Le raccolte librarie private nel Settecento romano, a cura di Maria Iolanda Palazzolo e Concetta Ranieri. «Roma moderna e contemporanea», 4 (1996), n. 3.
La rivista «Roma moderna e contemporanea», pubblicata dall'Archivio Guido Izzi col contributo della Banca di Roma, ospita fin dall'inizio nei propri fascicoli quadrimestrali sezioni monografiche solitamente dedicate a temi di prevalente interesse romano. Un riferimento più vasto rispetto alla capitale era stato effettuato in un precedente fascicolo destinato alla trattazione di argomenti di carattere librario: il n. 2 del 1994 su Editoria e commercio librario nelle capitali italiane d'ancien régime.
Il fascicolo ora in esame torna invece, a proposito di libri, a riferirsi all'ambiente specifico di Roma, circoscrivendo l'ambito tematico della ricerca alle raccolte private e quello cronologico al XVIII secolo. Emerge una descrizione molto attenta delle biblioteche di alcuni personaggi della Roma settecentesca, interessanti soprattutto per il fatto di non costituire degli esempi di strutture cardinalizie e curiali, anche se a questi ambienti taluni dei personaggi presi in considerazione erano comunque legati, quanto piuttosto di una fisionomia delle raccolte più propriamente privata e più connotata in senso professionale, con riferimento al mondo dell'accademia, all'esercizio dell'attività forense, alla cultura classica, peraltro intessuta di curiosità scientifiche e preoccupazioni pedagogiche, all'esercizio di attività artigianali e artistiche.
Espressione dell'attività svolta dal suo proprietario quale "Custode d'Arcadia" è la raccolta libraria di Giovan Mario Crescimbeni, studiata da Concetta Ranieri sulla base dell'inventario redatto dal libraio Giuseppe Dondini, ai fini della vendita della parte a stampa disposta per volontà testamentaria dello stesso Crescimbeni e il cui ricavato era stato da lui destinato alla Basilica di S. Maria in Cosmedin in qualità di erede universale.
Il successivo saggio di Sergio Pagano è dedicato alla biblioteca dell'abate Antonio Vitale (definito nel titolo del contributo "ecclesiastico illuminista"), costituita in ragione della attività svolta dal suo proprietario non solo nella giurisprudenza di entrambi i fori, ma anche in studi di varia erudizione (soprattutto di storia diplomatica ecclesiastica), e riconoscibile nella sua composizione sulla base dell'elenco composto in gran parte dallo stesso Vitale presso la casa paterna ad Ariano, dove la libreria era stata da ultimo collocata.
La biblioteca di Giovanni Battista Visconti, padre del più celebre Ennio Quirino e successore del Winckelmann, nel 1768, nella carica di Commissario delle antichità di Roma, viene esaminata nel contributo di Paolo Vian. Il documento che permette di ricostruire la fisionomia della raccolta, che accanto alle materie ecclesiatiche, ai classici italiani e francesi (oltre che greci e latini) e all'antiquaria di vario genere comprende significativamente le testimonianze più mature e attuali della scienza e della riflessione giuridica e filosofica sei-settecentesca, è costituito da un codicetto cartaceo, ora alla Vaticana, redatto da Ennio Quirino in forma di inventario dei volumi, con la relativa stima, destinato alla vendita della biblioteca decisa dagli eredi dopo la morte del possessore. Il saggio del Vian riporta anche, a conclusione, una sorta di institutio domestica stesa da Giovanni Battista Visconti nel 1765 e dedicata alla compiaciuta descrizione del tirocinio educativo e dei progressi intellettuali del figlio. L'intitolazione del relativo paragrafo, Una biblioteca per l'educazione di un figlio, risulta suggestiva, anche se sembra, per la verità, promettere qualcosa di più rispetto all'interesse effettivo del documento riportato.
I due saggi successivi riguardano entrambi raccolte librarie possedute da personaggi dediti ad attività artistiche, anche se di genere assai diverso tra loro: l'incisione di materiali preziosi, nel caso di Giovanni Pikler, la cui biblioteca è studiata da Maria Iolanda Palazzolo; la composizione musicale sacra e profana nel caso di Nicola Zingarelli, al quale è dedicato il contributo di Maria Pia Donato. A parte la diversa consistenza e la diversa fonte conoscitiva delle due raccolte (un inventario redatto a causa di morte nel caso del Pikler; un elenco che accompagnava l'atto di donazione alla Compagnia di Gesù nel caso dello Zingarelli) emergono nelle due biblioteche alcuni tratti comuni, soprattutto per quanto riguarda il possibile uso strumentale di una certa parte dei libri posseduti ai fini delle rispettive professioni.
Proprio questi tratti relativi a una precisa esperienza di vita e a un utilizzo pratico servono effettivamente, come è posto bene in rilevo nell'Introduzione di Maria Iolanda Palazzolo, a fare di queste biblioteche delle «raccolte librarie private», differenziandole profondamente da un lato dal modello di biblioteca cardinalizia, destinata a esercitare, soprattutto a opera di bibliotecari dotti, una funzione mediatrice tra il principe-mecenate, il mondo dell'erudizione e quello del commercio librario, dall'altro dalle biblioteche di puro collezionismo, dove l'interesse personale del proprietario per determinati temi di carattere culturale è nettamente sovrastato e reso poco visibile da quello per il libro in quanto documento-oggetto.
L'accento, in ricerche di questo genere, si sposta allora più sugli "interessi di lettura" di determinate categorie di possessori – nelle quali possono forse intravedersi, nel tardo Settecento, i prodromi dei futuri ceti borghesi – rispetto a una storia più di tipo istituzionale nella quale non può che venire in primo piano la dialettica tra il carattere "privato" quanto all'appartenenza che le grandi raccolte nobiliari e cardinalizie ancora possiedono e la tendenza, per esse del tutto naturale, ad aprirsi a un uso pubblico. Il che peraltro non equivale, a mio avviso, a legittimare, almeno per l'età contemporanea, la riduzione del carattere "pubblico" di una biblioteca a quello della sua destinazione. Ben diversi saranno infatti, nella storia bibliotecaria dei due ultimi secoli, gli esiti delle biblioteche pubbliche nate sulla base dell'apertura di raccolte già costituite da eminenti privati, rispetto a quelli degli istituti che sorgeranno direttamente ed esclusivamente sulla base di una scelta e di una volontà istitutiva di enti effettivamente dotati di natura pubblica.
Paolo Traniello, Università dell'Aquila