Il trattatello di Leopoldo Della Santa, uscito presso Gaspero Ricci a Firenze nel 1816, è stato spesso menzionato dalla critica come uno dei primi testi italiani ad aver posto in luce l'importanza della distribuzione architettonica e spaziale per la corretta organizzazione delle funzioni all'interno di una biblioteca. Vecchiarelli ne propone ora la ristampa anastatica, accompagnata dal saggio introduttivo di Giovanni Solimine, che ripercorre l'itinerario della fortuna dell'operina.
Per quanto breve, e non molto organica, essa destò all'epoca un notevole interesse. Solimine illustra le vicende di cronaca letteraria che seguirono la pubblicazione e fornisce informazioni sulla genesi e la diffusione dello scritto. Entra anche nel merito della questione, non ancora del tutto risolta, dell'effettiva paternità dell'opera, esponendo alcuni dati storici inediti: l'attribuzione all'autore dichiarato sulla pubblicazione, Leopoldo Della Santa, era stata infatti messa in dubbio già al primo apparire del testo. Nel ripercorrere le fasi della vivace polemica letteraria che seguì, Solimine tratteggia un quadro di forti rivalità tra studiosi delle differenti piazze culturali, e porta ulteriori elementi a favore della tesi che sia stato il bibliotecario magliabechiano Vincenzo Follini il vero responsabile del trattatello.
In ogni caso l'autore, chiunque fosse, aveva una conoscenza diretta e approfondita dei meccanismi di funzionamento di una biblioteca. Nell'opera la dettagliata analisi delle diverse procedure, nonché dei più comuni errori che spesso inceppano pesantemente il sistema, viene seguita da proposte di miglioramenti di carattere tecnico. Circa le difficoltà che si incontrano nella gestione dei servizi di consultazione - da qui parte l'analisi, cioè dalla transazione in cui più si avverte lo scarto tra il positivo impegno di lavoro del personale e la negativa percezione del disservizio da parte del pubblico - le cause vengono individuate sia nell'errato uso degli spazi della biblioteca (e nella scorretta sistemazione dei libri) che nell'impropria utilizzazione del catalogo da parte dei lettori.
A proposito della razionalizzazione delle strutture architettoniche, l'autore dell'opuscolo ha idee molto chiare e, per l'epoca, indubbiamente innovative. Afferma, infatti, che la biblioteca deve abbandonare il ruolo tradizionale di vaso, che è insieme mostra lussuosa del patrimonio, sala di studio per il pubblico e luogo di lavoro per gli impiegati: in tale stridente molteplicità risiederebbe la causa principale delle disfunzioni nell'andamento del servizio. Propone, perciò, di separare nettamente gli spazi a seconda della loro destinazione. Nella sala di studio, in particolare, non si devono immagazzinare materiali librari, né devono risiedere i bibliotecari, che, a contatto diretto col pubblico, non potrebbero svolgere le loro mansioni.
Le proposte di rinnovamento vertono sulla realizzazione di magazzini chiusi - da sfruttare al massimo della capienza - e sull'allestimento di un catalogo alfabetico per autori, alla cui mediazione si sarebbe dovuto affidare totalmente il reperimento dei libri, non più raggiungibili "a vista" nell'ambito del salone di studio. Lo spostamento del nucleo patrimoniale dal vaso verso le aree laterali dei magazzini rendeva necessaria, secondo Della Santa, la presenza in sala del bibliotecario per la consultazione del catalogo, che doveva essere da questi gelosamente custodito, e mai dato in lettura al pubblico. Della Santa ripete infatti più volte che la consultazione dell'Indice sarebbe troppo onerosa per i lettori, e che finirebbe per intralciare lo scorrevole andamento del servizio. Tuttavia, propone caldamente l'allestimento di un secondo catalogo, il Dizionario - residente sempre presso il bibliotecario, ma comunque "somministrato agli Studenti quando il di loro bisogno lo esiga" -, nel quale il lettore avrebbe potuto reperire tutto il posseduto, indicizzato alfabeticamente, in un'unica sequenza cumulativa per autore, per titolo e per soggetto. Questo secondo catalogo avrebbe sfoggiato un contenuto informativo molto più ricco rispetto a quello dell'Indice.
La natura funzionale e la ragione della coesistenza dei due diversi cataloghi, complementari ma parzialmente sovrapposti, non vengono sufficientemente dibattute. Quanto, infatti, risulta chiaro e motivato l'autore nelle proposte per la razionalizzazione spaziale, tanto invece lascia adito a perplessità nella definizione del modello catalografico. Nella duplicità di quest'ultimo, infatti, paiono esprimersi contemporaneamente due visioni opposte della biblioteca: da un lato essa permane struttura fortemente mediata e gerarchica, e il bibliotecario è l'unico gestore, tramite l'Indice, dell'accesso al patrimonio; dall'altro, è sede privilegiata della ricerca, e deve consentire a tutti il libero approccio all'informazione, anche a quella che travalica la singola unità bibliografica, e che risiede nella molteplicità dei contenuti letterari (compendiata, appunto, nel Dizionario).
Si ha la sensazione che l'autore, nell'abbandonare in modo un po' brusco le tematiche organizzative (personale, pubblico, spazi, mobilio), abbia all'improvviso sentito il richiamo della vastità culturale della biblioteca, e abbia tentato, in modo un po' frettoloso seppure con slancio, di definire lo strumento catalografico adatto a dominarne l'orizzonte informativo. Nonostante la durezza del passaggio espositivo, non si può non apprezzare la volontà di far accedere a tutto lo scibile con un mezzo potente e raffinato. Questa forte struttura concettuale avrebbe dovuto costituire il massimo scopo dell'attività indicizzatoria, una volta che il bibliotecario avesse preventivamente assolto l'impegno di progettare l'ambiente architettonico razionale e coerente destinato a formare l'involucro delle collezioni librarie.
Flavia Cancedda, Biblioteca giuridica, Università di Roma "Tor Vergata"