Nonostante che dell'opera sia stata pubblicata una parte inferiore alla metà dell'insieme (nove regioni su venti) sembra opportuno non tardare ancora a segnalarla, considerata la sua importanza e visto che le sue caratteristiche fondamentali sono ormai chiare e, con ogni probabilità, non soggette a cambiamenti. Sono stati pubblicati i volumi relativi a Abruzzo, Basilicata, Lazio, Marche, Molise, Piemonte, Sardegna, Umbria, Valle d'Aosta. Naturalmente la quantità di pagine necessarie a ciascuna regione ha avuto escursioni notevolissime: si va dalle 60 dedicate alla Valle d'Aosta fino alle 925, suddivise in tre volumi, per il Piemonte (tre volumi sono stati richiesti anche dal Lazio). Sono annunziati come imminenti il Veneto e il Trentino-Alto Adige, e si spera che, proseguendo con questo ritmo, la pubblicazione giunga a termine in un tempo ragionevolmente breve. In essa si congiungono iniziative e competenze dell'amministrazione centrale e di quella regionale. In testa a ciascun frontespizio compaiono, alleati, il Ministero per i beni culturali, nella sua incarnazione di Ufficio centrale per i beni librari, Istituto centrale per il catalogo unico, e la Regione cui il volume si riferisce, questa variamente articolata: assessorato, soprintendenza, ecc. (ma, come si apprende dalla presentazione di Francesco Sicilia, comune a tutti i volumi, hanno collaborato anche le università). Siamo dunque davanti a uno strumento che nasce da una complessa cooperazione, fin qui rara a estrinsecarsi in manufatti del genere.
La copertura è un po' variabile da regione a regione: si escludono le biblioteche scolastiche e le parrocchiali (nei volumi dedicati al Piemonte anche le "raccolte private", che però risultano assenti anche in qualche altra regione e presenti altrove, se abbiamo visto bene, in misura ridottissima), ma per l'Abruzzo "alcune di queste sono state inserite perché svolgono compiti di biblioteche di pubblica lettura"; escluse inoltre, per il Lazio, "anche quelle appartenenti ad enti extraterritoriali, perché saranno trattate nel volume dedicato a tale tipologia di istituti". A queste assenze va aggiunta, naturalmente, quella delle biblioteche che non hanno risposto al questionario che sta a fondamento dell'impresa, e di altre che mancano per varie ragioni: tutte comunque figuranti in un elenco a parte. La materia è così ordinata: all'interno di ogni regione, ordine alfabetico di provincia; all'interno di ogni provincia, ordine alfabetico di comune; all'interno di ogni comune, ordine alfabetico per nome dell'istituto (ma secondo un criterio ormai vecchio e non perspicuo, che tiene conto solo delle cosiddette parole significative). Le biblioteche dell'università sono raggruppate sotto la voce Università.
Non conosciamo il questionario citato. Sappiamo soltanto che il Catalogo è uno sviluppo a stampa della base di dati Anagrafe delle biblioteche del Servizio bibliotecario nazionale (con alcune aggiunte, prima fra tutte la bibliografia). Nei volumi che ne risultano la descrizione delle biblioteche dispone, salvo nostre omissioni, delle seguenti voci: denominazione, indirizzo e telefono, ente di appartenenza, data di fondazione, edificio (se monumentale o costruito appositamente), tipologia funzionale, orario di apertura, accesso, periodo di chiusura annuale, servizi, sezioni speciali, patrimonio librario, fondi speciali, cataloghi, cataloghi speciali, norme di catalogazione, sistema di indicizzazione classificata, sistema di indicizzazione per soggetto, cataloghi collettivi (scilicet partecipazione a), automazione, pubblicazioni, comunicazioni, bibliografia. Naturalmente sotto ciascuna biblioteca sono presenti solo le voci appropriate. Cinque indici facilitano la consultazione: alfabetico per denominazione di biblioteca, alfabetico per denominazione dei fondi speciali, classificato per specializzazioni delle biblioteche (ordinate secondo l'11ª edizione ridotta Dewey), alfabetico per località; infine l'indice dei codici alfanumerici di biblioteca.
Chiunque abbia avuto a che fare con le biblioteche italiane, per studiarle o usarle, ha dovuto fin qui scontrarsi con un'assoluta povertà di dati di fatto. Incertissimo il loro numero, le notizie (che non riguardassero gl'istituti maggiori) scarse e soprattutto disseminate in una moltitudine di sedi tale da renderne ardua la ricerca e la raccolta. Il meritorio Annuario delle biblioteche italiane, dalla simpatica forma discorsiva (qui invece, nella Guida alla consultazione, si avverte che "Certe rigidità, che appaiono nell'esposizione delle notizie, sono dovute alla difficoltà di trasferire le informazioni dai campi del questionario alla stampa finale in forma più discorsiva"), anche nella sua ultima e più ricca edizione (1969-1981) era una specie di scelta, pur vasta, delle più rappresentative. La presente pubblicazione non può dunque che essere benvenuta; e certamente sarà, oggi e in futuro, compagna di bibliotecarî e studiosi, specialmente se verrà periodicamente aggiornata, com'è pacificamente fattibile visto che deriva da una base di dati continuamente coltivata. Le osservazioni che seguono (alcune le stiamo leggendo anche nella recentissima Guida alle fonti di informazione della biblioteconomia, di Alberto Petrucciani e Riccardo Ridi, Roma: AIB, 1996) non intendono minimamente porre in dubbio l'utilità e la correttezza dell'impresa.
Destinazione. Si chiama Catalogo (un termine che dapprima ci è apparso curioso, destinato com'è, di solito, a elencazioni d'oggetti meno corposi di questi; ma poi ci siamo ricordati del Catalogo delle navi), non Censimento o Annuario o Guida come ci si sarebbe aspettati. Dunque, con scopi meno immediatamente di utilità spicciola di quanto sottintendano i tre ultimi termini. Non c'è dubbio però che i destinatarî siano meno gli studiosi che gli addetti ai lavori. Per i primi non saranno sufficientemente particolareggiate le notizie, pur numerose, sui fondi speciali; è difficile, tra l'altro, trarne una definizione di questa categoria biblioteconomica, sempre così problematica: il partito migliore sembra essere stato, per questo Catalogo, di annettervi tutto ciò che in biblioteca porta quest'etichetta (e forse è la soluzione migliore come la più pragmatica; in altre sedi si è fatto assai peggio). E non sarà mai abbastanza ricca la bibliografia, che poteva essere ampliata anche ricorrendo a bibliografie già esistenti (per esempio quella in calce alle schede di Giovanni Cecchini, Le biblioteche pubbliche degli enti locali, Roma: Edizioni di storia e letteratura, 1957), e non doveva limitarsi a un aggiornamento di quella contenuta nel vecchio Annuario. Segnaliamo un solo caso, perché presenta un aspetto singolare. La Biblioteca comunale di Latina non reca corredo bibliografico. Eppure, in tempi di virtualità, pensiamo che almeno una voce le spetti: Biblioteca pubblica e giardini a Latina di James Stirling, a cura di Claudio Greco, Roma: Officina, 1989: il progetto d'una biblioteca fa parte della bibliografia di quella, anche se non realizzato? Crediamo di sì. Un altro aspetto bibliografico importante risulta trascurato: le pubblicazioni prodotte dalle biblioteche stesse; un solo esempio: per l'Augusta di Perugia si dice semplicemente "cataloghi di mostre". Non è un po' sbrigativo? Queste pubblicazioni curate dalle biblioteche sono spesso l'unico accesso possibile ad aspetti poco noti dei rispettivi patrimonî, e perciò assai utili agli studiosi.
Speriamo inoltre che a conclusione dell'opera ci attenda un volume dedicato interamente alle statistiche, ora assenti se non fosse per una magra tabella, per di più stampata sul labile risvolto di sopraccoperta, dove si riassume la situazione regione per regione. Aggregazioni e disaggregazioni sarebbero invece indispensabili a tutti noi.
Descrizione. Spicca la mancanza di due elementi: il nome del responsabile della biblioteca e i dati (almeno quantitativi) intorno al personale. Si dirà che sono notizie particolarmente effimere, soggette a variazioni. Certo; ma tutti i principali repertorî, anche stranieri, non ne mancano, soprattutto per ciò che riguarda il primo elemento. Del resto, in opere di questo genere, il criterio della validità dei dati nel tempo è solo frutto di equivoco: esse devono presentare il ritratto degl'istituti in un determinato momento della loro storia, solitamente il momento della pubblicazione. Che cosa c'è di più effimero delle informazioni sul patrimonio posseduto che, nell'ora in cui leggiamo queste pagine, avrà già conosciuto variazioni, sia pure piccole o minime? O delle informazioni sull'orario, e così via? D'altra parte, altre instabilità informative sono dovute a tutt'altra specie di ragioni: progressi (o regressi) negli studî storici, diversità d'impostazione, di criterî, di metodo. A queste crediamo di far risalire, in assenza d'ogni altro indizio, le varianti, rispetto ad altri repertorî, per le date di fondazione: per esempio (limitandoci a qualcuna delle pagine riguardanti il Piemonte), l'istituzione della Civica di Alessandria è datata dal già citato Cecchini al 1801, qui al 1806; della Civica di Casale Monferrato da Cecchini al 1922, qui al 1927; della Civica di Tortona da Cecchini a "dopo il 1849", qui al 1773.
Scorrendolo, il Catalogo presenta informazioni curiose. È qui che apprendiamo che in una comunale sarda (Samugheo, provincia di Oristano) il sistema d'indicizzazione adoperato è la Colon classification: non dubitiamo che Samugheo diverrà il San Giacomo di Compostella dei classificatori italiani. Ma, anche per quest'ordine di fatti, c'è qualche difficoltà di lettura. Se ci rende abbastanza tristi la frequenza con cui, alle voci Norme di catalogazione, Sistema di indicizzazione classificata, Sistema di indicizzazione per soggetto, si legge: individuale, individuali, un altro genere d'interrogativi suscita l'altrettanto frequente dizione: CDD, individuale. Che significa? Un "dialetto" Dewey? Oppure che una parte della biblioteca è classificata secondo Dewey, un'altra "individualmente"? E che cosa significa (altro caso frequentissimo) che c'è un sistema d'indicizzazione classificata (quasi sempre Dewey) se poi risulta che di cataloghi ce n'è uno solo, per autore? Sarebbe stato assai più chiaro, in questo caso, dire che Dewey serve non propriamente come sistema d'indicizzazione, ma solo per la collocazione.
Particolari. C'è qualche piccolo particolare che, pur non avendo peso complessivo, è disturbante e andrebbe corretto. Ci riferiamo 1) alla registrazione tipo CIP che compare sul verso del frontespizio: adottando (giustamente) il metodo dei livelli di descrizione, li confonde poi malamente; 2) alla minuscolizzazione a oltranza e a rovescio che compare negl'indirizzi delle biblioteche: in italiano non si può scrivere Via sportello, Via delle prome, Via oriente, Via dei frentani ("l'odonimo vero e proprio richiede sempre la maiuscola: via del Gambero ...": Luca Serianni, Grammatica italiana, Torino: UTET, 1988, p. 54).
Luigi Crocetti, Firenze