Il muro di Berlino
Abbiamo ancora negli occhi le immagini di un ragazzo con un ombrello che, seduto su un muro, si riparava dal getto degli idranti di poliziotti che ormai non erano più in grado di fermare la storia. Mattone dopo mattone dieci anni fa crollava il muro di Berlino. Chi oggi visita la città, che trasformata in un grande e pulsante cantiere si appresta a ridiventare a tutti gli effetti la capitale della Germania riunificata, deve fare un grande sforzo per immaginare come si potesse presentare un tempo, divisa a metà, ferita da un muro alto quattro metri. Sono passati solo dieci anni da allora e già ci sembra impossibile che per quasi un trentennio a Berlino, nel cuore dell'Europa, gli abitanti di una stessa città siano stati costretti a ignorarsi o, addirittura, a odiarsi. Adesso che il muro è crollato viene da chiedersi come sia stato possibile che si sia deciso di costruirlo. Ma la storia si nutre di fatti, di avvenimenti che rispecchiano le diverse temperie dei secoli: così è stato anche se a noi, nell'epoca di Internet, sembra assurdo che sia stato possibile erigere barriere di questo genere.
La libertà riconquistata dei berlinesi, quasi per paradosso, ha anche segnato l'inizio di quella crisi delle ideologie che per molti si identifica anche con la crisi della politica. Finita la contrapposizione dei blocchi è sembrato che un processo di progressiva omologazione coinvolgesse ormai l'Ovest e l'Est dell'Europa, mentre la globalizzazione dell'economia suggeriva l'idea di un mondo sempre più piccolo, sempre più a portata di mano. Ma anche, in qualche misura, più fragile, meno capace di affrontare le sfide del futuro.
L'ingresso in Europa, la nascita dell'Euro hanno, senz'altro, segnato un'altra tappa fondamentale di un processo in cui il nostro paese è coinvolto e che comporta una progressiva e sempre maggior integrazione nel contesto europeo. Grazie al trattato di Schengen sono state "abbattute" anche le frontiere tra quasi tutti i paesi dell'Unione europea e così è caduto un altro muro.
Ma se ci guardiamo intorno, se tentiamo di analizzare con gli strumenti della ragione la politica bibliotecaria in Italia, se andiamo con occhi sereni e senza inutili geremiadi a osservare da vicino le biblioteche di comuni, province, regioni, università, ce la sentiamo di affermare con certezza che il muro di Berlino è davvero caduto?
Malgrado gli indubbi progressi nella considerazione complessiva della nostra professione, malgrado l'impegno costante dell'Associazione per poter incidere sempre di più nelle sedi decisionali, si ha l'impressione che tutto quanto è stato fatto sia ancora troppo poco perché l'Italia possa davvero considerarsi una nazione matura sotto questo profilo. Nel corso degli ultimi decenni ce lo siamo ripetuti più volte e non abbiamo mancato di dirlo anche ai politici che hanno voluto darci ascolto. Con rinnovato stupore constatiamo quanto poco contino le biblioteche non solo quando si tratta di decidere degli stanziamenti di bilancio, ma anche quando non si riesce a inserirle in un progetto formativo complessivo di cui pure il paese avrebbe estremo bisogno.
Lungo la strada si incontrano di continuo ostacoli, muri, consorterie, piccoli o grandi interessi, ma non si riesce ad avere una visione sistemica. Sebbene la nascita dell'Albo professionale dei bibliotecari italiani ribadisca l'unicità della professione, divisioni sembrano sussistere anche tra chi opera in biblioteche di natura diversa: non sempre si ha una perfetta condivisione di intenti, talora sembra vincere un corporativismo "tipologico" che certo non aiuta a essere uniti. D'altra parte è anche umano che in un contesto disaggregato ciascuno tenti di difendere il proprio hortus conclusus.
Il muro di Berlino sembra essere ben più alto di quattro metri in tutte quelle realtà in cui si fa molta fatica a far comprendere le necessità del servizio rispetto alla difesa di qualche privilegio. Chi lavora nelle università, ad esempio, ha spesso la sensazione che le diverse componenti - amministrativa, tecnica, bibliotecaria, docente - operino quasi in contrasto, come se si perseguissero finalità diverse, mentre appare davvero curioso che non vi sia un obiettivo condiviso, da raggiungere di comune accordo, proprio nel momento in cui i costi sempre crescenti ci suggeriscono di creare dei consorzi, di unire le forze. Esisteranno di sicuro delle eccezioni, ma il quadro generale sembra essere questo e probabilmente una considerazione del genere potrebbe essere estesa a qualsiasi altro comparto.
Se certo molto si può imputare alle nostre classi dirigenti è pur vero che sembra mancare al mondo bibliotecario italiano la capacità di farsi sentire, di incidere veramente sui processi decisionali. L'Associazione ha fatto molto in questo senso, ma c'è bisogno di non abbassare mai la guardia.
La politica non si è di certo fermata. Già a partire dalla fine degli anni Ottanta abbiamo assistito a un moltiplicarsi di iniziative legislative volte a interpretare l'ansia di riforme che sembrava attraversare il nostro paese. Forse è troppo presto per tentare un bilancio. Ma, di certo, serpeggia una certa delusione. L'attenzione alle biblioteche è sembrata sporadica, episodica, soggetta magari a pressioni lobbystiche esterne al mondo bibliotecario. Sebbene l'Associazione non abbia mai mancato di essere presente, si ha la sensazione che la politica bibliotecaria sia assolutamente residuale nelle intenzioni e nella pratica delle nostre classi dirigenti, così che anche noi finiamo per accontentarci, per salvare il salvabile, andando a rimorchio di decisioni altrui, alle quali ci dobbiamo in qualche modo adeguare.
Non potendo abbattere il muro cerchiamo di ignorarlo, di trovare in qualche modo un compromesso con chi sta dall'altra parte. Di sicuro non vi è nessuna ostentazione nell'affermare «Ich bin ein Berliner», ma la semplice accettazione di una situazione di fatto, la consapevolezza di «seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia» e che, pertanto, è quasi impossibile scavalcare.
Per questo è opportuno che l'Associazione possa rappresentare sempre di più l'intero mondo bibliotecario italiano, difendendo in tutte le sedi i principi che sono scritti nel nostro Statuto. Non ci stancheremo mai di ripetere che il grado di civiltà di un paese si misura anche dal funzionamento del suo sistema bibliotecario.
Buttare giù un muro non è facile, può anche non bastare un piccone. Ma a volte capita che un ragazzo con un ombrello riesca a dimostrare a tutto il mondo che non è impossibile abbattere nemmeno il muro di Berlino.
Gabriele Mazzitelli