Sogno di una notte di mezza estate
Come in molti altri settori della cultura e dell'informazione, anche nel mondo delle biblioteche i primi passi del nuovo governo sono seguiti con estrema attenzione e con sentimenti nei quali la speranza di vedere finalmente affrontati problemi la cui soluzione non è più rinviabile si mescola - è inutile negarlo - al timore di ennesime (e forse definitive) delusioni.
Prima ancora di prendere in esame le questioni sul tappeto, alcune da molti anni per la verità, riteniamo che un governo che intenda operare una seria politica nei confronti della formazione, della lettura e dell'informazione da un lato, della tutela e valorizzazione dei beni librari dall'altro, debba adottare un approccio adeguato alle questioni e dotarsi quindi di una visione delle cose e di un "abito mentale" che siano in piena sintonia con l'esistente e nello stesso tempo sappiano programmare cambiamenti non parziali.
Facciamo subito un esempio per chiarire il concetto. Anche nel mondo delle biblioteche si può toccare con mano l'esistenza di almeno due, se non tre Italie. È chiaro quindi che, al di là di interventi di carattere generale, quali l'approvazione della legge quadro, il riconoscimento della professione, il deposito legale, ecc., l'intervento non può che essere differenziato tra le varie aree del paese. Cominciamo - per dir così - dalle fondamenta, e cioè dall'edilizia bibliotecaria. Qui la distanza tra le diverse Italie si presenta in modo veramente drammatico. Infatti, a fronte di grandi progetti europei per la costruzione di biblioteche nazionali, quali sono quelli francese e inglese, ormai giunti al termine o quasi, in Italia assistiamo a una intensa attività a livello decentrato di costruzione di nuovi edifici per le biblioteche, quasi esclusivamente nelle regioni comprese fra le Alpi e il Po, così come ha mostrato in modo lampante la V Conferenza nazionale per i beni librari dal titolo La biblioteca tra spazio e progetto, tenutasi a Milano il 7 e 8 marzo di quest'anno. Quindi l'attività di costruzione di nuove sedi per le biblioteche in un periodo di grandi trasformazioni dei servizi e della loro gestione archiviale ed ergonomica vede quasi totalmente assente una parte del paese non inferiore ai due terzi. Ma, mentre nel centro Italia e in qualche isolato caso del Sud esistono comunque dei servizi bibliotecari di qualità almeno accettabile, anche se spesso confinati in edifici inadatti e insufficienti, in aree consistenti della penisola il servizio bibliotecario è quasi completamente assente. Dunque, se la presenza e il livello di qualità della biblioteca è - come affermava giustamente Liliana Cavani nel suo intervento per La biblioteca desiderata - un indicatore prezioso del livello di civiltà raggiunto da una comunità, non sarebbe arrivato il momento di lanciare una grande campagna per dare un servizio bibliotecario a chi non ce l'ha e quindi mettere in moto un processo di destinazione di risorse che comincino a riequilibrare il nostro squilibrato paese partendo proprio dai servizi formativi e informativi di base e dunque dalle biblioteche? Si potrà obiettare giustamente che la politica bibliotecaria a livello locale (quella che una volta si chiamava pubblica lettura) è competenza della amministrazioni locali e che quindi qualunque intervento dello Stato sarebbe vissuto come un'ingerenza centralista. A questa obiezione si deve rispondere che lo Stato può benissimo limitarsi a favorire e incoraggiare, con i tanti strumenti di cui dispone, quegli enti locali che, al Sud o in altre zone che segnano gravi ritardi, vogliano promuovere la nascita di nuove biblioteche. Niente finanziamenti a pioggia, ovviamente, ma agevolazioni di ogni tipo, fiscale, tariffario, normativo, ecc., dati non solo ai poteri locali, ma anche ai privati che vogliano concorrere. Il tutto sostenuto da una forte campagna nazionale che usi soprattutto i grandi mezzi di comunicazione, così come si è fatto e si fa sotto la sigla Pubblicità progresso per quelli che sono considerati grandi problemi nazionali (prevenzione all'AIDS, tutela dell'ambiente e simili).
Questo non solo non verrebbe a compromettere quell'autonomia che resta un'esigenza fortemente sentita nelle biblioteche a livello planetario, ma anzi ne sarebbe la condizione primaria. Non ha infatti alcun senso un'autonomia che non si accompagni a una adeguata dotazione di risorse. L'autonomia priva di mezzi si risolve anzi in una vera e propria beffa. Un dato? Nelle biblioteche pubbliche inglesi viene considerato insufficiente un finanziamento pari a 20 sterline per abitante. Quante sono in Italia le realtà che si attestano a tali livelli? Molto poche, credo. Nella realtà che conosco meglio - la Malatestiana di Cesena, che ha un suo bilancio autonomo in quanto Istituzione - siamo ad un costo annuo di circa 18.000 lire per abitante (comprese le spese del personale), poco più di un terzo rispetto alle 20 sterline, per una città di quasi 90.000 abitanti e per una biblioteca che è insieme di tradizione e di base. Sicuramente non siamo tra le realtà più sfavorite in Italia: ma che senso ha parlare di servizi bibliotecari con livelli di finanziamento inferiori, e di molto, come accade certamente altrove?
L'investimento nella formazione e nelle strutture informative - ben lungi dall'essere un intervento assistenziale - è infatti una delle condizioni indispensabili per il rilancio economico. Da esso infatti traggono profitto immediato non solo la scuola, ma anche tutte le attività economiche a cominciare da quelle che hanno qualcosa a che vedere con il turismo. Se proprio non vogliamo preoccuparci del livello di conoscenze e di alfabetizzazione dei cittadini, basterebbero queste motivazioni economiche per suggerire un intervento politico in tale senso. Ma l'investimento non si dovrà limitare agli aspetti edilizi. Occorre riempire poi le biblioteche di libri (e altri documenti) e di bibliotecari. Per i primi ricordo che i 25.000 titoli annui (o 35.000 secondo altre fonti) del Rapporto sull'economia della cultura, che sembrano tanti, sono in realtà pochi se confrontati con quelli di altri paesi europei e diventano pochissimi se valutiamo le tirature medie. Un rilancio (o meglio l'avvio) di servizi bibliotecari nelle zone più deboli è interesse anche del mondo editoriale (cartaceo e non), se è vero che livelli alti di fatturato delle aziende editoriali si coniugano quasi ovunque con la qualità alta dei servizi bibliotecari. Per i secondi vorrei ricordare che - anche prima dell'ipotesi di impiego di insegnanti soprannumerari - ci sono le centinaia (che presto diverranno migliaia) di laureati e diplomati dei corsi universitari incentrati sui beni culturali sparsi un po' ovunque nella penisola. Certo, anche se l'ipotesi utopistica di occuparli tutti divenisse realtà, questo non sarebbe che una piccola goccia nel mare della disoccupazione giovanile. Ma ricordiamoci che spesso questi giovani, soprattutto nelle realtà più piccole e disagiate, sono la parte più cosciente e sensibile del mondo giovanile, dei veri e propri opinion leaders, il cui eventuale ruolo attivo in un settore vitale come quello della formazione e dell'informazione può avere effetti positivi impensabili sull'intero corpo sociale, sull'economia, perfino - in alcune zone - in direzione del ripristino della legalità. Mi sono trovato spesso negli ultimi 12 anni ad insegnare in questi corsi dai quali escono e usciranno molti giovani. Certo, l'università italiana dovrà impegnarsi a fondo per migliorarli e razionalizzarli, ma posso dire che permettere la dispersione di tali risorse umane rappresenterebbe sicuramente qualcosa di peggio di un delitto: si tratterebbe di un grave errore politico.
Ecco dunque un'ipotesi sulla quale lavorare: il riequilibrio dei servizi bibliotecari, con la conseguente diffusione di opportunità di lettura e informazione, di accesso - tramite SBN - alle risorse bibliografiche di tutto il paese e - tramite Internet - alle risorse informative planetarie, di formazione e aggiornamento professionale.
Da parte dell'AIB mi pare scontato assicurare disponibilità a svolgere il ruolo che le è proprio: quello di consulenza e stimolo. Magari occorrerebbe accrescere e sviluppare gli strumenti che ci consentono di dialogare col mondo politico. Accanto infatti a La biblioteca servizio pubblico locale - ottimo per "evangelizzare" gli amministratori locali - sarebbe opportuno produrre qualcosa di analogo per il livello politico nazionale. Rossella Caffo si augurava che il volume curato da Fausto Rosa fosse sul tavolo di sindaci, segretari comunali, amministratori, dirigenti. Occorre qualcosa per il tavolo di ministri, sottosegretari e magari direttori generali. In Francia un editore prestigioso ha pubblicato una monumentale storia delle biblioteche francesi. Perché non pensare da noi a qualcosa di un po' meno monumentale e più "politico"? Si rileva spesso come difetto dei vari settori della cultura italiana un eccesso di autoreferenzialità: quale antidoto migliore per le biblioteche e i bibliotecari di quello di farsi conoscere dagli altri, raccontando la propria storia?
Lorenzo Baldacchini