In una fase di continuo irraggiamento di novità tecnologiche che impattano sul mondo della comunicazione, ricercatori inglesi e americani stanno intensificando lo studio dei fattori culturali e sociali che condizionano l'utilizzo delle risorse elettroniche da parte degli utenti delle biblioteche. Tra le recenti esperienze nel campo della social informatics si colloca il Training and awareness programme in networks (TAPin) - coordinato dall'Università di Birmingham - a cui si sono affiancate altre iniziative facenti parte del più articolato eLib (Electronic libraries programme).
È possibile che l'avvio e il consolidamento delle reti possano giustificare da soli il singolare incontro tra l'individuo e la conoscenza? Perché i rapporti Follett e Fielden insistono tanto su un cambiamento di mentalità che porti bibliotecari e informatici, superati gli interessi corporativistici, a saper esprimere armonia di equilibrio, predisposizione al lavoro di équipe, versatilità e specialmente quella flessibilità che possa ribattezzarli system librarians?
Dai primi sistemi organizzativi (LMSs, Library management systems) alla nascita delle biblioteche ibride il passo è stato breve. Il ridisegno del sistema bibliotecario, con sinergie tra servizi informativi tradizionali e tecnologia, in alcuni casi ha portato alla convergenza, in altri, invece, ha generato una vera e propria fusione delle parti, con la comunione delle risorse, delle competenze del personale e persino dello spazio fisico; vale a dire centri informatici annessi alle biblioteche. I vantaggi di tali scelte, oltre a investire la sfera economica e quella della funzionalità, si sono estesi alla "formazione" degli utenti, dei quali si è accresciuta la familiarità con i documenti elettronici. È fuori questione che il grado di convergenza o di fusione (parziale, totale, e in alcuni casi del tutto assente) sia stato, e continua a esserlo, fortemente condizionato dagli operatori culturali. Laddove il connubio tra bibliotecari (talvolta mal disposti verso l'introduzione della tecnologia) e informatici (spesso poco attenti ai bisogni specifici delle biblioteche) si è rivelato difficile non sono mancate ricadute negative sul coordinamento dei servizi.
Una volta comprese le relazioni che intercorrono tra conoscenza e apprendimento, motivazione e attitudine degli utenti, tempo e utilizzo delle risorse disponibili, TAPin si è posto come obiettivo quello di formare il personale accademico e bibliotecario, sviluppandone le competenze tecniche e sensibilizzandolo alla comprensione della "matrice" socioculturale della comunità studentesca che fruisce delle informazioni in rete. I modelli (modificabili nel tempo e a seconda delle realtà) sono stati incentrati sull'analisi delle infrastrutture informatiche esistenti nelle sei università coinvolte nel progetto, sulla qualificazione professionale dei system e dei subject librarians e sulla ricerca di valide forme di supporto agli utenti (guide online, materiale a stampa, lezioni, aggiornamenti via e-mail, ecc.).
A quali risultati è approdato TAPin? A due anni di distanza dall'inizio della sperimentazione è emerso un quadro disomogeneo: alcune biblioteche sono risultate adaptive (passive alle novità tecnologiche), altre transforming (sensibili alla riorganizzazione dei servizi), altre ancora learning (senza dubbio le più ricettive e le più impegnate a coinvolgere gli utenti nei processi di trasformazione), alcune addirittura unresponsive (conservatrici e terrorizzate dall'idea degli stravolgimenti).
Oltre a TAPin, a cui è dedicato maggiore spazio, vengono presi in esame numerosi progetti come Phoenix, IMPEL, IUIC e ovviamente eLib.
Tutti gli interventi, corredati di bibliografia, sono strutturati in paragrafi dedicati alla definizione degli obiettivi, alle scelte strategiche e alla realizzazione dei singoli programmi; schemi e grafici agevolano la comprensione delle teorie enunciate anche se il multiperspective approach potrebbe disorientare un po' il lettore. In appendice al volume vengono elencati gli acronimi dei singoli progetti e gli URL ad essi dedicati.
I temi trattati nelle quindici sezioni, da qualche tempo ricorrenti nella letteratura professionale anglosassone, non rappresentano certo una novità. Discutere delle difficoltà che incontrano gli utenti nell'utilizzo delle reti informatiche e del ruolo di mediazione svolto dai bibliotecari può apparire un esercizio ripetitivo, tuttavia il rendiconto di ciò che si è fatto e si continuerà a fare, in molteplici direzioni, lascia filtrare quel mai sopito bisogno di comprensione e di responsabilità verso se stessi e verso gli altri.
Antonella Novelli
Biblioteca della Facoltà di farmacia, Bari