerti ai bibliotecari provinciali dall'evoluzione della legislazione di riforma sulle autonomie locali.
Giovanni Lazzari (L'ente locale e la biblioteca dalla legge 142/1990 alle leggi Bassanini) in una interessante rassegna normativa ha ricordato come i princìpi di autonomia, programmazione, efficienza, cooperazione, valorizzazione e responsabilizzazione professionale espressi dalla legge 142/1990 trovino un chiaro antecedente, sul piano della riflessione bibliotecaria, nelle dieci tesi del Congresso di Viareggio del 1987 e quindi uno sviluppo conseguente nelle risoluzioni presentate in convegni come quello aquilano del 1990 dedicato all'analisi appunto della 142 e quello milanese del 1991, mentre alcuni appuntamenti successivi venivano già impegnati nell'analisi delle configurazioni tecnico-amministrative più efficaci: consorzio, convenzione, accordo di programma, istituzione (quest'ultima è quella che col tempo ha raccolto le maggiori speranze anche se ne scarseggiano tuttora le concretizzazioni).
La distinzione espressa nella 142/1990 tra funzioni di indirizzo e controllo e funzioni gestionali è stata di recente ribadita dal d. lgs. n. 77/1995 sulla contabilità locale che istituendo il PEG (Piano esecutivo di gestione) ha, come rileva Lazzari, «affermato definitivamente ed esaustivamente l'attribuzione dell'attività gestionale ai dipendenti attraverso l'attribuzione ai dirigenti della responsabilità di raggiungere gli obiettivi del piano esecutivo deliberato dalla Giunta e la loro sottoposizione a procedure di controllo dei risultati mediante un nucleo di valutazione esterno»; a questa disposizione si affiancano ora, completandola, le indicazioni espresse dalle Bassanini bis e ter (rispettivamente l. 127/1997 e 191/1998) che possono tra l'altro rivelarsi particolarmente significative per i bibliotecari dei piccoli comuni dal momento che «l'attribuzione di responsabilità e autonomia gestionali può essere disposta a favore di personale apicale anche di qualifica non dirigenziale».
La nuova normativa richiede dunque ai futuri direttori di biblioteca una professionalità che implica competenze tecnico-scientifiche e al contempo abilità amministrative poiché a differenza del passato «le risorse di una biblioteca pubblica non sono più elastiche, ma sono legate al programma di gestione che fissa annualmente una somma che dovrà soddisfare nel corso dell'anno ogni esigenza della struttura culturale. Ciò impone al dirigente una programmazione atta a soddisfare i settori più incombenti e nel contempo mantenere in equilibrio l'espressione socio-culturale di una biblioteca attraverso la somma stabilita dall'amministrazione centrale, se intende raggiungere quelle finalità cui l'istituto culturale è preposto. [...] Nozioni di contabilità, di amministrazione, norme giuridiche non possono sfuggire al direttore che si espone anche direttamente sotto il profilo penale nell'utilizzo del PEG annuale» (A. Carpenito Vetrano, Dirigere la Biblioteca provinciale di Avellino: brevi considerazioni); si tratta quindi di un compito nel complesso tutt'altro che facile perché, come è stato osservato, «nel settore della cultura è particolarmente difficile distinguere il potere d'indirizzo dal potere di gestione [...] nella cultura anche il "come" fare le cose sta a mezzo fra la politica e la gestione e si tratta, in fondo, del campo dove le possibili contraddizioni e le invasioni di campo sono più possibili perché cultura e informazione sono da sempre considerate il luogo forte della libertà di pensiero e di elaborazione delle idee» (A. Bogetti, Il bibliotecario diventa manager: l'esperienza del direttore della Biblioteca provinciale Astense).
Per una fortunata coincidenza i partecipanti al convegno hanno questa volta avuto l'occasione di calare le problematiche generali sollevate dall'esposizione di Lazzari nel contesto concreto di una nuova legge-quadro regionale sulle biblioteche, quella abruzzese (l. r. Abruzzo n. 77/1998: Norme di intervento in materia di beni librari, biblioteche e strumenti bibliografici e di informazione) presentata dall'assessore regionale La Barba: legge che nel quadro del trasferimento di poteri dalla Regione alle province e agli enti locali fa di queste lo strumento attuativo dei programmi pluriennali regionali e del programma esecutivo annuale, configura le biblioteche provinciali quale struttura centro-rete dei sistemi bibliotecario-informativi provinciali - responsabili, tra l'altro, del coordinamento delle funzioni partecipate (acquisizioni patrimoniali, circolazione dei documenti, catalogazione e gestione di archivi elettronici, ecc.) - e "liquida", in un certo senso, i centri regionali di servizi culturali la cui attività non sempre si è rivelata - non soltanto in Abruzzo - del tutto soddisfacente, delegandone le rispettive funzioni alle province.
Apprezzabile come sforzo ordinatore di un nuovo assetto più agile ed operativamente ben dimensionato, disegnato com'è sull'ambito provinciale, la legge regionale tace però sulle modalità concrete di funzionamento - soprattutto su taluni presupposti operativi come gli standard minimi - e sulle sue possibili articolazioni minori sulle quali si è perciò soffermato Walter Capezzali (Biblioteche e bibliotecari in Abruzzo alla luce della nuova legge regionale di settore) facendo appunto presente la necessità di procedere alla definizione - magari, si suggerisce, tramite il coinvolgimento dell'AIB - degli standard da applicare per quanto riguarda «tipologia, bacino di utenza, orari di apertura, dotazione di locali, personale, attrezzature, risorse librarie e tecnologie informatiche delle singole strutture del servizio stesso» (art. 5, c. 12, l. r. Abruzzo n. 77/1998) e suggerendo anche una possibile strutturazione a livello comprensoriale del servizio informativo provinciale che faccia perno proprio sui centri di servizi culturali le cui funzioni risultano dalla legge delegate alle province (art. 6, c. 5).
Appare del resto improntato a «ovvi motivi di funzionalità e coordinamento» (relazione premessa al testo di legge) l'affidamento della gestione dei sistemi bibliotecario-informativi regionali alle biblioteche dei quattro capoluoghi di provincia che avranno così il ruolo di centro propulsore dell'attività dei servizi bibliotecari sul territorio conservando peraltro quello principale - non a caso valorizzato da Lazzari nella sua relazione - di «biblioteca della provincia, cioè servizio di informazione e documentazione per l'istituzione da cui dipende, il Consiglio, la Giunta, i Gruppi, i singoli consiglieri [...]»: ciò comporterà un nuovo assetto organizzativo delle provinciali il cui personale dovrà progressivamente concentrarsi non più soltanto sui criteri e sui metodi di trattamento tipici della biblioteca di conservazione, ma confrontarsi anche con le esigenze di documentazione e ricerca di una categoria di dirigenti e amministratori locali e, più in generale, degli utenti del bacino provinciale, operando così all'interno di una struttura dalla fisionomia organizzativa a metà tra le caratteristiche della public library e quelle del centro specializzato di documentazione, ruoli che quasi mai la biblioteca - riconosciamolo - è riuscita a svolgere: ancora adesso non sono d'altronde poche le biblioteche provinciali o comunali o addirittura nazionali, come ha fatto notare Livia Borghetti (La biblioteca nazionale centrale "V. Emanuele II" e il sistema di pubblica lettura della Provincia di Roma) che svolgono per lo più la semplice funzione di sala di lettura per schiere di studenti universitari che non dispongono di spazi e servizi adeguati nelle università di provenienza.
È perciò risultata di grande interesse e fascino la relazione di Emilia Lamaro, direttrice della biblioteca della Camera dei deputati (La biblioteca come servizio di documentazione: il modello della Biblioteca della Camera dei deputati) dal momento che questa importante biblioteca giuridica, partita già da molti anni con la fornitura di servizi bibliografici e di reference - ricerche su cataloghi online e su basi dati interne ed esterne, corsi di avvio alla conoscenza e all'uso delle apparecchiature elettroniche, ecc. - si è andata negli ultimi tempi strutturando sul modello del centro di documentazione avanzata tramite l'attivazione di servizi specialistici di abstracting in particolare nel settore del diritto comparato, con pubblicazioni quali il «Bollettino di legislazione straniera», i dossier Materiali di legislazione comparata, le Schede di comparazione, ecc.; la nuova frontiera è ora il trattamento dei documenti elettronici e l'allestimento dei relativi servizi: «il progetto della biblioteca mira anche a diffondere in futuro l'utilizzazione dei documenti in siti Web, dei periodici online, dei servizi di preprint, delle collezioni digitalizzate [...]. Con l'obiettivo di una maggiore integrazione dei periodici nell'attività di ricerca è stato portato avanti uno studio di fattibilità del progetto di consultazione in linea degli indici di una selezione di riviste e si è entrati in una fase operativa con la disponibilità del catalogo dei periodici correnti (circa 2500) nell'Intranet nel corso del 1998, dal quale partire operando una scelta per materia, per procedere alla diffusione delle notizie desumibili dagli indici, dai titoli cioè dei singoli articoli, nella forma di TOC (tables of contents)».
Tutto ciò implica la selezione e l'addestramento di personale adeguato: «si apre una nuova era del lavoro bibliotecario che comporta conoscenze che consentano la selezione e la catalogazione delle fonti di informazione elettroniche; bisogna provvedere alla formazione del system librarian e dell'esperto dell'utilizzazione in loco o remota con il coinvolgimento non solo degli addetti ai vari settori della biblioteca, ma anche di chi si occupa di telecomunicazione, di reti e in generale di informatica».
Se appare quindi inevitabile un ripensamento della professione del bibliotecario provinciale che si va via via arricchendo, anno dopo anno, di nuovi contenuti, nuove competenze e nuove prospettive, ancora più urgente è parso affrontare questa volta due aspetti ad essa propedeutici. Il primo è quello della formazione per la biblioteca, sulla quale si è soffermato Alberto Petrucciani (La formazione del bibliotecario pubblico: l'esperienza universitaria) sottolineando tra l'altro come la formazione sia innanzitutto «un processo (non casualmente collettivo) di "costruzione" di una figura e di un ruolo, e non semplicemente di trasmissione di contenuti specifici»: un processo che deve quindi insegnare soprattutto a valutare, servendosi di un bagaglio professionalmente qualificato, le molteplici "variabili" non solo biblioteconomiche e bibliografiche, ma anche sociali, tecnologiche, giuridiche, psicologiche, ecc., che ruotano attorno alla biblioteca "istituzione sociale" e alle sue concrete manifestazioni. L'altro aspetto è quello della fomazione in biblioteca, cioè l'acquisizione di un'«esperienza professionale documentata» (art. 4 e 7 del regolamento dell'Albo professionale italiano dei bibliotecari) che ruota prevalentemente ma non esclusivamente attorno al concetto di tirocinio sul quale ha riferito Dario D'Alessandro (Il tirocinio in biblioteca come attività professionale formativa) mettendone tra l'altro in luce le caratteristiche distintive rispetto al volontariato e provando a delineare i criteri di una possibile regolamentazione riguardo ad aspetti quali i requisiti di studio dei tirocinanti e quelli tecnico-professionali del tutor, la durata, le caratteristiche strutturali delle biblioteche ospitanti, alcune problematiche di natura giuridico-amministrativa (mancata instaurazione del rapporto di lavoro, polizze assicurative contro gli infortuni, ecc.).
Una parte dei lavori è stata infine dedicata al bilancio della prima fase del progetto Mediateca 2000, sul quale hanno riferito alcuni dei responsabili delle biblioteche-terminale di polo costituite in fase di esecuzione del progetto (La prima fase di Mediateca 2000): dalle relazioni risulta evidente come l'avvio concreto del progetto abbia subito forti rallentamenti a causa per lo più di una partecipazione poco consapevole e poco fattiva degli enti locali - ossia delle Regioni, ed è questo un dato che desta molte preoccupazioni - ai quali peraltro il Ministero per i beni culturali ha da poco delegato la gestione delle fasi ulteriori del progetto provvedendo a far erogare allo scopo dal CIPE circa 15 miliardi di lire.
Una somma non saprei quanto adeguata al successo dell'iniziativa, ma comunque ben lontana dal miliardo e mezzo di pesetas - corrispondenti a quasi 18 miliardi di lire - stanziati annualmente dall'Amministrazione provinciale di Barcellona, come ci ha illustrato Nuria Ventura (L'amministrazione provinciale di Barcellona e la Rete provinciale di biblioteche) per la gestione del proprio sistema bibliotecario provinciale. Siamo davvero entrati in Europa?
Fabrizio Antonini
Biblioteca della Facoltà di ingegneria, Università dell'Aquila