Guy Bechtel. Gutenberg. Traduzione italiana di Daniela Solfaroli Camillocci. Torino: Società editrice internazionale, 1995. VI, 474 p.: ill. (Storia). ISBN 88-45-05379-1. L. 45.000.
L'autore di quella che – a nostra cognizione – è l'unica monografia sul magonzese apparsa nell'area italiana in tempi recenti non è uno specialista di storia del libro o della stampa, e ciò potrebbe spingere a chiedersi perché un editore prestigioso come quello dell'originale francese (Fayard) l'abbia accolta nel suo catalogo. Ma chi lo segua nella sua ricostruzione, tanto scrupolosa quanto gradevole (e non priva di lampi di affettuosa ironia), deve ammettere che proprio la sua capacità di adottare una metodologia interdisciplinare sembra averlo messo in grado di sostenere con disinvoltura i complessi problemi qui affrontati. Per riuscirvi, eliminata con cognizione di causa la parte invendibile dello "stock Gutenberg", sceglie la via più rischiosa – ma più feconda – del ritorno alle fonti, scritte e materiali. Pur essendo ben conscio che il loro estremo depauperamento, dovuto all'incuria e alla malvagità umane, ha finito col far vegetare, attorno ai pochi alberi d'alto fusto (Hoffman, Kapr, Needham, Hellinga, Ruppel, Geldner, Ing, ecc.), tutto un intricato sottobosco di rovi ed erbacce, spintosi fino alla negazione del ruolo decisivo avuto dal Nostro nel processo inventivo.
Se accetta senza problemi i precedenti cinese e coreano, dimostra però che la stampa europea non ne subì l'influsso, rifiuta l'assioma del preteso brusco aumento della domanda documentale frutto dell'Umanesimo e delle riforme e affronta di petto quell'aspetto tecnologico dell'invenzione che, misconosciuto da certa storiografia succuba di precomprensioni socioeconomiche, nella sua crudezza si rivela decisivo non soltanto per definire cronologia e contesto, ma anche per la attribuzione al Nostro e ai suoi collaboratori della Bibbia delle 42 linee (B42).
L'uso scaltrito delle testimonianze (specialmente la lettera di Enea Silvio Piccolomini e l'istrumento notarile di Helmasperger) gli permette di collocare la società Gutenberg-Fust tra il 1450 e il 1455, e anche di stabilire che i pur cospicui guadagni della vendita vennero ampiamente superati dalle spese: le Indulgenze di Magonza del 1454-1455 (I31 e I30), i cui caratteri le connettono alle botteghe di Gutenberg, insieme ad altre opere più impegnative, avrebbero avuto il compito di puntellare le loro traballanti finanze. La B42 (composta tra il 1452 e il 1454 e stampata in due tirature, tra i 158 e i 180 esemplari) appare così essere il frutto più maturo di un'impresa bene organizzata tecnologicamente ed esteticamente: si considerino le pagine dedicate alla storia interna della tipografia e alla ripartizione dei meriti fra Schöffer, Fust e Gutenberg.
Quest'ultimo, pur non avendo probabilmente fuso un solo carattere, fu di certo non soltanto il progettista geniale, ma anche il capace direttore tecnico dell'officina. Delegando agli altri soci il disegno dei tipi e la commercializzazione del prodotto e concentrandosi sulla moltiplicabilità del risultato, appare innovatore intelligente, volitivo e consapevole delle possibilità della sua invenzione (in contrasto con gli stantii luoghi comuni che lo vollero candidamente sfortunato).
La traduzione italiana appare nitida e fedele e le sue inevitabili mende (qualche cedimento ai registri del parlato, un nome comune con valore di nome proprio con l'iniziale minuscola, alcune omissioni di note traduzioni italiane) non ne inficiano che marginalmente la bontà.
La biografia dell'ingegnere magonzese s'inscrive nella ristretta cerchia delle alte divulgazioni, che per la loro dichiarata scientificità hanno un fascino ben maggiore di precedenti quasi romanzeschi.
Alessandro Crisafulli, Istituto di trasporti, Università di Palermo