Mauro Guerrini.  Riflessioni su principi, standard, regole e applicazioni: saggi di storia, teoria e tecnica della catalogazione. Presentazione di Attilio Mauro Caproni.  Udine: Forum, 1999.  266 p.  (Scienze bibliografiche; 1).  ISBN 88-86756-81-X.  L. 40.000.

Il volume è una raccolta di saggi che, pur se apparsi per la maggior parte in periodici e miscellanee degli ultimi cinque anni, «sono il frutto della riflessione che - sostiene l'autore nella premessa - mi accompagna fin da due decenni e che ha come filo conduttore la catalogazione nei suoi aspetti storici, teorici e tecnici, la discussione critica di situazioni catalografiche, lo studio dei codici di catalogazione, in particolare RICA e AACR2, l'analisi comparata dell'indicizzazione compiuta dalle principali agenzie catalografiche». Ed è proprio l'organicità delle riflessioni - incentrate sui principi generali del controllo dell'universo bibliografico e della organizzazione del catalogo per autore - che consente di focalizzare e di dibattere in modo particolare quelle problematiche attraverso cui Guerrini si inserisce in modo critico e costruttivo nel processo di revisione delle RICA.

Il punto di partenza della riflessione è costituito dalla ricostruzione del dibattito italiano sulle norme di catalogazione per autore, dalla Conferenza di Parigi alla emanazione delle RICA, un codice completamente rinnovato nella logica e nei meccanismi catalografici: ciò in sintonia con lo spirito informatore e riformatore dei Principi di Parigi e con il felice processo di maturazione scientifica della catalografia italiana. Questa ha avuto uno dei principali rappresentanti in Diego Maltese, che - sottolinea Guerrini - ha operato la saldatura della tradizione catalografica italiana con quella internazionale, soprattutto attraverso il riconoscimento teoretico della funzione classificatoria assolta dall'intestazione, principalmente quella per autore, in connessione con il ruolo che, nella cultura occidentale, l'autore riveste quale elemento principale di identificazione delle opere: di qui l'abolizione delle intestazioni formali e il sanzionamento del requisito dell'uniformità dell'intestazione, onde poter riferire allo stesso autore, e correlare, tutte le pubblicazioni della stessa opera. Rilevante è anche la assunzione - avvenuta sulla scia delle osservazioni di Lubetzky - che l'intestazione non ha solo il valore di classificazione delle opere ma anche quello di connotazione delle pubblicazioni, quando esprime funzioni - della persona o dell'ente - che non siano di creazione dell'opera, ma piuttosto di responsabilità varie nei confronti delle pubblicazioni.

Tuttavia non credo che nel codice italiano abbiano trovato espressione adeguata le implicazioni logico-operative di quelle rilevanti assunzioni: sarebbe stato necessario rapportare ogni meccanismo di accesso alla espressione catalografica delle opere e delle loro edizioni, testuali e bibliografico-editoriali, e impostare tutte le fasi della indicizzazione, con coerenza e sistematicità, in funzione: 1) della analisi delle due entità fondamentali rispondenti alla complessità dell'oggetto bibliografico, quella intellettuale e quella materiale, e degli agenti produttori di tali entità; 2) della individuazione di un livello gerarchico di individuazione e organizzazione catalografica delle due entità, sulla base di una reductio ad unum della multiformità e casualità delle materializzazioni documentarie e della bizzarria delle presentazioni editoriali. La mancata chiarificazione della peculiare struttura informativa del catalogo si traduce nell'oscillazione del codice catalografico fra le due diverse entità bibliografiche e nella assenza di una esplicita definizione dell'oggetto della catalogazione, anche se il prevalente - pur se non dichiarato - indirizzo è quello volto al rispecchiamento di una sola delle realtà coinvolte nei documenti, quella corrispondente alla morfologia fisica: ciò che determina l'inefficacia dell'intestazione quale elemento di individuazione delle opere di un autore e di classificazione delle varie edizioni di quelle in un unico punto del catalogo.

L'incertezza sull'oggetto della catalogazione e sulle situazioni bibliografiche da privilegiare determinano insofferenza e frustrazione nei bibliotecari italiani, di cui Guerrini rileva il basso livello di partecipazione al dibattito sulle RICA: dibattito reso ancora più fiacco dalla polarizzazione dell'attenzione dei bibliotecari, e degli interventi istituzionali, intorno alle procedure automatiche del Servizio bibliotecario nazionale. In questo contesto, la domanda posta dall'autore - in qualità di responsabile del gruppo di lavoro dell'AIB sulla catalogazione - sulla sorte delle RICA a vent'anni dalla loro pubblicazione trova scarsa eco e induce a cercare i punti di riferimento ancora una volta fuori d'Italia, nelle più recenti revisioni delle AACR2, e, in particolare, nel rapporto finale del Gruppo di studio dell'IFLA sui Functional requirements for bibliographic records, del 1998. Tale rapporto delinea, con rinnovato interesse verso gli obiettivi e i meccanismi di catalogazione e ricerca dell'informazione, un efficace modello concettuale di analisi delle entità bibliografico-editoriali che sfocia nella individuazione delle entità - e delle relazioni - che costituiscono l'essenza del documento e il perno delle esigenze e modalità consultative dei lettori: l'opera, i suoi agenti (gli autori), l'espressione (cioè la realizzazione intellettuale o artistica dell'opera), la manifestazione (cioè la concretizzazione fisica di un'espressione dell'opera), i concetti in essa espressi.

Alla luce di quel modello Guerrini analizza alcuni concetti catalografici fondamentali, soffermandosi in particolare:
a) sul concetto di edizione: rivisitando un suo saggio antecedente allo studio dell'IFLA, l'autore ribadisce la necessità di una valutazione critica e di una chiarificazione della natura dell'informazione cui quel concetto si riferisce; chiarificazione che, assente non solo nei codici catalografici ma anche nella normativa internazionale sulla descrizione, è fornita da Functional requirements, che «sdoppia il concetto di edizione con l'introduzione dei concetti di espressione e di manifestazione: [...] l'espressione costituisce una variante dell'opera, la manifestazione successiva alla prima costituisce una variante dell'espressione. Il concetto di edizione è, dunque, da scandagliare a fondo in seguito a queste importanti ricognizioni».
Ma tale concetto, nella sua duplice valenza testuale ed editoriale, non è stato già da tempo scandagliato, definito e reso operativo nell'ambito della bibliografia descrittiva e della critica dei testi a stampa? Si tratterebbe quindi solo di adottare le soluzioni più efficaci per ricomporre da una parte la costellazione di tutte le presenze testuali di un'opera - versioni, traduzioni, epitomi, parafrasi, ecc. -, dall'altra quella di tutta la serie delle emissioni e tirature inalterate di uno stesso testo, nonché delle sue varie edizioni.
b) Sul problema della definizione dell'oggetto della catalogazione, che sembra aver ricevuto una decisiva sollecitazione dalla proliferazione dei supporti di registrazione fisica di una stessa opera. Guerrini considera in particolare le risorse elettroniche, e, analizzandole alla luce delle quattro entità individuate nello studio dell'IFLA (l'opera, l'espressione, la manifestazione, la copia), ritiene che per quelle ad accesso locale si possa ancora parlare di oggetto tradizionale della catalogazione, in quanto queste risorse, ad esempio i CD-ROM, hanno, come i libri, un supporto fisico attraverso cui un'opera, e tutte le sue espressioni, è trasmessa e conosciuta; la risorsa ad accesso remoto, invece, nega l'abbinamento opera e supporto, «è volubile, in quanto i suoi dati sono continuamente aggiornati e aggiornabili e, quindi, non ha un testo permanente, stabile, assoluto; cambia status continuamente e tuttavia rimane se stessa; non ha un supporto fisico concretamente posseduto dalla biblioteca e tuttavia è pienamente posseduta con l'accesso virtuale alla lettura». Di qui consegue che «La descrizione dei materiali tradizionali e delle risorse elettroniche ad accesso locale, pertanto, ha per oggetto la pubblicazione; la descrizione delle ricorse elettroniche ad accesso remoto ha per oggetto l'opera», «così com'è trasmessa e conosciuta tramite manifestazioni successive che la trasformano, ma non la snaturano».
Tuttavia mi sembra che il problema posto dalle risorse ad accesso remoto sia piuttosto quello della inapplicabilità del concetto di opera: se essa va intesa come la creazione intellettuale o artistica originaria, della cui natura è costitutivo l'atto di iscrizione iniziale dell'autore, allora un testo iniziale aperto, provvisorio e contingente scardina la natura e il concetto di opera. Al posto della ontologia dell'opera si dà solo una mutevole fenomenologia di testi cui non è più applicabile il modello concettuale di sviluppo genealogico opera-testo-documento, in quanto ogni stato testuale in successione temporale è un'entità discreta e autonoma che va oltre il disegno e l'intenzione originaria del produttore iniziale, e quindi non è rappresentativa di una delle espressioni o edizioni di un'opera. L'opera, pur nella sua essenza astratta e intangibile è - per usare l'espressione di Tanselle (in Textual instability and editorial idealism, «Studies in bibliography», 49 (1996), p. 1-60) - il testo mentale capostipite di tutti i testi documentari reali, ed è quindi il livello gerarchico superiore di tutte le entità testuali da esso derivanti, a cui vanno ricondotte, anche catalograficamente, tutte le espressioni ad esso riconducibili. Alla catalogazione dei testi interattivi, che nella loro vaghezza e destrutturazione segnano la fine della organizzazione gerarchica e dell'unità sintattica e stilistica dell'opera (come sostiene Raffaele Simone in La terza fase: forme di sapere che stiamo perdendo, Roma-Bari: Laterza, 2000) forse più si confà la indicizzazione per metadati, i quali si riferiscono, in rapporto univoco, a un oggetto nella sua unicità (si veda in proposito Stefan Gradmann, Cataloguing vs. metadata: old wine in new bottles?, «International cataloguing and bibliographic control», 28 (1999), p. 88-90).
c) Sul problema della finalizzazione del catalogo alla soddisfazione delle esigenze dell'utente: anche in questo caso è determinante il richiamo a Functional requirements, che enfatizza la centralità dell'utente definendo come condizione di efficacia delle registrazioni bibliografiche la capacità di garantire al lettore la possibilità di trovare e ottenere - dopo averle selezionate - tutte le manifestazioni relative a tutte le espressioni di - o su - una determinata opera. Inoltre l'autore sottolinea la necessità che tale condizione sia garantita anche all'interno della nuova fenomenologia organizzativa, il catalogo in rete, attraverso l'unificazione e la standardizzazione dei formati di citazione bibliografica e registrazione catalografica da parte di tutti i soggetti che partecipano alla rete diversi dalle biblioteche, quali per esempio gli editori: e anche in questo caso condivide una direttiva formulata nello studio dell'IFLA.

È evidente che il richiamo di Guerrini alla efficacia delle analisi e soluzioni implicate in quello studio è una ulteriore testimonianza della consapevolezza, coerentemente e frequentemente espressa dall'autore, della necessità di innestare le regole di catalogazione su una base salda di principi generali; stupisce quindi che, in sede di bilancio critico della letteratura catalografica italiana, egli non faccia riferimento alle rigorose riflessioni teoretiche dedicate da Alfredo Serrai alla "bibliografia catalografica", a partire dalla Guida alla biblioteconomia del 1981, in cui, con terminologia appena diversa da quella presente in Functional requirements, sono individuati e analizzati sia le cinque realtà costituenti l'entità libro (l'autore, l'opera, il testo, l'edizione, il contenuto concettuale e informazionale), sia gli specifici connotati di identificazione in corrispondenza di quelle realtà, sia le strutture categoriali di indicizzazione e organizzazione catalografica di quelle realtà. Di questa chiara e coerente individuazione dell'oggetto catalografico e della metodologia di analisi e di indicizzazione ad esso funzionale (di cui Serrai ha mostrato la validità scientifica e la fecondità euristica utilizzandola come strumento di valutazione dell'efficacia organizzativa e consultativa delle più rappresentative strutture bibliografiche e catalografiche europee - si veda in particolare la Storia della bibliografia, Roma: Bulzoni, 1988-1999, vol. 10) non si può non tener conto nel delineare i principi regolativi di un futuro codice di catalogazione.

Un altro punto cardine della riflessione di Guerrini è la critica di alcune intestazioni delle RICA, finalizzata a ricondurre le scelte e le soluzioni formali al rispetto rigoroso del principio dell'uniformità, onde evitare incoerenza e ambiguità delle norme, incertezza procedurale nei catalogatori, sconcerto nei lettori. In particolare l'autore esamina le intestazioni relative alle opere riconducibili all'autorità della Chiesa cattolica (Chiesa cattolica, Santa Sede, Papi, Stato pontificio, Città del Vaticano), ai santi e alla Bibbia, e propone le seguenti soluzioni:
- per i papi: a) l'adeguamento del trattamento delle loro opere, ufficiali o private, a quello previsto per le opere dei capi di governo (adeguando RICA 40.1 a RICA 32.6); b) l'adozione della forma di intestazione gerarchica del tipo Chiesa cattolica. Papa [nome del papa in italiano], esempio: Chiesa cattolica. Papa, 1939-1958 (Pius XII). A quest'ultimo proposito non mi sembra condivisibile né il criterio gerarchico (che introduce un improprio e inefficace criterio classificatorio nel catalogo alfabetico per autori), né l'uso dell'italiano. Guerrini giustifica tale uso sia in considerazione del fatto che l'attuale formulazione in latino avviene non perché questa è la lingua ufficiale della Chiesa, ma per «rispetto della tradizione catalografica per la quale il latino era necessariamente la lingua dei cataloghi delle grandi biblioteche, in quanto la lingua delle università e della cultura», sia in nome del riconoscimento, fatto risalire a Panizzi, della lingua dell'agenzia catalografica. Tuttavia quell'uso contrasterebbe sia con la tradizione delle biblioteche italiane, sia con il criterio generale delle RICA (l'assunzione del nome con cui l'autore è prevalentemente identificato nelle edizioni delle sue opere nel testo originale: regola 50.1); sia con le raccomandazioni dell'IFLA Form and structure of corporate headings (1980). È evidente in queste scelte l'influsso delle AACR2.
- Per Chiesa cattolica e Santa Sede l'autore propone: a) l'uso di un solo indice per la chiesa come organismo religioso e temporale; b) l'uso dell'italiano per l'intestazione e per la sotto-intestazione, nei casi in cui alla prima voce segue quella dei dicasteri della curia romana; c) per quel che riguarda le pubblicazioni di carattere amministrativo della chiesa come stato autonomo temporale, propone Stato pontificio fino al 1870 - come RICA 80.2 - e, dopo il 1929, Vaticano al posto di Città del Vaticano.
A proposito di b) mi chiedo se non sia più appropriato, per un catalogo alfabetico per autori, proporre (o meglio riproporre, vedi Fumagalli e il vecchio codice) la forma diretta per gli organi amministrativi, legislativi e giudiziari, purché forniti di nome identificante, ovviamente in lingua originale, eliminando l'accumulo catalografico di schede sotto intestazioni gerarchicamente superiori (ad esempio, Sacra Rota e non Chiesa cattolica. Sacra Rota; Camera dei deputati e non Italia. Camera dei deputati; Consulat de France, Roma e non Francia. Consulat, Roma) secondo il criterio generale dell'adozione della forma attraverso cui tali enti compaiono prevalentemente nelle opere da esse emanate (come stabiliscono i Principi di Parigi al punto 9.4, Form and structures dell'IFLA prima citato, RICA 64). In base a questo principio tutti gli enti dotati di individualità e nome distintivi dovrebbero essere indicizzati direttamente: questo varrebbe per organismi e uffici della curia romana e della Città del Vaticano; per le circoscrizioni ecclesiastiche locali, le parrocchie, i concili e i sinodi (in quest'ultimo caso l'adozione del nome del luogo rispecchia l'uso americano e scaturisce dalla pratica dell'inversione della forma diretta). Infine, ritengo che vada considerata la natura e il carattere diverso delle pubblicazioni normative e documentarie della chiesa e dei suoi organi rispetto alle opere di carettere liturgico, che andrebbero intestate al titolo proprio (come propone Form and structure dell'IFLA).
- Per i santi, Guerrini ritiene correttamente inopportuna l'adozione di una norma particolare per la forma del nome: l'anteposizione del prenome - giustificata per i santi conosciuti con la sola forma del prenome, sino a tutto il Medioevo - è antistorica per gli autori moderni conosciuti con il loro cognome o titolo nobiliare. Guerrini cita in proposito l'autorità di Lubetzsky ed esorta in ogni caso a rispettare «Il principio generale di adottare la forma con cui un autore è "costantemente" o "prevalentemente" identificato nelle edizioni delle sue opere nel testo originale (RICA 50.2; RICA 50.1)». Tuttavia il richiamo a questa norma è disatteso quando Guerrini per gli autori classici, ecclesiastici e no, propone l'uso dell'italiano in nome di un altro principio: il rispetto della lingua del catalogo. E se per completezza di informazione l'autore cita la norma francese, che, in considerazione di diversificate tipologie di utenza e fisionomia delle biblioteche, prevede una applicazione differenziata e alternativa dei due principi - la forma latina per le biblioteche di ricerca e quella francese per le biblioteche di pubblica lettura - tuttavia egli propende per la adozione della lingua nazionale (vedi p.153).
- Per la Bibbia, sulla base di una ampia rassegna di vari codici nazionali e di una approfondita conoscenza della problematica catalografica ed esegetica di un'opera che ha una tradizione letteraria e critica complessa, e una storia editoriale composita e variamente articolata, l'autore ribadisce la scelta e la forma delle intestazioni previste dalle RICA per i singoli libri e per i loro raggruppamenti tradizionali: ciò su cui avanza forti dubbi è la prescrizione di adottare come schema di ordinamento quella struttura classificata - fornita in appendice - che ha senso solo come guida e ricostruzione critica della ripartizione interna della Bibbia: pertinente è il suo richiamo al rispetto del canone catalografico, prioritario, in una struttura informativa, nei confronti di considerazioni di natura esegetica. Corretta è anche la insoddisfazione per la adozione di una intestazione convenzionale, Bibbia, che non consente di riunire in un sol punto tutte le diverse versioni, traduzioni, ecc., di una determinata edizione della Bibbia (quale ad esempio la Bible de Jerusalem, collocata in sequenze diverse della voce Bibbia, sotto-ordinata per lingua). Inoltre, l'indicazione di affidare i criteri di ordinamento di un'opera così complessa alla decisione delle singole biblioteche, in relazione alle dimensioni delle raccolte e al tipo di pubblico servito, è senz'altro in linea con l'idea, espressa più volte, del catalogo come sistema: ed è proprio quell'idea il filo conduttore delle riflessioni dell'autore, che individua nel concetto di sistema non solo l'espressione della filosofia di ogni organizzazione catalografica - indipendentemente dalla tecnologia manuale o automatizzata del suo allestimento - ma anche il requisito strutturale di fondo e la condizione di efficacia di un rinnovato codice di catalogazione.

Teresa Grimaldi
Biblioteca nazionale di Bari