Problemi di impostazione di un codice di catalogazione
di Alberto Petrucciani

I codici di catalogazione più noti, fra i quali le RICA e le AACR2, risalgono per la loro impostazione strutturale a venti e più anni fa, e quindi a un contesto assai differente da quello attuale per quanto riguarda tipologia di materiali, loro forme di presentazione, strumenti e metodi di realizzazione e consultazione dei cataloghi, pratiche di ricerca e fruizione degli utenti. Si può sostenere con ragione, nello stesso tempo, che le funzioni generali dei cataloghi siano nella sostanza tuttora (e per il futuro prevedibile) quelle definite oltre cent'anni fa da Cutter. I codici di catalogazione, tuttavia, costituiscono proprio il ponte fra un'enunciazione generale di funzioni e la realizzazione concreta dei cataloghi, e non possono perciò non risentire dei tanti e importanti cambiamenti che gli ultimi decenni hanno portato.

Le RICA si inscrivono nella tradizione che potremmo dire "lubetzkiana", quella dell'analisi del 1953 e del draft code del 1960 1 , confluita in gran parte nei Principi di Parigi. Pur all'interno di principi di base comuni, piuttosto diversa è l'impostazione delle AACR2 che - senza addentrarci in un'analisi anche storica sicuramente complessa e in parte controversa - potremmo dire "gormaniana": una impostazione che risale essenzialmente alle ISBD e che si manifesta non solo e non tanto con il "primato" accordato alla descrizione quanto con una diversa struttura testuale (quella appunto consueta nelle ISBD, che parte dagli scopi e dalla definizione dei concetti per approdare poi alle prescrizioni specifiche).

Non è tanto facile sceverare, in quest'ultimo "paradigma", l'aspetto testuale da quello teorico-catalografico, anche se si potrebbe dire che il primo appare ormai acquisito, per la sua funzionalità, la sua coerenza con l'approccio tipico degli standard non esclusivamente bibliotecari (norme ISO, ecc.) e la sua diffusione in documenti analoghi (dalle Guidelines for authority and reference entries dell'IFLA alla Guida all'indicizzazione per soggetto del GRIS).

Dal punto di vista della struttura testuale, quindi, non mi sembra che possa essere considerata tuttora funzionale - se mai lo è stata - l'impostazione formale delle RICA, che partono in medias res con una regola 1 («Un'opera [...] di un autore si scheda sotto il suo nome») che dà per scontato quasi tutto sull'organizzazione del catalogo, sui concetti e principi di catalogazione, e perfino su gran parte di ciò che segue. Embrioni di un'impostazione diversa, del resto, sono già presenti in altre parti delle RICA (Forma dell'intestazione, Descrizione) e costituiscono guide importanti per l'interpretazione delle norme che seguono e per l'applicazione a situazioni non previste.

Meno chiarito e consolidato è l'aspetto teorico del paradigma che ho chiamato "gormaniano", a partire dalla questione non superficiale dell'autonomia e interdipendenza fra descrizione e punti di accesso (principalmente, ma non esclusivamente, per autori e titoli). A me pare che la descrizione bibliografica sia essenzialmente costruzione di un insieme strutturato di informazioni finalizzate a una fase (quella di riconoscimento e/o selezione) di un processo complessivo di ricerca documentaria, processo che può avere il suo grado zero nello scorrimento di registrazioni non ordinate in alcun modo, ma che in genere e di norma si svolge in uno strumento complesso (catalogo, bibliografia, banca dati) che comporta una varietà non casuale di approcci (autori, titoli, soggetti, ecc.).

In questo senso, come ha notato anche Maltese, le norme di descrizione vanno pur esse inscritte all'interno di norme di catalogazione che prevedano funzioni di ricerca dell'informazione a cui anche la descrizione risponde (oltre che ai frontespizi, per capirci). Ne fanno fede i parecchi casi, in RICA (par. 4, 7.2, 22, per non parlare delle tante questioni relative ai titoli come punti di accesso) o anche in AACR2, nei quali il raggiungimento degli obiettivi del catalogo per autori dipende da scelte descrittive o le determina.

Sempre in quest'ambito, complessa è anche la questione analoga della precedenza e interdipendenza fra scelta dei punti di accesso e individuazione dell'intestazione principale. Come è noto, anche su questo punto vi sono due paradigmi in diametrale opposizione. Quello "lubetzkiano", da una parte, che ritiene che la scelta dell'intestazione principale sia il primo atto da compiere (preliminare in qualche modo anche alla descrizione, e comunque integrato dall'individuazione delle altre intestazioni eventualmente necessarie), con il corollario di ritenere l'intestazione principale stessa elemento indispensabile della notizia bibliografica esibita dal catalogo. Quello "gormaniano", dall'altra, che al contrario procede dalla descrizione ai punti di accesso e quindi, come ultimo (e forse eventuale) passo, alla designazione di uno di essi come principale 2 .

Le RICA (ma anche le AACR2) sono strutturate, più o meno compiutamente e felicemente, secondo una tipologia di condizioni bibliografiche incentrata sull'opera più che sulla pubblicazione (anche se molto meno di quanto AACR2 20.1 pretenda) e finalizzata prioritariamente all'individuazione dell'intestazione principale. È più difficile capire, invece, come sarebbe meglio strutturata questa parte se venisse posto in primo piano l'insieme dei punti di accesso indispensabili, lasciando come decisione ultima (e forse non indispensabile) quella sull'intestazione principale.

In effetti, la questione dell'intestazione principale, spesso sbrigativamente liquidata, non mi pare compiutamente risolta. Ciò può dipendere, d'altra parte, non da una carenza di analisi, bensì dall'esistenza di legittime valutazioni diverse legate sia ai materiali che agli utenti.

Come ha chiarito con l'abituale acribia Michael Carpenter, varie sono le accezioni e le funzioni dell'intestazione principale. Lasciando da parte il suo uso in elenchi ad accesso singolo, l'intestazione principale - cito da Carpenter - «will be seen to be (1) completely consonant with at least one type of online catalog, and (2) suitable as a device to bring together the editions of a work, the works of an author, and related works» 3 .

Una delle sue funzioni, com'è noto, riguarda la presentazione delle informazioni: essa accompagna (anzi precede, di solito in risalto) la descrizione e altri dati (gestionali, ecc.) nella visualizzazione della notizia bibliografica. Dato che le ISBD prescrivono l'indicazione di responsabilità e ammettono, nelle note, ogni ulteriore informazione in proposito, questo ruolo dell'intestazione principale non è (più) indispensabile, ed è certo in qualche misura ridondante, ma di fatto non è stato quasi mai abbandonato, almeno nelle applicazioni bibliotecarie più significative, per esigenze di funzionalità e chiarezza. Infatti, se in vari casi la visualizzazione a partire dal titolo è sufficiente e chiara, in molti altri presentazione editoriale e convenienza dell'utente fanno preferire che sia dato il massimo rilievo al nome dell'autore (per esempio per opere letterarie e raccolte con titoli generici, manualistica con titoli canonici, ecc.). Anche se su base puramente empirica, mi pare difficile negare che la modalità più comune di presentazione dei risultati di una ricerca in OPAC, bibliografie nazionali e simili, con intestazione principale, prime parole del titolo e data in una lista breve, e nella visualizzazione completa con l'intestazione al principio e in evidenza, sia la più chiara e funzionale. Il che equivale a dire - un po' paradossalmente - che l'intestazione principale in cataloghi in linea dà risultati migliori, sotto il profilo della chiarezza, di quanto diano lo stesso sistema oppure quello alternativo in cataloghi cartacei (mi riferisco al classico esempio negativo di Carducci e Betteloni nel par. 26 dell'Appendice II delle RICA).

Più complessa è l'altra (e in genere considerata maggiore) funzione dell'intestazione principale, quella di riunire edizioni di un'opera e opere di un autore. È piuttosto evidente, mi sembra, che per questa funzione l'unicità dell'intestazione principale non è indispensabile ed è anzi intrinsecamente contraddittoria (in quanto una pubblicazione può contenere più opere indipendenti e un'opera può avere più autori su un piano di parità). Del resto, come potrebbe essere diversamente se da una parte l'intestazione principale deve rappresentare l'opera di un autore e dall'altra deve avere un rapporto uno-a-uno con la singola pubblicazione?

In effetti, lasciando da parte le opportunità di presentazione delle informazioni a cui ho accennato sopra, il problema da affrontare è semplicemente quello di condurre da una delle varie maniere di fare riferimento a un'opera (o a un autore) al "pacchetto" delle informazioni che la (o lo) riguardano. Da questo punto di vista, è evidentemente fuori luogo - come è stato mostrato molto tempo fa da Domanovszky - l'alternativa di adottare (per esempio come in RICA 85) accessi secondari per il titolo uniforme o altri elementi analoghi. Non si tratta di avere sotto un particolare titolo (o, se è per questo, sotto una particolare forma del nome di un autore) tutte le informazioni pertinenti, ma di condurre ad esso dalle altre varianti che possono essere in uso. In questa ottica, e dato che nel catalogo elettronico non è più in causa lo spostamento fisico dell'utente da un punto all'altro dello schedario, si tratta di un problema di rinvii (di registrazioni di autorità, se si preferisce) piuttosto che di accessi alla singola descrizione bibliografica.

Esemplificando - per mostrare alcune conseguenze su casi ben noti - sono inaccettabili le intestazioni secondarie ad autori a cui l'opera sia erroneamente attribuita sul frontespizio o altrove (RICA 2.2 e 3), non tanto perché "inquinino" la terza funzione del catalogo, ma perché non forniscono indicazioni chiare e uniformi sulla collocazione delle altre edizioni della stessa opera. Inversamente, non ha molto senso ribaltare la presentazione della pubblicazione (come nell'esempio de Gli scritti linguistici di Alessandro Manzoni nel par. 14.1), quando quello che serve non è una intestazione principale che inevitabilmente cozza con il titolo quanto un punto d'accesso anche "secondario" ma adeguato (nella formulazione del titolo) all'opera che si vuole segnalare. In altri termini, i punti di accesso uniformi devono essere basati sul contenuto della pubblicazione, mentre può essere la sua presentazione a determinare quale opera porre in risalto, quando ve ne sia più di una, dato che ciò non interferisce sulla seconda funzione del catalogo (che va comunque soddisfatta per ognuna). Al contrario, la presentazione di una singola edizione non può essere determinante fra alternative di intestazione a una stessa opera (come avviene, per esempio, nel par. 13 delle RICA).

Quello che vorrei sottolineare, e che emerge anche in tante altre questioni su cui non mi posso soffermare (opere in relazione, scelta e variazioni nei nomi degli enti, enti subordinati, parti di opere pubblicate separatamente, ecc.), è che il catalogo elettronico ha drasticamente semplificato il problema di recuperare una pubblicazione nota, soprattutto quando è possibile combinare nella ricerca più elementi, rendendo irrilevanti molte preoccupazioni dei codici di catalogazione per le forme più dirette o più "semplici". Semplici con le virgolette, perché mi chiedo se vi sia qualcuno - oltre al catalogatore che ha il libro in mano - che ricorda esattamente, per esempio, nome e cognome dell'oscuro professore a cui è stata intitolata una biblioteca dell'università, o in quale forma figura nel libro desiderato un certo Assessorato alla cultura.

I cataloghi elettronici soffrono, al contrario, della proliferazione di registrazioni e punti di accesso molto simili, oppure inutilmente dispersi, che ne rendono l'esplorazione estremamente macchinosa (lunghezza delle liste, limiti orizzontali e verticali della visualizzazione sugli schermi ordinari, numero dei passi necessari per l'esame delle singole registrazioni, ecc.).

Se rimangono ancora su un piano solo teorico i ripensamenti complessivi dell'architettura del catalogo (modelli per entità e relazioni, modelli basati sull'opera come unità di base), mi sembra che si possano già compiere dei passi in direzione di una migliore articolazione dell'analisi bibliografica che sta dietro alla scelta dei punti di accesso (pubblicazione, opera/e e contributi, responsabilità per le une e gli altri) e di un sostanziale spostamento di peso dalla scelta (e forma) dei punti di accesso per la singola unità bibliografica allo sviluppo del sistema di controllo di autorità (o, meglio, di controllo dell'accesso). Si tratta della stessa direzione, del resto, in cui va l'indicizzazione per soggetto: non più una dicotomia opaca fra voci e sottovoci bensì una vera analisi sintattica, non più generici rinvii o richiami ma una chiara distinzione tra le relazioni semantiche fra concetti e i punti di accesso a una stringa. E non è un caso che la direzione sia la stessa: l'accumulazione e la complessità si padroneggiano con l'analisi e la sistematizzazione.

Un più chiaro sviluppo dell'analisi bibliografica (analisi della composizione della pubblicazione, delle opere e dei contributi che contiene e delle relative versioni, individuazione delle relative paternità e responsabilità), oltre a permettere di ridurre o eliminare i residui di norme per categoria, semplificando il codice, guiderebbe il catalogatore lungo un percorso che è cruciale non solo per il raggiungimento di risultati omogenei nel campo della catalogazione per autori, ma più in generale per tutto il trattamento (anche semantico o gestionale) dei documenti.

Altra questione pervasiva e complessa è quella del riferimento, in un codice di catalogazione, alle pubblicazioni a stampa (o addirittura alle sole monografie), o invece al complesso dei documenti pubblicati e quindi suscettibili di trattamento bibliografico. Questa seconda scelta può non rivelarsi facile ma risponde a un'esigenza difficilmente rinviabile. Vorrei sottolineare, comunque, che si tratta di scelte alternative, ciascuna con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi: cercare di applicare ad altri materiali, per analogia, norme scritte per le monografie a stampa è cosa molto diversa dall'applicare norme effettivamente generali. L'analogia, come si sa, è un meccanismo potente ma incontrollabile.

L'ultima questione a cui vorrei accennare riguarda ancora il codice nel suo complesso e in quanto testo. Le RICA sono indubbiamente un codice "dotto", che di solito soppesa le parole richiedendo una fine analisi delle loro connotazioni e affidandosi spesso a un maturo ed equilibrato giudizio (basta pensare a espressioni come "opportuno", "evidente", "sullo stesso piano", "espressione generica", "intenzioni d'arte", ecc.). Inoltre, secondo una consolidata tradizione, norme e scelte richiedono molto spesso elementi di conoscenza e di valutazione non formali, che rimandano a un "fuori" (almeno enciclopedico e bibliografico). Cito solo un caso evidente, di tre nomi apparentemente analoghi (scelti fra i più noti per evitare lunghe spiegazioni e presentati in tutte maiuscole come in molti frontespizi) che danno origine a tre intestazioni di tipo diverso: MASSIMO D'AZEGLIO, GABRIELE D'ANNUNZIO e LEONARDO DA VINCI.

Le questioni di forma delle intestazioni, sia detto per inciso, stanno assumendo sempre maggiore rilievo, tanto che è stata avanzata anche la proposta - da ponderare accuratamente - di prevedere sempre e comunque un accesso dalle forme dirette dei nomi 4 . È poi evidente che gli scarni paragrafi dedicati dalle RICA ai titoli richiedono un cospicuo intervento, anche considerando l'importanza che ha assunto questo tipo di accesso. Quello che vorrei sottolineare qui è che l'importanza di queste norme in un codice non è assolutamente attenuata dall'eventuale esistenza di servizi bibliografici che curino archivi di autorità, così come altre parti non perdono significato per la diffusione della catalogazione derivata. Anche se esistesse un solo ente che cataloga o produce archivi di autorità, servirebbero delle norme per farlo, e queste riguarderebbero comunque l'intera comunità bibliotecaria.

A mio avviso, se rimangono tuttora valide le ragioni per le quali il catalogo deve rispecchiare i fenomeni culturali e storici, senza poter imporre oltre certi limiti le esigenze di normalizzazione e di semplificazione, mi sembra sempre più difficile - e comunque non necessario né opportuno - procedere dando per scontato che chi legge o usa il codice condivida gli stessi presupposti culturali o parli esattamente la stessa "lingua" (che è poi quella di un buon laureato in lettere di cinquant'anni fa). Questi presupposti culturali non sono, a mio parere, quasi mai da abbandonare, ma quasi sempre sono da rendere espliciti, perché un codice di catalogazione non è un libro sacro che attenda saggi esegeti ma uno strumento di lavoro che non può prescindere, ovviamente, dalla comprensione e dal giudizio, ma deve definire esattamente i concetti che usa, introdurli uno alla volta e ordinatamente, non impiegarli in sensi diversi, elencare con espliciti legami logici (e/e, e/o, ecc.) e con un chiaro ordine di priorità i criteri che indica, e così via.

In conclusione, l'analisi approfondita che la Commissione ha fin qui svolto sul testo delle RICA, pagina per pagina e parola per parola, mi sembra abbia mostrato, molto più di quanto si noti nella utilizzazione quotidiana, l'esigenza di una revisione sistematica del testo per renderlo più chiaro, ben strutturato, semplice e operativo, pur mantenendone immutate le opzioni di fondo.


1 Seymour Lubetzky, Cataloging rules and principles, Washington: Library of Congress, Processing Department, 1953, e Code of cataloging rules, [Chicago]: American Library Association, 1960.

2 Il punto di riferimento "classico" per questo dibattito sono gli atti dei convegni del 1975 e 1977 raccolti in: The nature and future of the catalog, edited by Maurice J. Freedman and S. Michael Malinconico, Phoenix: Oryx Press, 1979 (in particolare Seymour Lubetzky, Ideology of bibliographic cataloging: progress and retrogression e The traditional ideals of cataloging and the new revision, p. 5-13 e 153-161; Michael Gorman, Cataloging and the new technologies, p. 127-136). Gorman è recentemente tornato sull'argomento con la relazione non ancora pubblicata (Seymour Lubetzky, man of principles) al convegno organizzato dall'UCLA per il centesimo compleanno di Lubetzky, il 18 aprile 1998.

3 Michael Carpenter, Main entry, in: The conceptual foundations of descriptive cataloging, edited by Elaine Svenonius, San Diego: Academic Press, 1989, p. 73-95 (p. 73).

4 Cfr. Giulia Visintin, Nomi di persona: i nomi, «Bollettino AIB», 38 (1998), n. 1, p. 59-64.


ALBERTO PETRUCCIANI, Università degli studi di Pisa, Dipartimento di storia moderna e contemporanea, piazza Torricelli 3A, 56126 Pisa, e-mail petrucciani@aib.it.