Ricordo di Enrico Jahier
di Giorgio De Gregori

Conobbi Enrico Jahier nel 1937 quando, bibliotecario di prima nomina, fui assegnato in servizio alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, dalla quale egli era stato da poco trasferito per assumere la direzione della Biblioteca Marucelliana della stessa città. Il suo lavoro alla BNC fu sin dall'inizio quello della catalogazione e classificazione degli stampati, al quale si dedicò con tanto interesse e capacità da diventare in poco tempo il capo dell'ufficio apposito, dal quale uscivano le schede che non solo servivano a incrementare il catalogo della Biblioteca, ma andavano a formare quel Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa, pubblicato dalla BNC fin dal 1886 e del quale era redattore. Così lo descrive Francesco Barberi, che lo ebbe come superiore in quell'Ufficio: «Mi è toccata la fortuna di un capoufficio, credo, di eccezione: il dott. Jahier è un gigantesco trentottenne colto, umano, gentile» 1.

Questa sua applicazione iniziale in biblioteca al lavoro di catalogazione, classificazione e soggettazione doveva incidere profondamente sui suoi preminenti interessi professionali, spesso volti a tali argomenti, di cui diceva 2: «io sono tuttora convinto che non si può mettere su un catalogo a soggetto senza avere presente costantemente uno schema ideale classificativo: la differenza sta nel non irrigidirsi e non dipendere dalla gerarchia in modo troppo assoluto. Ci sono argomenti, anzi infiniti argomenti, che stanno in relazione tra loro senza dipendere l'uno dall'altro». Sulla questione, infatti, tornò durante tutta la sua carriera e nel 1951, quando, dopo l'infausto progetto dell'Istituto Raviglione, si insisteva a parlare di schedatura centrale a stampa e si cominciava a pensare a dar vita a un Catalogo unico delle biblioteche italiane, egli fece parte dell'apposita commissione di studi e al 7º Congresso dell'AIB (Milano, 1951) svolse una relazione su La catalogazione per materie nel Catalogo unico.

Quando nel 1935 la Biblioteca nazionale di Firenze andò a occupare il nuovo edificio in piazza Cavalleggeri 3, le sue capacità organizzative (di cui mi resi conto in seguito) dovettero risultare una preziosa collaborazione al trasferimento e alla installazione del materiale nei nuovi locali.

Di lui, alla Nazionale, tutti parlavano in termini tali da invogliare a farne la conoscenza, e io non tardai a presentarmi a lui come un pivello della carriera. Ci intendemmo subito e questo (lo scopro ora che ho l'occasione di occuparmi di date) fu, forse, perché entrambi eravamo nati sotto la stessa stella. Ma soprattutto perché dal colloquio emerse che egli era stato un eroico combattente del 7º alpini sulle Tofane 4, durante la guerra 1915-1918, meritando una medaglia d'argento e due di bronzo al valor militare. E quando gli dissi che anch'io avevo prestato servizio militare come ufficiale dell'8º Reggimento alpini, ci sentimmo subito più vicini e ci rendemmo conto del perché di tanta sintonia in cui si stava svolgendo il nostro colloquio.

Fotografia

Guerra 1915-1918: Enrico Jahier, primo da sinistra, assieme ad alcuni suoi commilitoni del Battaglione alpino "Monte Antelao"
(da Luigi Viazzi, Le aquile delle Tofane, Milano: Mursia, 1974)

Jahier, nato a Susa il 12 ottobre 1895, pressappoco a vent'anni s'era dunque trovato coinvolto dalla Grande Guerra e sbalzato sulle cime delle Tofane, dove restò per quasi quattro anni. Questa dura esperienza, a contatto con la bellezza della natura, con la morte sempre in agguato, nella diuturna convivenza coi suoi soldati, uomini semplici e rudi, veniva a coagularsi con l'educazione e la formazione evangelica, poiché egli apparteneva a una famiglia di religione e cultura valdese, caratterizzata soprattutto dal rigore e dall'integrità morale. Ne era uscito, da queste due componenti, un carattere dolce ma intransigente, che non poteva conciliarsi né col clima politico che dominava allora in Italia, né coi compromessi ai quali i più giovani - nati in quel clima - dovevano piegarsi.

Egli, come il fratello Piero 5 - anche lui ufficiale degli alpini - era, compatibilmente con la sua carica, spregiudicatamente contrario al fascismo, tanto che lo ricordo partecipare, in giacca bianca fra tante camicie nere, a una cerimonia estiva dove era presente il ministro Bottai, che si rivolse a uno degli ispettori delle biblioteche chiedendo chi fosse quell'individuo e che lo si richiamasse al "decoro del caso": i fascisti però lo rispettavano per le sue medaglie al valore e per la sua bonaria imponenza.

Gli anni trascorsi in montagna con gli alpini avevano lasciato alcune impronte incancellabili dal suo modo di essere e di vivere: un senso pratico spiccatissimo; un sapersi arrangiare sempre, tanto prezioso per chi lavorava in biblioteca sessant'anni fa; il piacere di trovarsi a contatto con la natura, specialmente con quella montanara in cui tornava a bearsi con lo spirito del campeggiatore ogni volta che poteva; l'amore per gli animali di cui si circondava nel suo villino, il Torrino, sulla collina di Fiesole. La passione per la musica, in questo contesto, merita un discorso a parte, perché se pure le prime testimonianze del suo interesse a me note risalgono a quegli anni e sono legate alla fanfara del battaglione Antelao e alle canzoni alpine (di una, Il lamento cadorino, egli stesso fu autore di musica e parole, e, a memoria, ricostruì lo spartito della Marcia delle Tofane), la cultura musicale di Enrico Jahier doveva avere radici assai più profonde negli anni di studio e di formazione della giovinezza. Infatti, com'è noto agli amici, egli si era addirittura costruito un organo nella sua abitazione che gli dava il gusto di avere un'orchestra dentro casa e tanto sensibile era a questo strumento musicale polifonico così rispondente ai suoi gusti che, lui valdese, la domenica andava a suonare l'organo nelle chiese cattoliche di Firenze.

Non fa meraviglia che un uomo come Jahier, il quale aveva sofferto in silenzio pubblico, più o meno, il fascismo servendo fedelmente lo Stato (di cui aveva grande il senso), anelasse a che l'Italia riprendesse, dopo la guerra e la caduta della dittatura, il cammino verso una vera democrazia e che egli fosse tra i primi ad adoperarsi affinché ciò si realizzasse per quanto riguardava il proprio settore di attività.

Mentre da Roma si diramavano in tutta Italia appelli ai bibliotecari perché aderissero a una Unione sindacale italiana archivi biblioteche e belle arti (USIABBA), tale struttura non era ciò che potesse servire allo scopo, perché non poteva raccogliere anche i bibliotecari non governativi, che cadevano ciascuno sotto la giurisdizione del sindacato locale. In questo senso partivano altri appelli da Firenze, e Jahier ne era il principale corifeo, tendenti alla ricostituzione della Associazione preesistente con identici scopi e composizione ma strutturata democraticamente.

In quell'epoca Jahier era intensamente occupato, insieme al lavoro di routine, per la ristrutturazione dei locali della Biblioteca Marucelliana e, inoltre, dal novembre 1946 era stato incaricato della custodia e ricollocazione in sede prima, e poi della direzione, della Biblioteca germanica di storia dell'arte di Palazzo Guadagni, ricondotta in Italia dopo l'esilio della guerra. Ma in cima ai suoi pensieri, come un impegno a cui bisognava lavorare prima di tutto e con decisa azione, era l'organizzazione del settore delle biblioteche. Era come se, per lui, senza un riordinamento di tutto il sistema, fosse inutile continuare a occuparsi di catalogazione e classificazione, di ristrutturazione di locali, di scaffalature, di catalogo unico, ecc.

E mentre lavorava a questo scopo lanciando appelli e proposte in tutta Italia capeggiando il gruppo dei bibliotecari fiorentini, man mano che l'azione proseguiva nel tempo e si affermavano orientamenti e si scontravano proposte, egli notava che si andava delineando uno scoraggiante panorama politico e professionale.

In lui cominciava a serpeggiare un'amara delusione e il pessimismo si faceva strada, e di ciò non faceva mistero a noi amici più intimi, impegnati in quella stessa azione. Di questa marea di disinganni in lui montante negli anni 1949-1951 risuonano alcuni passi delle sue lettere appresso riportati. Tra l'altro gli era stata negata l'eleggibilità al Consiglio superiore delle accademie e biblioteche, massimo organo consultivo della Direzione generale perché, essendo stato nominato ispettore superiore bibliografico, pur conservando la direzione della Biblioteca Marucelliana, secondo la logica giuridica burocratese, non apparteneva più al ruolo del personale delle biblioteche: macroscopica assurdità contro la quale urlarono al Ministero la loro vibrata protesta i bibliotecari, cioè gli elettori del proprio rappresentante in seno a quel Consiglio.

All'amarezza che gli aveva procurato questo indicibile comportamento del Ministero nei suoi riguardi, s'aggiungeva quella che gli veniva da tanti ripensamenti del passato. Come quella volta in cui, mentre attendeva con enorme fatica e pazienza alla compilazione di un indice dei soggetti, venne a sapere "di straforo", lui membro qualificato e influente della Commissione di studi per la realizzazione del Catalogo unico, dalla quale era stato incaricato del lavoro, che era stato creato per l'esecuzione dell'opera un organismo diretto da un personaggio estraneo al mondo delle biblioteche (l'Organizzazione bibliografica Raviglione).

«Venti anni di impegno personale serio ed onesto, oltre che non retribuito 6, andavano perduti senza che si fosse sentito il bisogno di informarmene e di prendere almeno conoscenza del suo valore scientifico. Questione delicatamente morale che non infirmava minimamente la serietà e la diligenza con la quale Emanuele Casamassima si accinse ad assolvere ed assolse l'identico incarico affidatogli. Mai mi era capitato nei cinquantacinque anni della mia vita una squalificazione e umiliazione del genere, di fronte alla quale a nulla sarebbero valse le proteste, le lacrime o la causa vinta che un noto civilista e amico mi garantiva.

Non mi rimaneva altra risorsa del foglio di carta bollata con le dimissioni irrevocabili e immotivate. La lettera accorata e perplessa del direttore generale con l'offerta di venire incontro, in extremis, a miei eventuali desiderata mi dimostrò come egli non fosse conscio della gravità, mia personale, di quello che mi era accaduto ed io gli sarò sempre grato della comprensione dimostratami nel consentirmi di portare a termine il progetto quindicennale di ampliamento e rinnovamento della Biblioteca Marucelliana, con l'attuazione del quale chiusi, nella radiosa Domenica delle Palme del 2 aprile 1950, la mia non breve né inoperosa carriera» 7.

Così commentò questa decisione Barberi 8: «All'età di 55 anni Jahier ha chiesto il collocamento a riposo. Dal destino di una nobile personalità e di una attività coscienziosa è possibile giudicare la società in cui esso si consuma. In una società organica la personalità, in armonia o meno con una vocazione originaria, sa di essersi spesa utilmente, contribuendo al progresso generale; in Italia, in certi settori, uomini di valore chiudono la propria carriera con la triste consapevolezza di un fallimento». Questa consapevolezza era ben chiara a Jahier, che così la manifestava a Barberi: «Ho creduto che le biblioteche volessero e potessero vivere: mi sono ingannato; la loro sorte è quella di vegetare, su tronchi nobili e fogliame gentile, ma vegetare senza fiorire» 9.

Morì a Firenze il 14 agosto del 1982 10 e della sua morte mi disse Barberi, il suo amico più intimo che aveva avuto con lui una corrispondenza che conta circa 400 pezzi. Anche Barberi aveva perso i contatti negli ultimi tempi e non gli era stato vicino fino alla morte, e io ho di lui l'ultima notizia in una cartolina del 1963 in cui mi diceva di essere stato sempre malato in quell'anno. Oggi provo forte il rammarico di non essergli stato vicino col calore della mia amicizia fino all'ultimo.


Stralci da lettere di Enrico Jahier a Giorgio De Gregori

23 gennaio 1949
«La tua ondata di pessimismo è talmente giustificata che mi mette in imbarazzo smontarla. L'Associazione era per me la via per ritrovare la strada attraverso la collaborazione; date le tristi condizioni nostre, facevo affidamento più che altro sui bibliotecari non governativi».

2 aprile 1949
«È proprio per quest'opera di chiarificazione e di persuasione che io contavo sulla possibilità di più frequenti contatti e discussioni in seno all'Associazione. Troppo divisi e prevenuti in Italia, ignoriamo i benefici effetti della concordia discors, del trovarsi riuniti anche se di parere contrario, ma non separati dall'odio, a condizione di non dimenticare mai il dovere del rispetto reciproco e la fede assoluta nell'incontrastabile trionfo, in regime di libertà, delle idee maggiormente dotate di contributo spirituale e disinteressato».

5 aprile 1949
«Devo confessarti che l'assetto preso dall'Associazione dopo le elezioni, e cioè il passaggio dalla autorità centrale ministeriale a quella periferica delle soprintendenti, mi ha entusiasmato assai poco e mi domando fino a che punto le soprintendenti medesime si son trovate nell'impossibilità materiale di costituire i comitati regionali, oppure, d'accordo o no tra loro, non hanno nicchiato in attesa di prendere l'iniziativa in proprio».

27 novembre 1949
«Che dirti del giornale? Il mio desiderio era che il Ministero si decidesse a fondare e sovvenzionare una rivista sul genere di quella di tuo padre (che si ispirasse anzi a quella e ne continuasse i propositi) che offrisse a noi gruppo omogeneo e coalizzato ampie libertà di trattare argomenti tecnici e culturali».

2 maggio 1951
«Mi accade, almeno nelle condizioni storiche che attraversiamo, di constatare sempre più la precarietà e aleatorietà dell'azione di partiti e insieme della politica. La quale essendo determinata essenzialmente non dalle idee, ma dalle opportunità dell'agire, conduce spesso i propri militanti ad agire proprio in senso opposto a quello che inizialmente si proponevano».

16 dicembre 1951
«L'Associazione è e sarà soltanto una vera forza se riusciremo a rendere esecutive le sue deliberazioni, altrimenti non sarà che uno sgabello ministeriale. Il Ministero deve capire che siamo pronti sì a collaborare, ma a condizione che anch'egli riconosca il valore delle nostre decisioni e non accetti suggerimenti e influenze, in questioni di cui l'Associazione è stata investita, se non attraverso i suoi rappresentanti. Del resto c'è nel Regolamento qualcosa che si presta a questa interpretazione».

1º gennaio 1954
«A distanza ormai di anni, il fallimento delle nostre pur fondate speranze (Catalogo centrale - Biblioteche popolari - Associazione, per non citare che le principali) è bastevole conferma delle nostre - o almeno della mia impotenza - nelle attuali condizioni storiche, che nulla lascia sperare di vedere superate. Non per i fattori politici o governativi, sempre aleatori, ma per quelli spirituali che esigono sacrifici di generazioni per divenire operanti. È l'ora questa della scuola formativa di quello spirito democratico che non si inventa e inserisce con una formula, e finché non si è creato e sviluppato quello anche gli istituti che gli sono connessi non possono nascere né prosperare».

1 Francesco Barberi, Schede di un bibliotecario (1933-1975), Roma: AIB, 1984, p. 4-5.

2 Lettera a Giorgio De Gregori del 17 febbraio 1950.

3 Domenico Fava, Il trasferimento e la sistemazione della Bibliteca nazionale centrale di Firenze nel nuovo edificio (luglio-ottobre 1935), Firenze: Il cenacolo, 1935.

4 Luigi Viazzi, Le aquile delle Tofane, 1915-1917. In appendice: Guida ai luoghi delle battaglie, presentazione di Enrico Jahier, Milano: Mursia, 1974. Vedi alle p. 190-193, 195, 198, 202, 204-206, 208, 214, 239, 243, conglobanti anche alcuni stralci del diario di guerra di Jahier.

5 Luigi Viazzi, Le aquile cit., p. 29, 182, 205-207, 215, 246.

6 Jahier non si riferisce al suo servizio di bibliotecario (che, del resto, durava dal 1925) ma all'interesse e all'impegno che, attraverso lo studio personale, aveva portato per venti anni sull'argomento del Catalogo unico.

7 Enrico Jahier, La catalogazione centrale corrente: storia di un'esperienza, «Accademie e biblioteche d'Italia», 32 (1964), n. 4, p. 253.

8 Francesco Barberi, Schede cit., p. 100.

9 Ivi, p. 93.

10 Clementina Rotondi, Enrico Jahier, «Accademie e biblioteche d'Italia», 51 (1983), n. 2, p. 157-158.


GIORGIO DE GREGORI, Associazione italiana biblioteche, viale Castro Pretorio 105, 00185 Roma. Non mi sarebbe stato possibile realizzare questo scritto senza l'aiuto del dott. Andrea Paoli nella consultazione e nella lettura di documenti e lettere. Di ciò molto gli sono grato. Ringrazio anche il dott. Claudio Di Benedetto per la corrispondenza da "inviato speciale" sulla piazza di Firenze.