L'urgenza del codice deontologico

Lo statuto approvato a Trieste inserisce, tra i compiti dell'AIB, quello di "promuovere il rispetto dei principi deontologici della professione". Si tratta di quel "richiamo al codice deontologico, da scrivere quanto prima possibile", previsto nel documento preparatorio alla nostra Conferenza organizzativa dell'ottobre 1994, poi dibattuto sulla stampa dell'Associazione, all'interno degli organi dirigenti e tra i soci, ma finora senza una conclusione.

Alla vigilia del rinnovo delle cariche sociali dell'AIB, con le nuove regole statutarie, quel discorso interrotto si riaffaccia, perché proprio l'accentuazione della connotazione professionale dell'Associazione richiede che siano maturi i tempi per l'elaborazione e la definizione del codice deontologico del bibliotecario.

Ciò non soltanto perché appare ingiustificabile il nostro ritardo, rispetto alle esperienze ormai consolidate dei colleghi europei e delle associazioni sorelle, ma soprattutto perché qui ed ora, per le trasformazioni che investono il mercato del lavoro e la professione, il rapporto tra funzioni pubbliche e gestione dei servizi, sempre più diffusamente privatizzati, appare necessario e urgente codificare, garantire e verificare, in tutte le forme possibili, la qualificazione della prestazione professionale.

Lo statuto etico della professione, rappresentato dal codice deontologico, è uno di questi strumenti e ne è strumento imprescindibile e fondamentale. L'AIB, che a Viareggio si definiva "guida professionale e garante sia per i bibliotecari che per le realtà esterne", deve avere la titolarità di questo processo di elaborazione e definizione del codice di autoregolamentazione professionale, non solo per i soci, quindi, ma per l'universo della professione, coerentemente con la sua rivendicata identità di associazione di professionisti, anche prima e in assenza di un formale riconoscimento giuridico.

Il codice è statuto etico della professione, fondato su regole deontologiche condivise e collettive, sul principio dell'autonomia culturale e scientifica e, pur non essendo un codice di norme giuridiche, esso è da ritenersi ugualmente cogente e rappresenta, nei confronti degli interlocutori della professione, la garanzia della qualità del servizio.

Nei documenti elaborati dal Collegio dei probiviri e proposti al dibattito fra i soci (Proposte di un codice deontologico del bibliotecario, "AIB notizie", 6 (1994), n. 10, p. 14-15, e Proposte di codice deontologico del bibliotecario: principi fondamentali, "AIB notizie", 7 (1995), n. 10, p. 26) venivano individuati due ordini di doveri, il primo in rapporto all'utente, il secondo alla professione.

Nei confronti dell'utente, il cuore della missione del bibliotecario sta nella garanzia di fornire un'informazione imparziale e non condizionata da pregiudizi ideologici o politici, né tanto meno di razza, sesso o condizione sociale, libera da ogni forma di censura; il bibliotecario ha l'obbligo della riservatezza nei confronti dell'utente e delle fonti utilizzate e deve sentire la necessità dell'impegno per lo sviluppo e l'efficienza del servizio bibliotecario come strumento di democrazia.

Nei confronti della professione i doveri etici sono riferiti alla qualità del servizio, alla cultura tecnica professionale continuamente e costantemente aggiornata, al vero e proprio orgoglio professionale, cioè alla consapevolezza profonda dell'utilità sociale e scientifica del proprio lavoro e al dovere di partecipazione alle associazioni professionali, come mezzo di autoformazione e di impegno politico e sociale. Formazione e aggiornamento sono strumenti di efficienza e di qualificazione della prestazione professionale, sulla base della definizione di parametri, di standard di servizio, e in tal senso i doveri verso la professione si coniugano con i doveri verso l'utente.

È tempo che quella proposta, certamente da approfondire e da correggere, di cui non è esaurita la fase istruttoria e che viene consegnata al nuovo Comitato esecutivo nazionale come lavoro in corso, sia portata ad un esame conclusivo per una decisione che non appare più rinviabile, per coerenza con i principi fondanti dell'Associazione, richiamati nel nuovo statuto. Sarà necessario arricchire questa riflessione con analisi generali e di settore, distinguendo le tipologie e i livelli di servizio, affinché si produca non una casistica astratta, un codice così generico da apparire inutilmente retorico, ma invece uno statuto etico che non trascuri alcun concreto dovere del bibliotecario nei confronti della sua utenza e committenza e nei confronti della professione, nei diversi luoghi in cui egli la esercita, in ambiente tradizionale o tecnologicamente avanzato.

È un lavoro in corso, appunto, di cui vorremmo veder presto lo stato finale, per disporre di uno strumento decisivo per affermare insieme l'identità e la visibilità della nostra professione e della nostra Associazione.

Giovanni Lazzari