Dai dati alle storie


Il 6 luglio scorso si sono compiuti nove anni dalla mia nomina a direttore, fra pochi mesi - con il numero 4 - si chiuderanno nove anni del «Bollettino» "bianco" e, con l'occasione del rinnovo delle cariche dell'Associazione, ho chiesto di lasciare questo incarico, affascinante e gravoso, per il quale - come per ogni altro - è giusto che venga il tempo di un ricambio, con nuove persone e nuove idee.

Questo editoriale avrei voluto intitolarlo Bibliotecari, vi esorto alle storie. Ma mi è mancato il coraggio, o meglio la faccia tosta. Come diceva Foscolo agli italiani, anche ai bibliotecari si può forse dire che «niun più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione».

Fin dal principio questa nuova serie ha assunto formalmente come proprio obiettivo e criterio ispiratore «l'analisi dei fatti [...] rivolta a far crescere la pratica professionale, la sperimentazione metodologica e la riflessione teorica nell'ambito dei servizi bibliotecari, documentari e informativi». Analizzare le cose, registrarne ed esaminarne i dati, come primo passo necessario per il "capire" e per il "fare", senza disperdersi in un dibattito spesso astratto e ancor più spesso superficiale, quindi caduco e soprattutto non fecondo.

Credo che possiamo registrare oggi una consolidata maturità di questo approccio ai problemi, e certo non solo per merito di questa rivista e dei più di trecentocinquanta collaboratori a cui si deve - insieme al lavoro della redazione - quello che avete letto su queste pagine (magari scritte un po' troppo piccole) negli ultimi nove anni. La cultura biblioteconomica internazionale, in un non lontano passato mezzo ignorata e mezzo snobbata, è oggi pacificamente anche il nostro orizzonte di riferimento, pur se dobbiamo ancora attrezzarci per dare ad essa un contributo non episodico o estemporaneo. La pratica della misurazione e della valutazione, della programmazione e della gestione anche di realizzazioni e innovazioni impegnative, fanno ormai largamente parte dell'esperienza quotidiana di tanti bibliotecari, anche se non ancora dell'intero gracile tessuto bibliotecario del paese.

Ma cosa c'entrano i dati con le storie? Alla base delle storie ci sono innanzitutto i fatti, le condizioni personali e professionali di partenza, e poi c'è l'analisi di questi fatti che li ha trasformati in dati da cui muovere, a partire dai quali avanzare proposte, realizzare interventi, creare insomma altri fatti. Le circostanze dell'attività professionale dei bibliotecari cambiano, cambiano gli standard e gli strumenti tecnologici, cambia il contesto culturale e sociale in cui si opera, ma quelle che non cambiano sono la necessità e la volontà di intervenire, di portare avanti la pratica e i servizi. Da questo punto di vista, si può spesso imparare di più dai dibattiti del passato che da quelli di oggi, anche perché gioca a proprio favore la distanza storica, che rende più facile comprendere come posizioni che potevano al loro tempo apparire realistiche e fattive fossero infeconde e destinate all'insuccesso, o viceversa. Un esempio fra tanti, il dibattito degli anni Cinquanta su catalogo unico e scheda a stampa: mentre, tra poche voci critiche, si progettavano schede assai più ricche e personalizzate di quelle che la Library of Congress diffondeva efficacemente dal già lontano 1901, abbiamo dovuto attendere ancora mezzo secolo perché la catalogazione derivata potesse diventare effettivamente una realtà.

«Quelli che ignorano il passato sono condannati a ripeterlo», era una delle frasi più care a Seymour Lubetzky. Sono queste storie, le scelte e i percorsi di quelli venuti prima di noi, che fanno la storia di questa professione e che ci conducono esattamente al punto in cui oggi ci troviamo, e dal quale spetta a noi proseguire.

Anche del percorso del «Bollettino» si chiuderà quindi, alla fine di quest'anno, una "tappa", e non mi resta che ringraziare tutti coloro che l'hanno resa possibile: i tanti autori e collaboratori, autorevoli colleghi e giovani che ancora non conoscevamo, la redazione che ha condiviso quotidianamente con me il lavoro oscuro ma indispensabile che trasforma un insieme di contributi in una rivista con un suo profilo omogeneo e riconoscibile, il Comitato scientifico che ha offerto il suo costante stimolo e sostegno. Da ultimo, un ringraziamento particolare all'l'Associazione, presidente Tommaso Giordano, che mi ha offerto nove anni fa la possibilità di affrontare quest'avventura - una rivista per tutta la professione, fuori da logiche commerciali, istituzionali o "di bottega" - poi sempre proseguita in piena fiducia e autonomia. Fiducia e autonomia che certo non mancheranno a Giovanni Solimine, cui è affidata la prossima "tappa", con tutti i nostri auguri.