DISCUSSIONI
Nomi di persona: i nomi
di Giulia Visintin

Molti l'hanno incontrato per la prima volta a piè di pagina 82 delle RICA, è a portata di mano dei catalogatori di tutto il mondo, anche se non si usa tutti i giorni: quando vi si ricorre, tuttavia, la sua utilità è evidente, e quale biblioteca - anche non grande o non specializzata - non si è mai trovata a trattare il romanzo di un pressoché sconosciuto premio Nobel africano o di una raffinata ed elusiva autrice giapponese? Non meraviglia che di Names of persons [1] sia stata pubblicata nel 1996 la quarta edizione (la precedente risaliva al 1977, con un supplemento uscito nel 1980). Questa longevità e fortuna sono giustificate infatti dalla funzione del repertorio, sicuramente impossibile da assolvere nell'ambito di un solo codice di regole di catalogazione, neppure se cosmopolita come le regole anglo-americane (che infatti vi rimandano dal paragrafo 22.21A, preliminare a quattordici pagine di onomastica esotica). Ma vi sono altri motivi per essere affascinati da questo elemento basilare della strumentazione allestita dall'IFLA al servizio dei programmi di controllo bibliografico universale, nato nel 1963 sulla scorta del dodicesimo dei principi di Parigi. Innanzi tutto, al di là della garanzia scientifica offerta dall'IFLA, ogni pagina è controllata e approvata da persone provviste contemporaneamente di due caratteristiche, essenziali dal punto di vista degli utenti professionali del repertorio: si tratta di bibliotecari e bibliografi che appartengono a ciascuna delle nazioni passate in rassegna. Professionisti dunque, consapevoli degli scopi del lavoro e delle finalità alle quali tende la formalizzazione dei nomi personali, che possono attestare per conoscenza diretta, di madre-lingua, usi e particolarità dei vari sistemi onomastici, attuali e del passato. Non esiste un altro strumento come questo: certo ci sono i dizionari biografici, le enciclopedie, gli annuari, perfino gli elenchi telefonici possono in qualche caso tornare utili per la comprensione del modo in cui si compongono i nomi. Ma soltanto Names of persons procede sistematicamente ad analizzare prima la miriade di forme nelle quali si presentano e quindi a indicare, caso per caso, quale parte di essi vada considerata più rilevante, tanto da costituire il primo elemento dell'intestazione relativa e da indicarne la posizione in una sequenza alfabetica di più intestazioni. Su questo particolare si tornerà fra poco.

La struttura è lineare: 105 capitoli dedicati ad altrettante nazioni, in ordine alfabetico secondo il nome inglese del paese (peccato che esso sia sempre stampato in linea col margine destro, anche nelle pagine pari, a scapito di una consultazione rapida). Ciascun capitolo inizia con l'indicazione della lingua o delle lingue in uso in quella nazione, per dare poi il prospetto degli Elementi che sono normalmente parte del nome, seguito da quello dell'Ordine degli elementi nelle intestazioni di catalogo. In entrambi i casi le indicazioni analitiche sono provviste di un certo numero di esempi e dove necessario di note esplicative, di carattere storico o antropologico. Ciascun capitolo può inoltre comprendere indicazioni su: il codice di catalogazione in uso nel paese, gli schemi di traslitterazione in alfabeto latino usati, l'ente responsabile per l'emanazione delle regole (catalografiche) sui nomi, gli archivi di autorità nazionali per i nomi, le fonti e le opere di consultazione consigliate. A conclusione, la data dell'approvazione del testo di ciascun capitolo, sottoscritta come si è detto da bibliotecari del paese stesso. Anche se aprendo il volume alla prima delle tre pagine dedicate all'Italia, curate dall'ICCU, spiccano i nomi di tre autori non esattamente "nazionali" (l'arabo Avicenna e i francesi Céline e Delly), il criterio è ovviamente di illustrare le forme per così dire in natura dei nomi, secondo l'uso dei vari paesi, scegliendo dunque nomi in linea generale indigeni, e di darne le forme normalizzate. Tuttavia non viene mai stabilita una relazione diretta tra gli esempi portati nella prima parte del capitolo (l'esame delle parti che compongono di solito i nomi) e quelli che corredano le indicazioni sull'ordine degli elementi nella forma normalizzata. Che in moltissimi casi si tratti degli stessi nomi balza agli occhi, ma non si usano qui in nessun caso i modelli delle registrazioni di autorità sanciti da altre iniziative dell'IFLA [2, 3].

È superfluo sottolineare il ruolo di perno dell'indicizzazione sostenuto dai nomi personali, non soltanto nella catalogazione che ancora chiamiamo per autori. La quantità di significati e altro 1 che si cela sotto la multiforme presenza dei nomi comunemente detti propri nelle nostre vite - a cominciare dal nostro stesso nome, o nomi - non ha bisogno di illustrazioni. Né, almeno fra i bibliotecari, è più possibile pensare che la sola specificità dei nomi di persona, il loro essere associati ad individualità ben distinte (ma che distinguiamo appunto anche per mezzo dei nomi, e che talvolta, come si sa, non sono neppure così distinguibili), li metta al riparo dalle insidie di un trattamento automatico di registrazione e recupero privo di appropriati dispositivi di controllo non solo strettamente formale. Più interessante può essere vedere come si progredisca nel registrare questo rigoglioso viluppo con l'estendersi in dimensioni e ambiti di applicazione degli archivi di autorità e come - probabilmente proprio in virtù di questo progredire - nuovo interesse si apra al trattamento dei nomi personali come dispositivi d'indice in un'area contermine alla nostra ma tradizionalmente avviata per strade diverse, come il mondo degli archivi. Dal lavoro d'indicizzazione così come è impostato negli archivi, e dalle prime iniziative di controllo delle intestazioni intraprese in quel settore, potrebbero anzi venire utili suggerimenti per un'integrazione negli archivi di autorità di relazioni nuove quali la parentela per le persone 2 o la subordinazione gerarchica per gli enti, come delineato in vari interventi al seminario Standard, vocabolari controllati, liste d'autorità [4], e per una definizione più coerente dei procedimenti di individuazione di ciascuna forma del nome sulla quale esercitare il controllo e la formalizzazione delineate nei capitoli di Names of persons.

Percorrendo la stupefacente varietà dei modi usati sotto ogni cielo per identificare gli individui, con le particolarità escogitate nei secoli per designare le persone investite di una particolare condizione, o semplicemente per distinguere le donne dagli uomini, si ha innanzi tutto il senso di quanto scarno in confronto sia il nostro abituale modello di nome-e-cognome, ma soprattutto si avverte chiaramente tutta la complessità delle operazioni di formalizzazione alle quali i nomi vengono sottoposti per essere calati in quella rigida armatura che è l'intestazione da catalogo. Non occorre dire quanto la formalizzazione proposta in Names of persons riposi sulle norme nazionali - delle quali infatti è prevista la menzione in ciascun capitolo - parte di quel circolo virtuoso che si completa col tener conto degli usi linguistici di un paese al momento di allestire il suo codice di catalogazione. Ma poiché nessun catalogo è un'isola, tanto meno monoglotta, il problema della lingua delle intestazioni non può dirsi risolto semplicemente facendo ricorso a strumenti come questo dell'IFLA. Il piano linguistico è in effetti parte della più complessa questione della pluralità di forme con le quali si può nominare la medesima persona, nominarla specialmente (per quanto conta qui) nelle edizioni delle sue opere e in particolare - sia detto senza voler ridurre l'operazione a una meccanica estrazione di sequenze di caratteri da certe parti delle pubblicazioni - nei frontespizi. Le variazioni linguistiche, più o meno marcate, sono una possibile manifestazione della molteplicità di forme dello stesso nome, che insieme alla pluralità di nomi per la stessa persona 3 - di cui è parte l'alternanza di pseudonimi e nomi reali 4 - costituisce il dominio sul quale esercita il suo controllo la rete delle intestazioni. Anche dalla lettura di uno strumento come Names of persons si ricava il convincimento di una condizione ineludibile dei cataloghi attuali: non è più possibile che una persona sia indicata con una sola intestazione, per quanto accuratamente questa possa essere redatta (per gli enti collettivi questa impossibilità diventa parte essenziale degli stessi criteri di formalizzazione, e può ibridamente partecipare anche di quelli d'indicizzazione). Cessa dunque anche in buona misura la necessità di stabilire quale sia la più appropriata forma uniforme, quale l'ordine dei suoi elementi, quale la sua posizione nell'insieme ordinato delle intestazioni, necessità ovviamente assoluta nel caso in cui la forma normalizzata fosse l'unica offerta nel catalogo 5. Rimane invece in ogni caso la necessità di padroneggiare la composizione dei nomi e delle intestazioni, proprio per evitare le incoerenze maggiormente possibili quanto più popolati sono gli archivi, e per far funzionare al meglio gli archivi stessi.

Data quindi come inevitabile la pluralità onomastica in quella parte del catalogo costituita dalle intestazioni, non sarebbe male riflettere su un paio di possibili ulteriori articolazioni del grappolo di forme nominali riferite alla medesima persona, articolazioni attualmente non contemplate nel sistema di controllo. O meglio, talmente implicite nella pratica catalografica da venire costantemente date per sottintese. Il controllo delle varianti agisce soprattutto sul piano formale (mentre la connessione fra esse si fonda sull'identificazione fra persona e intestazione e fra intestazione e intestazione) ma attualmente trascura le due più importanti differenze formali che corrono fra i nomi-da-intestazione e i nomi come compaiono nelle aree della descrizione - soprattutto, ovviamente, nelle prime due di queste aree. Si tratta delle differenze portate dall'inversione dell'ordine degli elementi del nome e dalla riconduzione al caso nominativo quando sul frontespizio il nome compaia con diversa desinenza.

Per quanto riguarda l'inversione, la pratica è nota e diffusa al punto da essere considerata banale, anche nel comune parlare, e tuttavia nel caso in cui gli elementi da portare in diverso ordine siano più di due non è raro scontrarsi con incongruenze e ingenuità. Si sono viste pure pubblicazioni che applicano l'inversione direttamente ai frontespizi, senza aspettare di venire catalogate. Ma adottare l'inversione come modo principale della formalizzazione delle intestazioni può indurre ad assurdità come quella di considerarla in atto (e segnalarla dunque con una virgola) anche in intestazioni che non ne avrebbero bisogno, come quelle da nomi ungheresi e cinesi, trattate in RICA 55.2. In Names of persons le intestazioni portate ad esempio nel capitolo sull'Ungheria, infatti, seguono il noto uso magiaro, e adeguandosi all'ordine nome di famiglia-prenome delle intestazioni in forma inversa non fanno uso di virgola alcuna fra i due elementi. Purtroppo non c'è ancora invece il capitolo sulla Cina (mancava già nell'edizione precedente: qui ci sono solo un paio di pagine su Hong Kong) ma il rilievo si regge per evidenza anche senza così autorevole avallo. Caso analogo ma opposto quello dell'uso islandese (già notato da Carlo Revelli nella sua recensione alla terza edizione di Names of persons, «Bollettino d'informazioni AIB», 17 (1977), n. 4, p. 391-394) che vede coincidere intestazione e forma diretta del nome, a causa della frequente assenza di un cognome vero e proprio, che annulla le ragioni dell'inversione. Per tornare al controllo delle varianti nelle intestazioni, viene da chiedersi se il meccanismo sottinteso dell'inversione non possa essere portato alla luce - e dunque sottoposto al meno implicito dei controlli e al più agevole degli usi - attraverso la semplice inclusione della forma diretta nel novero delle varianti collegate e riferite alla medesima persona. Questa forma in più aggiunta all'archivio di controllo e collegata a ciascuna intestazione personale (anzi, come si è visto, non a tutte ma solo a quelle che necessitano, secondo le norme, dell'inversione) sarebbe ben altro che un fardello per il catalogo 6. Semplicemente solleverebbe chi se ne servisse dalla necessità di assimilare il procedimento dell'inversione, e di applicarlo anche a nomi noti solo in parte o in maniera non del tutto precisa. Se non ci si è risolti prima a questo passo 7, per motivi tanto di tradizioni culturali quanto di economia di lavoro, non è detto che non lo si possa fare ora, nell'epoca della progressiva autonomia del controllo di autorità, quando da un lato il costo irrisorio dell'operazione e dall'altro gli automatismi nella connessione e nel recupero dei dati potrebbero dissipare buona parte delle obiezioni. Né sarebbe plausibile pensare che questa facoltà potesse venire surrogata da una ricerca attraverso la pura combinazione logica di più elementi del nome, che sortisce un effetto differente. Una procedura di più ampio respiro potrebbe addirittura contemplare l'inclusione nell'archivio di controllo di ciascuna delle forme che compaiono sui frontespizi, così come si presentano 8, eliminando la necessità di percorrere più o meno consapevolmente (e con maggiori o minori scarti dalla retta via) la transizione dal dato offerto in sede editoriale all'intestazione disponibile nel catalogo.

Considerazioni simili possono venir fatte a proposito dei nomi che compaiono sui frontespizi - e nelle descrizioni - in casi differenti dal nominativo, come può succedere in certe lingue sia antiche sia moderne. Anche qui la trasformazione del nome dalla forma in caso obliquo (genitivo: M. Tulli Ciceronis pro M. Marcello oratio; Justus Liebigs Annalen der Chemie; ablativo: auctore p. Rogerio Josepho Boscovich) alla forma appropriata per l'intestazione, al nominativo dunque, è un procedimento usualmente dato per sottinteso. Tuttavia è legittimo che se ne ignori, se non la possibilità, il meccanismo, che è radicato nell'uso linguistico almeno quanto la scelta dell'elemento del nome col quale far iniziare l'intestazione. Lo stesso Names of persons potrebbe dunque essere la sede adatta a fornire indicazioni su questi casi di difformità. Si tratta di variazioni talvolta minime, di un carattere o due, ma che trascurate e trascritte senza considerarne la differenza producono sensibili effetti sulla congruità delle intestazioni. In uno strumento come questo dell'IFLA sarebbe tuttavia possibile fornire solo indicazioni generali, senza entrare nei dettagli della morfologia delle singole lingue. Ma se si sono accettati i motivi a favore dell'inclusione della forma diretta del nome nel grappolo delle intestazioni riferite alla stessa persona, allora a maggior ragione si vedrà l'opportunità di comprendere nello stesso grappolo anche le varianti per declinazione, almeno quelle delle quali sia accertata o prevedibile la presenza sui frontespizi. Anche gli effetti sulle funzioni di recupero dell'informazione sarebbero analoghi al caso prima esaminato: non soltanto dunque un più articolato accesso. Quello che conta è sempre, a ben vedere, la capacità del catalogo di assolvere i propri compiti senza gravare chi lo consulta di obblighi e cognizioni - da procurarsi in qualche modo e dalla mancanza delle quali essere svantaggiati - che non siano quelli propri della ricerca che sta conducendo.


1 Sulla vertigine di vedere il proprio nome incluso in un archivio elettronico cfr. Giampaolo Dossena, Dizionario dei giochi con le parole, Milano: Vallardi, 1994, p. 244. Per quanto riguarda in particolare i repertori bibliografici e i cataloghi, chiunque abbia accettato per conto di una biblioteca opere in dono da parte di autori a proprie spese sa quanto e quanto sovente conti in quell'offerta il desiderio di vedere il proprio nome inscritto nel catalogo. Gli autori a proprie spese sono stati compiutamente descritti da Umberto Eco in L'industria del genio italico, pubblicato nel 1970 su «L'espresso» e poi nella raccolta Il costume di casa, Milano: Bompiani, 1973, p. 59-72, e - in diversa forma - ne Il pendolo di Foucault, Milano: Bompiani, 1988, p. 197-201: in entrambi gli scritti si trovano fra l'altro notazioni sui nomi di questi autori.

2 Già implicita nelle intestazioni per le donne coniugate identificate soltanto dal nome del marito, come Girardin, Émile, Mme (esempio per RICA 58.4) o Ward, Mrs. Humphry (esempio per AACR2R 22.15B1).

3 Ai casi classici delle donne maritate, dei religiosi, degli espatriati, dei nobili e dei sovrani si aggiunge ora il mutamento di sesso: l'economista Deirdre McCloskey, che nel 1997 ha pubblicato un volume presso la University of Michigan Press, è stata fino all'anno prima autore di numerosi libri e articoli sotto il nome di Donald McCloskey (la storia è accennata nel catalogo dell'editrice datato Spring 1997, p. 17).

4 A questo proposito andrebbe anche considerata la questione se sia appropriato che un catalogo connetta esplicitamente le differenti identità bibliografiche di una persona, unificando le intestazioni (come in RICA 149) o tenendole distinte ma collegate (come in AACR2R 22.2B2), ovvero se sia privo di senso connettere autori diversi, pur incarnati nella medesima persona, anche considerando come possano darsi più personalità letterarie sotto lo stesso nome (Dario Voltolini, Applausi al sarchiapone, «L'indice dei libri del mese», 14 (1997), n. 10, p. 7).

5 Rovesciando la prospettiva, la conformazione particolarmente funzionale all'ordinamento di una certa intestazione fra quelle connesse a un autore potrebbe semplicemente venire segnalata con un marcatore nell'archivio di controllo, per essere impiegata quando fosse necessario.

6 Aprirebbe anzi una strada alla connessione parzialmente automatica di descrizioni e intestazioni (parlare di indicizzazione sembra eccessivo). O forse costituirebbe un ritorno alle secche di RICA 114?

7 Anche i documenti dell'IFLA sul controllo di autorità [2, 3] demandano ai codici e alle agenzie bibliografiche nazionali la scelta delle varianti.

8 Questo dispositivo potrebbe fungere da supporto alle valutazioni sulla forma «con cui è prevalentemente identificato» un autore (RICA 50.1), sempre che lo si consideri un criterio sensato e attendibile, un procedimento dimostrabile e ripetibile (oltre che opportuno) nella scelta della forma per l'intestazione.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] Names of persons: national usages for entry in catalogues. 4th revised and enlarged edition. München: Saur, 1996. XII, 263 p. (UBCIM publications. New series; 16). ISBN 3-598-11342-0.

[2] Guidelines for authority and reference entries, recommended by the Working Group on an International Authority System; approved by the Standing Committees of the IFLA Section on Cataloguing and the IFLA Section on Information Technology. London: IFLA International Programme for UBC, 1984 (trad. it. Roma: ICCU, 1993).

[3] UNIMARC/Authorities: universal format for authorities, recommended by the IFLA Steering Group on a UNIMARC Format for Authorities; approved by the Standing Committees of the IFLA Sections on Cataloguing and Information Technology. München: Saur, 1991.

[4] Standard, vocabolari controllati, liste d'autorità: atti del seminario svoltosi a Milano il 25 maggio 1994. Milano: Regione Lombardia, 1995 (per l'indice degli interventi vedi LPI 95/601).


GIULIA VISINTIN, via Torino 40, 12048 Sommariva del Bosco (CN). Un ringraziamento a Riccardo Ridi, senza il contributo del quale questo testo non sarebbe stato scritto