Steven L. Hensen. Archivi, manoscritti e documenti: manuale di catalogazione per archivi storici, società storiche e biblioteche che possiedono manoscritti. San Miniato (Pisa): Archilab, 1996. X, 268 p. (Manuali; 1). L.30.000.
Parecchi archivisti italiani, almeno tra quelli che scrivono intorno alla propria disciplina, mostrano diffidenza (spesso acuta insofferenza) per tutto ciò che richiami in qualche modo biblioteche e biblioteconomia; tenendo a sottolineare la distanza irrevocabile tra i due mondi, distanza procurata dalla diversità d'orizzonte, di materiale e conseguentemente di metodi. Dall'altra parte, cioè dalla parte dei bibliotecarî, sembra di poter dire che non si faccia granché in merito: in genere si è indifferenti, o la questione è ignorata.
La pubblicazione, in ambito archivistico, della traduzione italiana di questo manuale notissimo (in seconda edizione, del 1989; il titolo originale suona Archives, personal papers, and manuscripts) è perciò abbastanza sorprendente. Perché l'autore fin da titolo e sottotitolo sembra sfidare i concetti tradizionali, usando termini in archivistica "proibiti": catalogazione, manoscritti. In realtà, chi legga il volume non s'imbatterà in nessuna sfida. L'autore è americano (Duke University Library) e non si pone certe questioni. Ma delle differenze è ben consapevole. Si veda il punto 0.8: «La descrizione o la catalogazione archivistica, stabilite in questo manuale, si basano su indubbi assunti riguardo alla natura dei materiali d'archivio e al modo in cui gli archivisti li gestiscono. 1) Il loro significato dipende perlopiù dal contesto della loro creazione, ad esempio dalla loro provenienza. 2) La maggioranza di questi spesso esiste in forma di gruppi o di agglomerati e viene gestita a livello collettivo. 3) Spesso sono unici, generalmente "non pubblicati", di solito generati come sottoprodotti di tipo documentario di certi tipi di attività umana. Con questi assunti alle spalle, un catalogatore si troverebbe ad usare questo manuale per creare un documento che esemplifichi il controllo archivistico sui materiali del testo, piuttosto che il controllo bibliografico. Il processo di catalogazione archivistica consiste prevalentemente in interpretazione, estrapolazione o creazione di estratti di informazioni che provengono dal materiale e dal suo contesto» (citiamo fedelmente la traduzione italiana, su cui torneremo; abbiamo soppresso alcuni capoversi; corsivi dell'autore). E anche la singolarità di assumere come base della propria trattazione un codice di catalogazione biblioteconomica, nella fattispecie le Anglo-American cataloguing rules, Second edition (AACR2), è più apparente che reale. Infatti scopo del manuale è di «sostituire [scilicet per ciò che riguarda la descrizione] il capitolo 4 [Manoscritti] delle AACR2 per depositi che, nelle loro catalogazioni, desiderano porre in evidenza aspetti del controllo archivistico sul controllo bibliografico» (0.2); «le regole per la registrazione sotto nomi di enti, in particolare, sono diverse da quelle delle AACR2» (0.9); e si veda anche il minuscolo glossario che compare a 1.0A. Si tratta quindi di ricavare dal codice angloamericano (da cui si riprende anche il sistema mnemonico di numerazione delle regole) tutto ciò che è utilizzabile in sede archivistica, modificando o sopprimendo regole incongrue con la natura dei documenti d'archivio, e inserendone di nuove. Ma si deve anche dire che l'operazione non snatura quel codice con le caratteristiche di codice aperto che è AACR2 e anzi ne dimostra la flessibilità. Addirittura molti degli esempî del codice catalografico sono rimasti intatti nel manuale. Può sorprendere – facciamo uno solo dei tanti casi – che come esempio di titolo parallelo (1.1D1) si sia conservato quello presentato da AACR2: Twenty love poems and a song of despair = 20 poemas de amor y una canción desesperada. La presenza del libro di Neruda sembrerebbe da escludere in ambiente archivistico. Ma 1) la validita generale dell'esempio resta intatta trasmigrando dall'uno all'altro campo e 2) il manuale è destinato contemporaneamente agli archivî veri e proprî e a quelli che con termine generico ma comprensibile potremmo chiamare archivî letterarî. Una commistione, quest'ultima, che vediamo praticata anche in Italia e su cui ci piacerebbe si discutesse un po' di più.
Gli apporti di AACR2, con o senza interventi adattativi, sono imponenti; riguardano essenzialmente la descrizione, la forma dei nomi di enti e persone, la forma dei nomi geografici, i titoli uniformi (minori, com'è intuitivo, sono gli elementi mutuati nel settore della scelta dei punti d'accesso; ma oggi questa scelta ha perso gran parte del suo peso). Ed è naturale che sia così, dal momento che non si comprende come la descrizione (ripetiamo: la descrizione) di un oggetto debba cambiare secondo il luogo in cui è conservato, e lo stesso debba accadere a un nome, sia esso di persona o di ente; sul rilievo che nei repertorî moderni assume il titolo uniforme (in campo archivistico sarà più alta la frequenza di quelli interamente coniati) non c'è bisogno di spendere parole.
Un accenno alla traduzione. Essa tradisce una scarsa familiarità con la terminologia professionale (anche la revisione condotta, come ci dice il verso del frontespizio, da un'archivista americana non sembra essere stata molto efficace) e anche un uso poco agile della lingua italiana, come si sarà già visto dalle parche citazioni fin qui utilizzate. Un solo altro esempio: intitolare una regola (3.9) Voce sotto frase significa rendere incomprensibile a prima vista il contenuto del paragrafo stesso, che riguarda le registrazioni sotto un'intestazione personale che non consista di un nome o d'iniziali, lettere o numerali ma di un'espressione (per esempio, Father Time). Ma, quel ch'è peggio, ci sembra si tradiscano le intenzioni dell'autore lasciando intatti certi esempî. In strumenti come AACR2 o questo manuale, quando la regola prescrive che un certo elemento dev'essere dato nella lingua del catalogo/inventario, non si possono riportare tali e quali Gregory I, Pope o Florence (non Firenze). Se lo strumento è riconfezionato per il mondo culturale italiano, nel primo caso si dovrà andare a Gregorio I, papa; nel secondo si dovrà mutare l'esempio: mettiamo Londra (non London).
Nonostante queste pecche, la pubblicazione da parte di Archilab di questo manuale è meritoria, perché contribuirà a mettere in evidenza ciò che due campi separati possono (o debbono) avere in comune, senza per questo rinunziare alle loro peculiarità (d'altra parte, qualsiasi biblioteca, almeno quelle di grandi dimensioni, applica metodi archivistici a certi suoi materiali); faciliterà l'impiego delle risorse tecnologiche nuove anche nel campo degli archivî; e favorirà l'ibridazione tra campi disciplinari diversi, che è la ricetta di tanta cultura moderna.
Luigi Crocetti, Firenze