È facile e al tempo stesso complesso parlare di questi due libri di Giorgio de Gregori, di un grande maestro della nostra professione, di quello che possiamo considerare il decano tra i bibliotecari italiani e tra i più illustri soci dell'AIB. Facile perché si tratta di lavori di notevole respiro intellettuale, cui si unisce il raro piacere di leggere un bel libro; complesso perché, soprattutto la biografia di Luigi de Gregori, ci impegna in una riflessione costante sulle vicende politico-culturali italiane della prima metà di questo secolo. Del resto è lo stesso de Gregori nella sua breve Premessa a dare una chiave di lettura essenziale: «Il presente libro, che parla delle vicende e degli studi di un bibliotecario vissuto nella prima metà del secolo, interesserà soprattutto i suoi colleghi di oggi, ma come semplice biografia di un uomo che si è trovato a dover agire durante il ventennio di regime fascista, può interessare anche il lettore comune, al quale potrà avvicinare nella conoscenza del genere di lavoro del "bibliotecario", di questo sconosciuto».
Effettivamente questa biografia, genere in Italia poco diffuso, del bibliotecario italiano «più rappresentativo del secolo», è un vero e proprio libro di storia: storia di Roma tra le due guerre, storia delle vicende bibliotecarie (la discussione sulla Nazionale di Roma, il salvataggio delle opere dai bombardamenti), storia dell'Associazione italiana biblioteche, storia dei primi tentativi di far uscire dall'angusto ambito nazionale l'attività professionale, precorrendo di qualche decennio gli sforzi dei suoi successori. Ma è anche la storia di un uomo e della sua famiglia e de Gregori figlio con devozione e attenzione filiale ha voluto ripercorrerne i momenti importanti non dimenticando di far trasparire l'affetto che si deve a un padre. L'esordio del libro in questo senso è folgorante: «Mi piace iniziare il racconto del viaggio di Luigi de Gregori nel mondo delle biblioteche italiane e straniere della prima metà del secolo da una visita alla romana Biblioteca Casanatense di oggi, alla direzione della quale egli venne chiamato per dieci anni ricavandone un'esperienza che lo segnò profondamente e che certo più delle altre contribuì a formare e arricchire il suo abito professionale. Eccomi sulla soglia della porta d'ingresso della Biblioteca, al numero 57 di via S. Ignazio...».
E il viaggio comincia davvero. Siamo nella Roma d'inizio secolo e poi, ai tempi della Casanatense, alla metà degli anni Venti: l'intensa attività di Luigi de Gregori, la sua crescita professionale, il suo alto senso della funzione delle biblioteche, si sviluppano con il passare degli anni e si misurano con difficoltà sempre nuove e pur sempre le stesse. Sorprende noi, ma fino a un certo punto, bibliotecari di questa generazione tecnologica vedere come in fondo ci sia poco di nuovo sotto il sole, almeno qui da noi.
«Può dirsi che l'Italia, ricca com'è di tesori bibliografici, sia una delle nazioni meno progredite in fatto di biblioteche. Se le biblioteche non devono essere concepite soltanto come monumenti o musei o casseforti, ma come istituti di coltura, organismi vivi in continuo accrescimento, laboratori di studiosi, si cerchi un po' cosa ha fatto per essi lo Stato italiano che in cinquant'anni di possesso non ha ancora innalzato l'edificio né organizzato le funzioni di una grande biblioteca moderna, mentre la produzione libraria è andata aumentando in questo cinquantennio, con l'impeto di una valanga. Gli edifici che rinchiudono e soffocano le nostre maggiori biblioteche sonno ancora quelli costruiti fra il Cinquecento e il Settecento! E pensare che oltre venti secoli fa i dirigenti delle biblioteche alessandrine si preoccupavano di studiare il colore dei marmi onde ornare le sale di lettura perché non soffrisse la vista dei lettori!».
Se non fosse per il dato cronologico citato chi potrebbe datare questo scritto al 1925, quando venne pubblicato nell'«Archivio della Società romana di storia patria», e non al 1975 o al 1995? Poco è cambiato, e la "campagna per le biblioteche" di Luigi de Gregori è ancora una campagna da svolgersi con la stessa serietà e lo stesso impegno di chi la promosse.
Come si diceva all'inizio, però, questo libro non parla solamente del bibliotecario, ma corre con lo sguardo attento e curioso del figlio Giorgio all'attività del "romanista" de Gregori, appassionato cultore della sua città, alla vita familiare. Al proposito basterà citare le pagine riportate nel libro del Diario romano all'antica, che raccolgono le impressioni e i fatti dell'attività professionale e della vita quotidiana della famiglia de Gregori nel periodo bellico, in presa diretta dal 1943. E occorrerà anche aggiungere il corredo delle immagini, le foto d'epoca, che danno corpo all'idea dei protagonisti che il lettore si è andato facendo nello scorrere delle pagine.
Altro capitolo i viaggi all'estero e l'apertura all'Europa e all'America di un'attività professionale troppo spesso rinchiusa nelle angustie della dottrina e della teoria. Ma Luigi de Gregori è bibliotecario vero e non tarda a rendersi conto che il mondo non finisce al Collegio Romano, come, del resto, sensibile alle istanze della professione, fu tra i massimi fautori dell'istituzione dell'Associazione dei bibliotecari italiani. Dei viaggi all'estero de Gregori tenne un diario, variamente riportato nella biografia, dove è facile notare la giustapposizione di fatti aneddotici («tavola d'onore con vini a piacere») a citazioni di eventi legati alla professione.
Uno sguardo a tutto tondo, si potrebbe dire, questa "storia" che Giorgio de Gregori racconta ai suoi colleghi più giovani, e non solo a loro. Idealmente, immagino, egli ha voluto indicare a tutti noi variamente impegnati nel mondo delle biblioteche una figura di bibliotecario che ha saputo trarre le massime energie dalla sua "normalità" di uomo di studio, di funzionario, di padre. Chi attraversi oggi il mondo delle biblioteche non può che avere beneficio nel portare con sé questo piccolo grande Baedeker.
Una citazione infine che Giorgio de Gregori pone a epigrafe del primo capitolo e che è tratta dall'ultimo scritto di Luigi de Gregori Il bibliotecario, apparso nel 1947, poco prima della morte, sulla «Rivista delle biblioteche», che suonerebbe bene a sintesi dell'intero volume: «È difficile, così, che un vecchio bibliotecario pensi che rinascendo sceglierebbe un'altra professione».
Il lettore attento troverà poi nella già citata Premessa il racconto della genesi di questa pubblicazione con l'indicazione dei ruoli di quanti vi hanno concorso, ognuno a suo modo, a cominciare dal giovane collaboratore di Giorgio de Gregori, Andrea Paoli, cui tutti siamo debitori per aver fatto sì che questo libro venisse alla luce, ai figli dello stesso autore: un racconto che è la conferma dello stile che pervade l'intero volume, una mistura di dati obiettivi e di ricordi affettuosi, da viaggio nella storia italiana dei primi cinquant'anni del secolo, a viaggio dentro se stessi e la propria professione.
Diverso è l'altro volume uscito in contemporanea. Questo dizionario dei bibliotecari italiani del XX secolo è una sorta di work-in-progress che per ora si limita alle 169 schede redatte dallo stesso de Gregori nel corso degli ultimi anni, alle quali sono da aggiungere le 40 elaborate da Simonetta Buttò, curatrice di questa opera, che naturalmente necessita di un continuo aggiornamento e di una costante rivisitazione.
Scorrendo le pagine si ritrovano nomi noti, non sono sfuggiti al censimento di de Gregori i vari Salvatore Di Giacomo, Olindo Guerrini o Domenico Ciampoli, altrimenti conosciuti, oppure personalità come Fortunato Pintor o Angela Vinay, e nomi che lo sono assai meno, ma che ugualmente danno il senso di un tessuto connettivo prezioso sul quale si è costruito e, credo, dovremo far crescere, il sistema bibliotecario nazionale. Perché un dato emerge sicuro da questo volume: sono i bibliotecari il fondamento di un sistema informativo così essenziale, essi ne sono le vestali ed i propugnatori, nel bene e nel male, s'intende.
Lavoro prezioso e utile, dunque, e per la sua stessa impostazione assolutamente afferente all'attività di un'associazione professionale, come scrive Alberto Petrucciani nella sua Presentazione: «Oggi che l'AIB, l'associazione dei bibliotecari italiani, sta assumendo con sempre maggiore maturità e determinazione il ruolo di rappresentante e garante della professione, della sua scienza e della sua etica, la consapevolezza che "veniamo da lontano" e di quanto dobbiamo a chi ci ha preceduto può aiutarci a interpretare il ruolo delicatissimo che le nuove esigenze e i nuovi conflitti della società dell'informazione ci lasciano intravedere».
Al di là dei limiti che questa ricerca ancora ha, e che, come illustra, con dovizia e puntualità Simonetta Buttò nella sua Nota introduttiva, si conta di colmare in una prossima, vicinissima, nuova edizione, direi che questa riflessione sulla consapevolezza che ciascuno di noi deve avere del proprio retaggio professionale rappresenta un ideale ponte fra queste due pubblicazioni.
In conclusione un affettuoso omaggio al nostro autore, maestro, come mi è capitato più volte di dire, di tutti noi sia nella professione che nell'attività associativa, lui che dell'AIB è stato Segretario nazionale e inesauribile "socio", che serva anche come segno di gratitudine, con una citazione dalla pagina premessa a questo volume: «Buon lavoro per l'edizione definitiva del 2000, nella quale raccomando di citare anche il sottoscritto, pur se ancora vivente, per non perdere il mio posto tra i bibliotecari del secolo che sta per chiudersi».
Enzo Frustaci
Biblioteca Romana dell'Archivio Capitolino