Tractant fabrilia fabri: Virginia Carini Dainotti, una bibliotecaria tra impegno e delusione

di Mauro Guerrini

La lettura degli interventi di Virginia Carini Dainotti 1 pubblicati su riviste professionali e in volume che si susseguono dagli anni Quaranta agli anni Sessanta e, in particolare, di La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia (1947-1967) 2, testo consegnato nel 1966, ma edito per i tipi di Olschki solo nel 1969, a causa dell'alluvione fiorentina (il dattiloscritto risultava disperso), disegna una bibliotecaria competente professionalmente e una funzionaria ministeriale intelligente e colta, che opera in una realtà politica ed amministrativa dilettantesca e pasticciona - quella dell'Italia del secondo dopoguerra - incapace di realizzare un progetto di sistema bibliotecario efficiente, unitario, coerente e diffuso su tutto il territorio nazionale, così come presente nelle nazioni del centro-nord Europa e negli Stati Uniti.

In un saggio intitolato Uno sciopero, pubblicato in «Notizie AIB» del 1957 3, a commento dell'astensione dal lavoro proclamata dai bibliotecari e dai conservatori dei musei statali italiani nei giorni 18 e 19 gennaio dello stesso anno, Carini Dainotti ricorda la prassi dei governi italiani dall'Unità agli anni Cinquanta, e denuncia la carenza di finanziamenti verso le biblioteche e l'assenza di una politica bibliotecaria coordinata e finalizzata all'istruzione degli italiani, popolari e borghesi. Lo sciopero - davvero insolito in un settore assai "controllato" come quello delle biblioteche e dei musei - era stato indetto «per prospettare al paese lo stato di necessità in cui si dibattono i loro istituti, per affermare con forza polemica che vi è un settore di grande impegno nazionale in cui lo Stato sembra abdicare i suoi doveri e dimenticare le sue responsabilità» 4. L'articolo è importante perché permette di capire quale visione della biblioteca e della politica bibliotecaria italiana avesse l'allora quarantaseienne Carini Dainotti. Scrive: «Il servizio delle biblioteche, in un paese culturalmente arretrato come il nostro, era almeno tanto urgente quanto il servizio scolastico, non solo perché la biblioteca integra continuamente, a tutti i livelli, dalle elementari all'università, l'opera della scuola; ma perché anzi la biblioteca può sostituire, sopra il livello elementare, l'opera della scuola». Il servizio della biblioteca «avrebbe potuto accelerare l'evoluzione necessaria della nostra economia agricola in economia industriale e trasformatrice, mentre poi avrebbe potuto offrire un'occasione di rinnovamento e di ammodernamento a certa nostra borghesia di provincia, così legata ancora a schemi ottocenteschi e perciò pesantemente passiva nello sforzo di trasformazione in senso moderno ed europeo della nostra società» 5.

Carini Dainotti - in un linguaggio moderno, direi attuale, con il richiamo all'Europa - carica la biblioteca di un'aspettativa e di una funzione che possono apparire perfino eccessive, che tuttavia denotano l'importanza posta nel servizio di emancipazione sociale che essa può elargire. «Tutti d'accordo - prosegue - che la biblioteca è una delle tipiche espressioni dei nostri ideali egualitari e democratici, un efficace strumento forgiato dal nostro secolo per offrire a tutti gli uomini, durante tutta la loro vita, quelle occasioni di informazione e di formazione che noi chiamiamo educazione dell'adulto». Tutti d'accordo, certamente, ma con una differenza sostanziale: mentre Francia, Belgio, Inghilterra, Germania e Stati Uniti dispongono di una rete bibliotecaria diffusa sul territorio e godono di ampi finanziamenti pubblici, «da noi la Direzione Generale delle Biblioteche tenta coraggiosamente le prime esperienze pratiche di sale per ragazzi e di servizio rurale senza disporre di una sola lira di stanziamento suppletivo» 6. Carini Dainotti compie un paragone fra Italia e Germania, paesi usciti dalla guerra «distrutti e impoveriti», entrambi privi di una «città dominante in cui si raccolga e si esprima con particolare rilievo la vita culturale del paese», con la necessità, quindi, di «provvedere ad una molteplicità di istituti con apparente dispersione di mezzi». Il nostro paese trascura completamente di investire nelle biblioteche, tanto che prende corpo «la mortificante convinzione che l'Italia [...] sia ormai rassegnata a diventare una zona depressa della civiltà e della cultura europea», mentre «la Germania ha capito una verità che è sfuggita ai nostri governanti, ed è che lo sviluppo della cultura nel mondo moderno equivale a progresso e a sviluppo economico, e che fornire strumenti sufficienti agli studi significa preparare al proprio paese una classe dirigente seria, informata, competente cui potrà essere affidato con fiducia il timone della cosa pubblica e la costruzione di una nuova grandezza» 7. Termina l'intervento ipotizzando una prospettiva crudele, ma realistica: «Noi abbiamo il diritto di chiedere che si mettano anzitutto in condizioni di funzionare gli organismi e le attrezzature esistenti, senza di che meglio sarebbe che lo Stato apertamente affermasse di voler declinare le sue responsabilità in alcuni settori, in quello delle biblioteche per esempio, per raccogliere in altri i propri interventi, perché quando, per indifferenza o per malintesa parsimonia, si mantengono degli organismi ai limiti dell'inedia, in realtà si impedisce loro di svolgere la loro funzione e di perseguire i loro fini, si tengono cioè in piedi organismi impotenti ed inutili e in definitiva si sperpera il denaro pubblico» 8. La denuncia è grave, perché viene dall'interno dell'istituzione, da un membro autorevole del Ministero della pubblica istruzione, dalla bibliotecaria che due anni dopo, nel 1959, sarà la vincitrice del premio bandito dall'Ente nazionale biblioteche popolari e scolastiche (ENBPS) per un'opera sulla diffusione del libro e della lettura con il saggio La biblioteca pubblica istituto della democrazia 9.

Carini Dainotti è consapevole di ciò che dovrebbe essere un sistema bibliotecario nazionale e muove la pianificazione del Servizio nazionale di lettura in un'ottica pienamente integrata alla realtà politica e sociale dell'Italia del secondo dopoguerra. Invia relazioni ai dirigenti del Ministero della pubblica istruzione, pubblica articoli su riviste, presenta contributi ai congressi AIB di Milano-Lecco del 1951, di Cagliari del 1953, di Trieste del 1956. È politicamente convinta che la democrazia occidentale sia la migliore possibile, ha una visione pragmatica della gestione delle biblioteche, avverte la necessità di costruire la biblioteca pubblica, che lei spesso chiama "biblioteca per tutti", quale fondamento della vita democratica dell'Italia post-fascista, di cui definisce le funzioni con una chiarezza ammirevole, condanna le biblioteche di propaganda «socialcomuniste e fasciste». Ritiene che in una democrazia moderna la biblioteca popolare non abbia ragione di esistere e che si debba parlare piuttosto di biblioteca pubblica, cioè di servizio di documentazione e di informazione offerto a tutti i cittadini. Si chiede: «Che cosa ha significato la biblioteca popolare in Italia, già a partire dal nome?» Risponde senza esitazione: «Una istituzione fondata sul paternalismo delle classi dirigenti che provvedevano all'educazione del popolo». Il paternalismo riguarda le biblioteche popolari di ogni nazione, ma in Italia il concetto di biblioteca popolare ha assunto anche una connotazione populista nei pochi tentativi riusciti.

Il disincanto e la consapevolezza dell'impotenza

Con il passare del tempo si incrina la fiducia nell'operato dei governi. Carini Dainotti comprende che il ceto politico è disinteressato alle biblioteche o le usa strumentalmente. Inizia la critica motivata e strenua ai progetti e agli esperimenti improvvisati, finanziati dal Ministero della pubblica istruzione e da altri ministeri per motivi di puro interesse elettorale o ideologico, come, ad esempio, le biblioteche del contadino, promosse dal Ministero dell'agricoltura, definite spreco di risorse finanziarie pubbliche. Ribadisce incessantemente che la politica delle biblioteche sul territorio nazionale deve essere coordinata centralmente e unicamente dalla Direzione generale delle biblioteche, e che le biblioteche di qualsiasi tipologia debbono essere affidate alla gestione di personale competente, di bibliotecari professionali. Adotta la frase di Orazio, già assunta come motto da Guido Biagi per la Società bibliografica italiana, Tractant fabrilia fabri 10, a significare che delle biblioteche e della promozione della lettura debbono occuparsi i bibliotecari, non i maestri elementari o gli impiegati amministrativi, privi «di qualunque competenza tecnica» 11. Scrive: «Certo più che mai valido appare l'antico ammonimento della Società bibliografica: "tractant fabrilia fabri" e infatti basta l'enunciazione della materia su cui la Commissione sarebbe chiamata a dar pareri per dimostrare la completa mancanza di competenza tecnica in chi si propone ancora di favorire lo sviluppo di una "letteratura popolare" e la diffusione della cultura "nei ceti meno abbienti", definizioni e schemi già superati e condannati dalla realtà storica e dall'elaborazone teorica biblioteconomica» 12. E ancora più avanti: «L'episodio della "Biblioteche del contadino" è solo la cartina di tornasole che rivela uno dei processi attraverso i quali maturano le duplicazioni nell'azione amministrativa, con i conseguenti, deprecati sperperi di denaro pubblico. Non è qui il luogo di riandare alla storia antica e recente dell'Ufficio della proprietà letteraria, né di documentare come il compito di organizzare biblioteche non gli spetti in base alle leggi; ma è certamente un'occasione per auspicare che sia finalmente riconosciuta - in materia di biblioteche e di diffusione della cultura attraverso il libro, a livello di responsabilità dell'amministrazione statale - la competenza esclusiva e istituzionale della Direzione generale delle biblioteche» 13.

La responsabilità del bibliotecario e la funzione della Direzione generale delle biblioteche sono ben sintetizzate dall'ordine del giorno che Carini Dainotti presenta al X Congresso nazionale dell'Associazione italiana per le biblioteche e che viene approvato: «Il X Congresso nazionale dell'AIB, riunito a Trieste nei giorni 18-22 giugno 1956 [...] fa voti perché su tutte le [...] iniziative di diffusione del libro e della lettura [...] siano in ogni caso sentiti i bibliotecari e i loro organi, come i soli professionalmente e istituzionalmente competenti a consigliare e a proporre le soluzioni migliori» 14. Si tratta di un «documento - commenta la bibliotecaria - che ben rifletteva le difficoltà della nostra azione, continuamente intralciata da una fioritura di iniziative dilettantesche di cui forse noi stessi eravamo responsabili per non aver saputo proclamare e difendere il principio della specializzazione tecnica nell'organizzazione e gestione dei nostri istituti, a tutti i livelli. Per di più la situazione mutava continuamente, e richiedeva da noi chiarezza di idee, dinamismo, e il coraggio di contrastare e criticare per difendere il nostro diritto-dovere di operare e di costruire» 15.

La rivendicazione professionale sorge dalla oggettiva situazione italiana degli anni Cinquanta e Sessanta: i centri di lettura sono affidati a maestri e le biblioteche del contadino a generici gestori; i programmi di diffusione della lettura sono inconsistenti e dispersivi, come, ad esempio, la creazione di microscopiche biblioteche scolastiche; la Direzione generale delle biblioteche del contadino è una dannosa duplicazione della Direzione generale delle biblioteche ed è un organismo votato ad abortire per la sua struttura aleatoria.

Carini Dainotti è disperata dalle iniziative estemporanee ed afflitta dal senso di impotenza di fronte a una realtà che non si modifica, anzi che si incancrenisce. Le formulazioni che usa più frequentemente sono politica bibliotecaria incoerente, occasione perduta, interventi casuali e improvvisati, dilettantismo, le medesime che utilizza Giovanni Lazzari in Libri e popolo del 1985 per ricostruire le vicende del periodo: «Risaltano come costanti [...] l'improvvisazione e l'incoerenza di fondo nell'azione del governo, che rimandano ad una generale incapacità di affrontare il nodo della pubblica lettura, verificabile nell'assenza di una programmazione razionale, sostituita da interventi casuali e contradditori, quindi inutilmente costosi e alla fine improduttivi. Esperienze diverse, scavalcamenti di competenze, chiusura alle sollecitazioni degli stessi bibliotecari, utilizzazione distorta di risorse e di denaro pubblico allontanavano nel tempo la prospettiva di colmare le lacune della struttura bibliotecaria italiana, inammissibili nel nuovo regime democratico, al passo delle consolidate acquisizioni degli altri paesi» 16. E sono le medesime espressioni che adoperano Giulia Barone e Armando Petrucci in Primo: non leggere del 1976, i quali coinvolgono anche i bibliotecari nella responsabilità di non aver saputo pianificare una solida e moderna organizzazione bibliotecaria nazionale: «L'opera di ricostruzione avrebbe potuto e dovuto costituire un'occasione per rinnovare le strutture dell'intero sistema bibliotecario italiano e per rivederne in modo moderno finalità e funzionamento; ma ciò non fu fatto, non soltanto per ignavia o cattiva volontà dei governanti, ma anche per scarsa decisione dei diretti interessati, i bibliotecari, i quali proprio allora andavano proponendo a un gran corpo malato e inefficiente rimedi parziali o meramente tecnici» 17. Viene infatti da chiedere: era realmente presente nella situazione italiana di allora l'alto concetto di professionalità bibliotecaria richiamato da Carini Dainotti? Non era, forse, l'arcipelago italiano caratterizzato da bibliotecari eruditi, piuttosto che manager, in un contesto che privilegiava i burocrati?

Conclusione

Carini Dainotti polemizza con i ministri Guido Gonella e parzialmente con Luigi Gui, ma sempre all'interno della struttura ministeriale, di cui si sente parte integrante ed elemento dirigente, depositaria di una professionalità continuamente disconosciuta ed umiliata. Combatte una battaglia tenace contro la politica governativa italiana priva di un progetto di lunga prospettiva, improntata sull'intervento episodico a favore di determinate categorie di lettori/elettori, ma una battaglia tutta interna e tutta a favore della Direzione generale delle biblioteche; non critica mai l'apparato burocratico, eppure a lei non sempre amico. Non si rende conto che la politica dell'intervento disorganico (la Carini Dainotti usa l'espressione: «vegetazione selvatica di provvedimenti contrastanti e slegati»), della duplicazione di iniziative e dello sperpero di denaro pubblico è la politica tout court del governo italiano di allora, non un incidente di percorso da attribuire all'incapacità o alla stravaganza di un ministro. Non si rende conto - scrivono Giulia Barone e Armando Petrucci - che le sue proposte si pongono in un contesto socioculturale caratterizzato da larghe sacche di analfabetismo e dal disinteresse delle grandi forze politiche e sindacali per la lettura, «soprattutto senza capire che in Italia una battaglia per la diffusione del libro e della cultura [...] non poteva non diventare parte di una più ampia battaglia per la modificazione dell'ingiusto e classista sistema scolastico esistente e dunque della società nel suo complesso» 18.

Carini Dainotti ha indubbiamente compiuto una lucida analisi della realtà bibliotecaria italiana del secondo dopoguerra, ha lottato per la creazione di un servizio bibliotecario moderno e ha proposto con fierezza un ideale di bibliotecario competente, sul modello anglosassone e nordeuropeo, nel cui contesto avrebbe certamente ben figurato; ma per invertire la politica dell'inerzia e della sporadicità ed elevare l'Italia allo standard europeo e statunitense occorreva ben altro dalla rivendicazione dell'orgoglio professionale.

1 Nasce a Torino da Paolo Dainotti e Luisa Garavelli nel 1911. Il 10 giugno 1939 sposa Pietro Carini, allora prefetto di Cremona.

2 Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica in Italia tra cronaca e storia (1947-1967): scritti, discorsi, documenti, Firenze: Olschki, 1969, 2 vol.

3 Virginia Carini Dainotti, Uno sciopero, «Notizie AIB», 3 (1957), n. 1/2, p. 1-13.

4 Ivi, p. 2.

5 Ivi, p. 2-3.

6 Ivi, p. 4.

7 Ivi, p. 7.

8 Ivi, p. 12.

9 L'opera è pubblicata nel 1964: Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica istituto della democrazia. Milano: Fabbri, 1964.

10 Cfr. Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica in Italia cit., vol. 1, p. 98.

11 Cfr. Virginia Carini Dainotti, Biblioteche e pubblica lettura in Italia: invito a una riforma, «L'Italia che scrive», 34 (1951), p. 137-139.

12 Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica in Italia cit., vol. 1, p. 98.

13 Ivi, p. 101.

14 Ivi, vol. 2, p. 427: X Congresso nazionale dell'Associazione italiana per le biblioteche, Trieste, 18-22 giugno 1956. Ordine del giorno [presentato da Carini Dainotti].

15 Ivi, p. 85. Cfr. anche vol. 2, p. 426-427.

16 Giovanni Lazzari, Libri e popolo: politica della biblioteca pubblica in Italia dall'Unità ad oggi, Napoli: Liguori, 1985, p. 126-127. Prosegue Lazzari: «Il metodo di moltiplicare strutture di sottogoverno, riservandone la guida organizzativa ed ideologica, fino al momento della selezione degli acquisti, era senz'altro vantaggioso per il potere politico, garantendo con il controllo e la capacità di dispensare favori ai "clienti" l'estendersi del consenso sociale, ma risultava alla fine sterile, anzi dannoso per quello che doveva essere lo scopo di questa azione disordinata: la promozione della cultura. Si trattava infine di una vera e propria inadempienza nei confronti di un impegno implicitamente sancito nella Carta fondamentale dello Stato democratico, nel momento in cui la più qualificata delle organizzazioni internazionali, l'ONU, attraverso il suo organo preposto ai problemi della cultura, assumeva ufficialmente il problema della biblioteca pubblica nel mondo, come aspetto essenziale dello sviluppo delle libertà democratiche e della sovranità popolare. Il Public library manifesto, emanato dall'Unesco, invitava i Governi di tutto il mondo ad intervenire per promuovere un sistema di biblioteche pubbliche in ogni nazione, come strumento di crescita civile» (p. 127). Il Public library manifesto è riportato in Virginia Carini Dainotti, La biblioteca pubblica istituto della democrazia, Milano: Fabbri, 1964.

17 Giulia Barone - Armando Petrucci, Primo: non leggere: biblioteche e pubblica lettura in Italia dal 1861 ai nostri giorni, Milano: Mazzotta, 1976, p. 115.

18 Ivi, p. 132-133.