Il 5 novembre 1997, in prossimità della scadenza del mandato del Consiglio d'amministrazione che aveva tenuto a battesimo l'Istituzione biblioteche del Comune di Roma e che era stato in carica poco più di un anno, la sezione AIB del Lazio organizzò una giornata di studio per tracciare un primo bilancio delle attività svolte e per promuovere un confronto tra i responsabili delle biblioteche di diversa titolarità esistenti nella città di Roma, nella prospettiva di favorire forme di raccordo capaci di trasformare una galassia piuttosto sgangherata in un sistema cittadino di servizi bibliotecari degno di questo nome.
Nella sua presentazione, la presidente della sezione Marzia Miele ricorda come - malgrado esistano in città parecchie centinaia di strutture e vi abbiano sede, per motivi storici e istituzionali, importanti biblioteche di ogni tipologia - il servizio offerto ai cittadini risulti fortemente deficitario, in particolare per quanto riguarda l'insufficienza degli spazi riservati alla lettura e i ritardi nel processo di informatizzazione.
Se le cose stanno così, sul sistema bibliotecario comunale e sui suoi grossi limiti pesa senz'altro una notevole responsabilità, perché è venuta a mancare proprio l'infrastruttura di base di una rete cittadina. La decisione di trasformare le biblioteche circoscrizionali in una Istituzione, cioè in un insieme organico, gestito unitariamente e in regime di autonomia dalla macchina comunale, intendeva non solo rispondere all'esigenza di razionalizzare e potenziare le biblioteche pubbliche direttamente dipendenti dal Comune, ma poteva essere anche un'occasione per dare un impulso nella direzione di una più stringente cooperazione tra le diverse strutture bibliotecarie esistenti nella città di Roma. Un'altra peculiarità di questa esperienza, che forse ora vale la pena ricordare, è che il nuovo assetto istituzionale era stato fortemente voluto dagli operatori delle 28 biblioteche comunali e che essi avevano intensamente partecipato alla fase di progettazione del nuovo organismo. L'amministrazione comunale recepì questa spinta e deliberò la riforma del sistema bibliotecario, ma a queste decisioni non corrispose una consapevolezza della gracilità delle strutture preesistenti e, conseguentemente, un incremento del budget necessario per farle crescere e per alimentarle adeguatamente.
Un anno è certamente poco per raggiungere obiettivi ambiziosi - e, nella relazione di Tullio De Mauro, all'epoca presidente dell'Istituzione, viene criticata la norma in base alla quale la scadenza del mandato del Consiglio d'amministrazione coincide con l'elezione del Sindaco e del Consiglio comunale (il recensore non condivide però questa osservazione, ritenendo corretto che il ricambio nelle responsabilità di governo degli enti comunali avvenga in occasione del rinnovo elettorale e in coerenza con i programmi sottoposti al vaglio dei cittadini) - ma il dibattito che si sviluppò durante quella giornata di studio e che ora leggiamo registrato negli atti presenta notevoli spunti di interesse.
Dalla discussione, ma in particolare dalle relazioni di Maurizio Caminito, Mauro Tosi e Fulvio Stacchetti, emerge la gran mole di lavoro di analisi e programmazione svolto dagli uffici centrali dell'Istituzione, per una migliore distribuzione territoriale delle strutture e per una loro azione più incisiva. Il punto di partenza è la constatazione di uno squilibrio, che De Mauro non esita a definire catastrofico, tra le dimensioni dell'utenza potenziale in un'area metropolitana di circa tre milioni di abitanti (e in cui risiedono ben 180.000 studenti universitari!), da una parte, e l'inadeguatezza delle risorse disponibili e dell'offerta, dall'altra. Le linee alle quali si è lavorato per costruire un piano di sviluppo passano attraverso un potenziamento e una riorganizzazione dei servizi centrali del sistema, un esemplare piano delle sedi (costruito in modo molto dettagliato, tenendo conto delle tendenze evolutive a livello demografico e urbanistico, e che prevede la localizzazione in posizione strategica di nuove strutture di dimensione medio-grande), la definizione di aree territoriali di cooperazione, una revisione della pianta organica e la proposta di nuove figure professionali, il potenziamento della rete informatica.
La realizzazione di questi progetti è ancora oggi in fieri e il ritardo con cui il sistema bibliotecario cerca di adeguarsi ai bisogni della cittadinanza romana difficilmente potrà essere azzerato, stante anche l'assoluta insufficienza delle risorse investite. Non è questa la sede per discutere le difficoltà che questa Istituzione, come del resto anche altre, ha incontrato nella sua fase di decollo e che forse non possono dirsi del tutto superate. Senz'altro condivisibile un rilievo critico avanzato da De Mauro e relativo al macchinoso avvio della nuova organizzazione e alle difficoltà dovute alla indeterminatezza delle relazioni tra questo organismo e la macchina comunale, sia per quanto riguarda i reali spazi di autonomia funzionale sia per quanto riguarda la formazione delle decisioni e la loro esecutività.
Il panorama è completato da una relazione di Stefania Fabri sulle biblioteche appartenenti al Comune di Roma, ma restate fuori dall'Istituzione in quanto non integrate nei servizi di pubblica lettura, come le biblioteche dei musei gestite dalla Soprintendenza comunale e dell'Archivio Capitolino.
A una migliore comprensione dei problemi dei servizi bibliotecari nella città di Roma contribuisce la lettura degli interventi svolti durante la tavola rotonda conclusiva, nella quale i responsabili di alcune delle maggiori biblioteche cittadine (Livia Borghetti per la Nazionale centrale, Concetta Petrollo per l'Alessandrina, Madel Crasta della biblioteca dell'Istituto Treccani, Dario Massimi della Biblioteca della Fondazione Gramsci e Gianfranco Crupi della Biblioteca di italianistica dell'Università "La Sapienza") ebbero modo di esprimere le loro posizioni rispetto alle questioni sollevate. L'idea di mettere attorno a un tavolo i rappresentanti delle varie tipologie di biblioteca esistenti a Roma per cercare la strada da seguire per una integrazione tra le varie strutture di servizio non era nuova (nel giugno del 1994 si era tenuta una giornata su "Leggere a Roma", in cui erano stati discussi i risultati di un'indagine tra gli utenti della Biblioteca nazionale ed erano state avanzate proposte per fronteggiare alcune emergenze, prima fra tutte la mancanza di sale di studio per la popolazione studentesca) e bisogna dire che neppure in questa occasione pare siano stati fatti concreti passi avanti: anche se le singole relazioni contengono, ciascuna per la propria parte, spunti di un certo interesse, si avverte la mancanza di un progetto politico complessivo e di idee capaci di smuovere le acque. Del resto nessun direttore di biblioteca ha titolo e strumenti per mettere mano a problemi di così vasta portata, se non ha alle spalle il sostegno convinto delle rispettive istituzioni di riferimento.
Ma se le istanze politiche e amministrative continueranno a non occuparsi, o a occuparsi poco e male, del governo dei servizi bibliotecari e informativi nella capitale del paese, difficilmente si uscirà da questa situazione di stallo.
Giovanni Solimine
Università della Tuscia, Viterbo