RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Graham P. Cornish.  Copyright: interpreting the law for libraries, archives and information services.  2nd ed.  London: Library Association, 1997.  189 p.  ISBN 1-85604-168-9.  £ 11.95.

Una lunga, dettagliata intervista sul copyright: questa è la forma che Cornish, esperto di diritto d'autore della British Library, ha deciso di dare alla seconda edizione del suo libro.

Il volume inizia quindi in medias res, anche se le domande raccolte dall'autore nei primi tre capitoli possono essere considerate una sorta di premessa: il copyright, egli afferma, è uno strumento legislativo che protegge non solo gli interessi economici degli autori ma anche e soprattutto ne tutela l'originalità, nelle forme in cui si è espressa e si diffonde. Quindi non è sufficiente stabilire quanto e quante volte si possa fotocopiare un'opera: è essenziale invece saper valutare in che modo un'opera può essere conosciuta, letta, diffusa riconoscendo allo stesso tempo la personalità dell'autore e la sua originalità, oltre che, naturalmente, i suoi diritti economici.

Cornish, in questa prospettiva, mette in discussione l'opportunità di scrivere, all'interno dei libri, una frase che esprima il divieto assoluto di fotocopiarli per intero o anche solo in parte. Egli considera questa abitudine, tipica di alcuni editori, inutile e impropria: un libro si può fotocopiare in più punti, e persino in due copie, se il lettore lo ritiene utile per le proprie ricerche. In questo modo l'autore non viene danneggiato nei suoi diritti economici, e vengono invece facilitati lo studio e la diffusione delle sue idee. Diverso invece il caso dell'utilizzo didattico: il libro adottato per un corso o per un seminario non va fotocopiato.

Cornish offre dunque soluzioni precise e inequivocabili ad alcuni problemi relativi alla tutela del copyright. Per esempio, ritiene che le registrazioni bibliografiche non siano protette dal diritto di copia (non sono prodotti originali dei lori autori, seguono regole standard, che dovrebbero condurre chiunque le applichi agli stessi risultati). C'è invece un diritto di copia sulle bibliografie. Egli ribadisce poi l'impossibilità per le biblioteche di fotocopiare più di un articolo dallo stesso numero di un periodico e di fare più volte una copia di un articolo per la stessa biblioteca.

Più complessa invece risulta la soluzione di altre questioni, come il rapporto tra copyright e citazioni, la liceità delle copie prodotte dalla trasmissione via fax, oppure, su un altro piano, la presenza di macchine fotocopiatrici in biblioteca. A questo proposito il Copyright Act non definisce le responsabilità delle biblioteche nell'uso delle macchine fotocopiatrici da parte dei loro utenti. Le fotocopiatrici non necessariamente incoraggiano la violazione del diritto d'autore, sostiene Cornish, e oltretutto nelle biblioteche esse sono uno strumento per lo svolgimento di attività di studio e di ricerca. È però necessario che ogni utente provveda personalmente a preparare le fotocopie e non chieda alla biblioteca o ad altri utenti di farle a suo nome. D'altra parte, sarebbe opportuno che le biblioteche segnalassero i limiti del diritto di copia ai propri lettori, con una serie di avvisi disposti vicino alle fotocopiatrici.

La biblioteca in realtà è il luogo in cui il diritto di copia si presta alle interpretazioni più problematiche. Se è possibile infatti chiarire il rapporto individuale tra un lettore e il suo libro, oppure tra un docente e il libro che vuole mettere a disposizione degli studenti, riducendolo nei limiti del fair dealing, più difficile risulta invece definire i confini del copyright all'interno delle biblioteche, luogo in cui le opere vengono protette e contemporaneamente fatte conoscere.

In biblioteca la legislazione sul copyright viene continuamente interpretata durante lo svolgimento di tutte le attività e nel corso di tutte le procedure tecniche. Un caso tipico, destinato probabilmente a diventare ancora più complicato con la diffusione della trasmissione elettronica, è quello del document delivery che - secondo quanto scrive Cornish - è un processo a due fasi: nella prima fase la biblioteca ha come interlocutore un'altra biblioteca, come in un tradizionale prestito interbibliotecario, nella seconda la biblioteca che ha richiesto il documento ha come interlocutore un proprio utente. Le copie dei documenti quindi attraversano due biblioteche prima di giungere all'utente finale. Dal punto di vista del copyright, l'utente della biblioteca richiedente è responsabile della copia che ha ricevuto e, secondo la legge inglese, deve dichiarare la propria responsabilità alla biblioteca fornitrice. Lo stesso tipo di procedura viene adottato ovviamente anche nel caso in cui la biblioteca richiedente venga sostituita da un information broker: quest'ultimo è esclusivamente un mediatore, un veicolo per la richiesta dell'utente e in nessun caso può assumersi alcuna responsabilità nei confronti del diritto di copia.

Cornish affronta anche il problema del costo del servizio di fotocopie, che dovrebbe coprire non solo quello della fotocopia, ma anche una porzione dei costi generali della biblioteca. Quindi tutti i protagonisti del processo di document delivery dovrebbero pagare il servizio, nei processi semplici come in quelli a doppia fase. Il broker, però, non può chiedere di essere pagato per la copia, bensì solo per il servizio che fornisce.

Diverso invece, ovviamente, il caso dello scambio di fotocopie tra due biblioteche, per colmare lacune oppure per completare una raccolta. In questo caso, secondo Cornish, sia la questione dei costi, sia quella della possibile violazione del copyright non si pongono. Allo stesso modo, si può considerare lecita anche l'eventuale necessità da parte di una biblioteca di copiare parte dei suoi documenti per conservarli e per non rischiare di perderli o rovinarli.

Un altro tema interessante, soprattutto per la soluzione che viene proposta, è quello della possibile conservazione del materiale fotocopiato ottenuto da altre biblioteche. In questo modo si può superare la difficoltà di non poter chiedere per due utenti diversi, in tempi diversi, lo stesso articolo. Le fotocopie dei documenti vengono così a far parte del patrimonio della biblioteca come qualsiasi altro documento acquisito in originale.

Cornish estende la sua interpretazione, soprattutto i concetti di fair dealing, di uso corretto dei documenti e delle loro copie, e l'idea di license, di permessi speciali per la riproduzione in particolari situazioni, anche al materiale non librario, a cui dedica alcuni capitoli specifici.

Secondo Cornish quanto si è detto a proposito del copyright per i documenti di tipo tradizionale vale in generale anche per i documenti elettronici. Questi ultimi, infatti, non sono opere diverse dalla altre, se non per la forma che possiedono. Ciò che è protetto dal copyright quando è su carta, viene protetto anche nella sua versione elettronica. Tuttavia è possibile che i programmi che ne consentono la consultazione siano a loro volta, e in modo differente, protetti dal diritto di copia. Può dunque accadere di trovarsi di fronte a un'opera in formato elettronico sulla quale non ci sono diritti d'autore, ma che non è possibile comunque copiare perché il suo software è ancora protetto.

I documenti elettronici e le basi di dati hanno però caratteristiche che mettono ulteriormente in discussione alcuni motivi costanti dell'interpretazione del copyright da parte di Cornish. Le basi di dati, per esempio, sono protette non solo e non tanto dal copyright, ma dalle regole sancite nelle licenze, nei contratti di vendita e di consultazione. Sono le passwords, e non la correttezza degli utenti, che garantiscono l'integrità e i diritti economici di questi prodotti.

Inoltre, nella discussione del concetto di autore a proposito delle basi di dati, che per Cornish sono opere anonime, e quindi come tali vanno protette, si delinea un problema già accennato da Marco Marandola nel suo piccolo saggio intitolato Diritto d'autore, pubblicato dall'AIB nel 1996 nella collana «Enciclopedia tascabile». In realtà, le opere in formato elettronico, contrariamente a quanto scrive Cornish nel capitolo a esse dedicato, sono diverse da quelle su carta. Non sono soltanto opere artistiche o scientifiche - opere dell'ingegno - secondo la definizione adottata nella legge italiana sul diritto d'autore, ma sono insiemi strutturati di informazioni. Questo provoca, secondo Marandola, problemi di «estensione analogica della previsione normativa». Su un piano più ampio, il cambiamento produce una trasformazione del concetto di opera, di quello di autore, e una corrispondente modificazione del ruolo delle biblioteche e dei loro utilizzatori. I documenti elettronici sono un esempio di quanto la forma di un testo modifichi il suo contenuto, di come insomma esista un "contenuto" della forma, o, se si vuole, di come anche in questo caso il "mezzo" sia divenuto il "messaggio".

Il problema della definizione dei documenti elettronici e della loro trasmissione peraltro oltrepassa i confini della discussione sul copyright e non può trovare molto spazio nella serrata intervista di Cornish. Quindi se la sua posizione su questi temi sembra troppo rigida, forse un po' deludente, in realtà il libro è comunque un utile strumento per arginare il disorientamento di fronte alle incertezze della legislazione italiana e per incoraggiare la discussione e le iniziative dei bibliotecari a questo proposito.

Anna Vaglio, Biblioteca dell'Università Bocconi