Quattro anni, sedici numeri...

Quattro anni del nuovo «Bollettino AIB»: sedici numeri, oltre duemila pagine, 260 libri recensiti, 3041 schede di letteratura professionale, il numero zero di una bibliografia elettronica delle biblioteche e del libro, il primo «DC&» italiano. Una piccola Olimpiade, non quella di Berruti o di Mennea, ma quella degli oscuri decatleti, le cui giornate cominciano prima e finiscono dopo quelle degli altri, fuori dalle fasce di collegamento TV, a correre, saltare e lanciare senza exploit – per qualsiasi prova esiste chi la svolge molto meglio – ma anche senza pause.

L'importante, si diceva una volta, è partecipare. Per noi è stato importante soprattutto non fermarci, uscire – anche se con un po' di ritardo – senza mai saltare una prova o un giro. Del resto la nostra rivista, in oltre un trentennio di vita, non era mai riuscita a tenere il ritmo della pubblicazione ininterrottamente per quattro anni.

Insieme ai sedici numeri, ciò a cui più teniamo sono le 162 diverse firme di collaboratori, che continuano ad aggiungersi – 24 nell'ultimo anno – spontaneamente o sollecitati (e tanti sono gli amici e colleghi a cui non ci è ancora riuscito di strappare nemmeno una recensione).

All'attivo, mi sento di mettere ancora la tranquilla coscienza che la rivista, pur scontando qualche imbarazzo, ha sempre mantenuto la sua assoluta indipendenza e la sua "etica", fatta in primo luogo di rispetto per il lettore. Lettore che ha diritto a una rivista curata, corretta, leggibile, in cui quindi anche i temi più specializzati o più ostici siano esposti ordinatamente e chiaramente (che è cosa diversa, sia detto per inciso, dal confezionarli in polpettine che non richiedono sforzi di masticazione ma hanno un po' tutte lo stesso sapore). Lettore che ha diritto, soprattutto, di essere il vero destinatario di ogni discorso, e mai il testimone passivo di messaggi trasversali o di scambi di stoccate che in realtà non lo riguardano e di cui nessuno lo mette a parte.

Il «Bollettino» non è mai stato strumento, "megafono" o "cassetta delle lettere" di guerre e guerricciole, istituzionali o personali. Questo non vuol dire sfuggire la discussione, anche polemica, ma semplicemente distinguere con rigore tra le regole della comunicazione scientifica e professionale, il cui rispetto è richiesto a tutti, e le ragioni più o meno valide di questa o quella posizione. Una rivista scientifica e professionale, e particolarmente quella di un'associazione, non deve essere organo di "scuola" o di tendenza, ma sede aperta a qualsiasi posizione, purché adeguatamente articolata e motivata, di modo che qualunque lettore (non pubblico indifferenziato, ricordiamolo, ma professionista inter pares) possa comprenderne e valutarne le ragioni. Naturalmente anche il direttore e la redazione hanno delle opinioni, e non ne fanno mistero, ma il loro compito, come quello di un buon padrone di casa (che oltretutto, in questo caso, è il gestore pro tempore di una dimora storica, che appartiene piuttosto alla comunità), è soprattutto quello di curare che gli ospiti siano a proprio agio, guardandosi dal monopolizzare la conversazione.

Le voci più dolenti del bilancio le conosciamo già, i nostri desideri li abbiamo già espressi. Contributi più numerosi e tempestivi, che ci permetterebbero una migliore programmazione, un editing meno frettoloso e minori ritardi, e soprattutto più contributi finalizzati alla concreta organizzazione dei servizi e al loro miglioramento, anche da parte delle commissioni e dei gruppi di lavoro dell'Associazione. Ancora, più recensori abituali ed esperti (oltre che concisi), che ci aiutino tutti ad orientarci in una letteratura professionale soprattutto straniera tanto cresciuta e sicuramente sovrabbondante e ripetitiva (oltre che sempre più costosa), segnalando gli strumenti più utili e le idee più stimolanti. Tutto il contrario, insomma, di un'inutile litania di soffietti insaporita da qualche stroncatura. Infine, maggiore sollecitudine degli autori, degli editori e in particolare delle biblioteche nel mandarci le loro pubblicazioni, perché il nostro servizio informativo divenga sempre più completo e accurato.

Personalmente sono convinto che tra i differenti pilastri su cui poggia una forte e viva comunità professionale uno fra i più importanti – insieme a una puntigliosa tutela delle condizioni di lavoro e all'attenta sensibilità ai valori umani e ideali – sia la sua cultura, solida e condivisa. Una cultura professionale che, per le ragioni che tutti conosciamo (a partire dalla mancanza di un sistema formativo), ha molto bisogno di irrobustirsi e crescere, per diventare la base solida di un prestigio esterno, percepito e riconosciuto – al di là delle contingenze politiche o d'altro genere – da tutti i nostri interlocutori. Questa è una delle non minori ragioni del progetto di approfondimento scientifico e culturale del «Bollettino», che rappresenta biblioteche e bibliotecari italiani nelle grandi bibliografie e banche dati internazionali e sugli scaffali delle maggiori biblioteche professionali del mondo, e deve anche nel nostro paese costituire tangibile evidenza di una solida professione, e non di una qualsiasi microcorporazione magari più incline, per vocazione e – come diceva Francesco La Rocca – «organici rapporti con l'alfabeto», alla chiacchiera.

Quello che ci è riuscito di fare fin qui, diciamolo apertamente, è dovuto non a un mirabile meccanismo impersonale né alla robusta macchina organizzativa dell'Associazione, ma a una condivisione di valori, a uno spirito di tacita e solidale "resistenza umana" su cui ciascuno di noi deve poter sempre contare per arrivare, fra i mille impegni e problemi della vita professionale e di quella personale e familiare, a chiudere un altro numero al meglio, ogni tanto con qualcosa in più, e comunque senza perdere il piacere di andare avanti.

Alberto Petrucciani