RECENSIONI E SEGNALAZIONI
Richard J. Cox. The first generation of electronic records archivists in the United States: a study in professionalization. New York: The Haworth Press, 1994. XIX, 220 p. ISBN 1-56024-644-8. $ 39.95.
Il volume, edito anche come fascicolo monografico della rivista "Primary sources & original works" (3, 1994, n. 3/4), costituisce sicuramente il primo studio organico (anche se, per ammissione dello stesso autore, non esaustivo né conclusivo) sulla generazione di archivisti americani che, per prima, ha sbattuto il naso contro i documenti elettronici. Per tracciare il profilo biografico e la "preparazione" scientifica di questa generazione Cox, che ha accumulato una notevole esperienza nel campo della formazione, utilizza quattro chiavi di accesso e di valutazione: 1) una analisi molto interessante delle mansioni operative degli archivisti di Stato e federali del Nordamerica; 2) una indagine sui bandi di concorso relativi al ruolo di archivista pubblicati sulle riviste professionali americane nel periodo 1976-1990; 3) una analisi dell'offerta educativa di carattere universitario relativa al settore archivistico; 4) l'esperienza in campo formativo del NAGARA Institute. Questo istituto, attivo dalla fine degli anni Ottanta, costituisce una specie di scuola di specializzazione per archivisti degli archivi federali e di Stato americani i quali intendano approfondire in particolare tutte le tematiche collegate con il trattamento e la conservazione dei documenti elettronici.
Il testo di Cox è assai complesso e molto ricco di dati e di riferimenti concreti che non è possibile riassumere in maniera sintetica. Per questo vale forse la pena di riprendere alcune questioni sicuramente centrali nel volume e sottoporle all'attenzione del lettore (in questo caso bibliotecario). Comincerei da una cosa che non ho trovato e che sicuramente avrebbe potuto interessare un bibliotecario, vale a dire qualche elemento di comparazione sull'impatto che l'automazione ha avuto sulla formazione e sul profilo professionale dei bibliotecari e su quelli degli archivisti in Nord-america. E questo è tanto più strano da parte di un autore che, per esplicita ammissione, si schiera dalla parte di coloro che sostengono che l'archivistica ha "forti radici sia nella storia che nella biblioteconomia e nella scienza dell'informazione" (Cox si riferisce ovviamente al Nordamerica, perché in Italia, almeno fino all'inizio degli anni Novanta, le cose non andavano affatto in questa maniera). A parte questo il libro evidenzia soprattutto l'appuntamento mancato da parte della professione archivistica americana con le nuove tecnologie sia negli anni Settanta che negli anni Ottanta e il forte ritardo che si registra ancora oggi alla metà degli anni Novanta.
Ma perché si può e si deve parlare di difficoltà da parte degli archivisti a fare i conti con l'automazione e con i documenti elettronici in particolare? Primo, perché fino agli anni Novanta esistevano negli archivi statali e federali americani solo poche figure che si occupavano di questi temi e di questo tipo di documenti. Inoltre, secondo Cox, la descrizione dei ruoli e delle mansioni degli archivisti di Stato non prevedeva le conoscenze e le abilità necessarie per la corretta gestione dei documenti elettronici. Secondo: non esiste una letteratura specifica e univoca che tratti dell'impatto delle nuove tecnologie sugli archivi e della gestione degli electronic records e che possa essere utilizzata sui banchi delle scuole di archivistica. Infatti il manuale di Margaret Hedstrom, Archives & manuscripts: machine-readable records, datato 1984, è rimasto per molti anni un fiore nel deserto ed era comunque il frutto di una realtà sperimentale molto avanzata (quella dell'Archivio di Stato di New York), con pochi riscontri nel resto del paese. Al testo della Hedstrom (per altro rapidamente invecchiato, secondo Cox) si è affiancato otto anni dopo quello di Charles Dollar, Archival theory and information technology: the impact of information technologies on archival principles and methods (Macerata, 1992). Ma a parte queste opere e un numero limitato di buoni saggi (per altro elencati nella ottima bibliografia finale del volume) la professione archivistica nordamericana non è riuscita a produrre una sistemazione scientifica e univoca (ovvero trasformata in pillole digeribili per studenti di scuola superiore e universitari) degli argomenti che hanno a che fare con i documenti elettronici. Più in generale i programmi di formazione archivistica hanno offerto "solo pochi corsi sulla gestione della documentazione elettronica" e la qualità di questi corsi era assai discutibile. Terzo: l'analisi delle offerte di lavoro per posti di archivista nel periodo 1976-1990 rivela chiaramente come assai di rado si richiedessero competenze particolari nel campo dell'automazione e ancora meno per la specifica gestione dei documenti elettronici. L'unica evoluzione individuata è una crescente attenzione, a partire dalla fine degli anni Ottanta, per abilità e conoscenze connesse con il trattamento elettronico delle descrizioni archivistiche e con il formato US MARC AMC, che costituisce il formato di scambio standard dei dati descrittivi utilizzato in maniera sempre più cospicua da parte della comunità archivistica nordamericana. Tale evoluzione è probabilmente collegata al notevole numero di richieste di archivisti provenienti dal mondo universitario americano (oltre il 30% del totale), che ha giocato (e Cox assume questo dato come un fatto scontato, mentre non lo è per niente nel panorama europeo) un ruolo significativo nella crescita della professione archivistica nordamericana. Sarebbe interessante approfondire in quale misura tale adesione allo standard MARC, e il conseguente avvicinamento a sistemi informativi di tipo bibliografico, abbia influenzato l'evoluzione degli archivisti americani. Ma Cox pare dare poca importanza a questo processo e passa oltre. Quarto: solo l'esperienza del NAGARA Institute dalla fine degli anni Ottanta in poi sembra invertire una certa disattenzione da parte degli archivisti americani verso l'informatica e il documento elettronico in particolare, anche se tutta l'esperienza di questo istituto potrà essere valutata a pieno solo nel medio-lungo periodo. Un ruolo minore in questa vicenda giocano anche le riviste professionali degli archivisti americani, a cominciare dal "The American archivist", di cui pure Cox è stato in questi ultimi anni direttore responsabile. Da qui la conclusione dell'autore che nell'ultimo trentennio la professione archivistica nordamericana, a parte poche lodevoli eccezioni, non sia stata affatto preparata per gestire l'impatto con l'automazione e con i documenti elettronici in particolare.
Inutile dire che Cox sta dalla parte di coloro che sostengono che gli archivisti devono assumere un atteggiamento attivo e non di attesa di fronte ai documenti elettronici e sostiene la tesi che la "professione archivistica è certamente una componente delle professioni che si occupano di informazione". Il compito dell'archivista (quella che loro chiamano mission) è di "identificare, conservare e gestire informazioni che possiedono un valore permanente" e, scrive Cox, si tratta di un ruolo importante alla fine del 20º secolo, che potrà essere recitato con piena consapevolezza solo a patto che gli archivisti sappiano viverlo non come spettatori (come in buona parte hanno fatto nell'ultimo trentennio) ma come attori. E viverlo come attori significa saper affrontare in maniera sistematica, e quindi non da autodidatta o occasionale, lo sviluppo delle nuove tecnologie in relazione al loro impatto con il lavoro dell'archivista. Ci riusciranno? Sì, pare dire Cox, ma sono se gli archivisti definiranno e soprattutto realizzeranno in concreto attraverso scuole speciali o nell'ambito universitario curricula formativi moderni e all'altezza delle sfide poste dalle nuove tecnologie e dai nuovi supporti elettronici. Il volume costituisce quindi un utile strumento di conoscenza per chi vuole approfondire l'analisi dei processi formativi degli archivisti nordamericani ed è auspicabile in particolare che venga letto e studiato con attenzione anche dai responsabili dei nostri corsi di laurea in beni culturali e della formazione professionale in ambito regionale.
Roberto Cerri, Archivio storico comunale di San Miniato (PI)