Questa pubblicazione dal titolo così peculiare nasce come autocelebrazione della casa editrice Olschki in occasione del centenario de «La bibliofilía» e, senza indulgere al racconto delle iniziali vicende editoriali (alle quali peraltro, sinteticamente e con grande garbo, accenna nelle prime pagine Luigi Balsamo), fornisce diretta testimonianza di quel prodotto, riproponendo sotto un'etichetta unitaria i ponderosi saggi che avevano già formato il numero 2-3/1998 del periodico. Il volume, dunque, da un lato ribadisce gli orientamenti scientifici di una delle più specializzate librerie-editrici italiane - il cui fondatore riuscì a dare autonomo impulso alle scienze bibliologiche, tanto da poter essere annoverato tra i massimi divulgatori, se non addirittura i padri, dell'incunabolistica -, dall'altro presenta a colpo d'occhio il panorama di alcune recenti indagini. I diversi percorsi delle singole ricerche, lungi dal parcellizzare la disciplina, ricompongono alla fine un quadro dai molti pregnanti dettagli: orizzonti vasti, messi in valore da minuti particolari.
Rimane difficile, in sede di segnalazione, rendere conto di ogni singolo contributo, anche perché molti di essi esigerebbero autonome recensioni. Le Anatomie si aprono con un capitolo di storia della miniatura: non di un libro a stampa si parla, in effetti, bensì di un ricco manoscritto fiammingo del XVI secolo (Melissa Conway, Artists on the edge: collaboration, accommodation and imagination in a "typical" fifteenth-century Flemish Book of Hours), di cui vengono analizzate struttura, tipologia, rassomiglianze e, in particolare, la coesistenza di due diverse mani, l'una "naturalistica", capace di ottenere inediti effetti di trompe-l'oeil, l'altra "fantastica", più legata alla tradizione medievale dei bestiari. Pure di decorazione si occupa il saggio di Franca Petrucci Nardelli (L'immagine del libro: un metodo e tre esempi), che, dopo un'esemplare introduzione metodologica, analizza prima le pitture presenti su alcune legature tre-quattrocentesche delle Biccherne - raccolte di atti finanziari senesi -, poi ricostruisce le variazioni della silografia del bibliomane (edita la prima volta nella Nave dei folli di Brant del 1494), infine, esamina le riproduzioni di libri nelle opere del pittore bresciano Moretto, suggerendo di rivedere alcune controverse attribuzioni all'artista tramite lo studio delle tipologie dei volumi. Di problemi iconografici tratta anche il contributo di Albi Rosenthal (The earliest accurate depiction of a musical instrument in a book), incentrato sulla prima riproduzione silografica di uno strumento musicale, una lira da braccio (contenuta in una rara raccolta poetica dell'Augurello del 1491), di cui sono messe in luce alcune caratteristiche organologiche, anche in relazione allo sviluppo tecnico che lo strumento ebbe poi nei secoli successivi. Il saggio di Ugo Rozzo (Il libro sotto i piedi: a proposito di un'immagine ancipite) presenta, invece, una fitta rassegna di immagini di libri che appaiono letteralmente "sotto i piedi" dei personaggi raffigurati, per lo più religiosi o sapienti: si ricostruisce la doppia valenza simbolica di tali rappresentazioni, sia negativa (il libro calpestato), sia positiva ("libro reggente" o trionfante).
Si occupano di storia della cultura libraria, e non soltanto di storia del libro, quei contributi che analizzano le posizioni degli umanisti di fronte alla nuova arte tipografica. Kostantinos Sp. Staikos (Philobiblìa: the contribution made by philobibly to the editing and preparation of editiones principes during the Renaissance) delinea un quadro addirittura pre-stampa, ricostruendo le più pregevoli raccolte librarie italiane del XIV-XV secolo, intese come canoni per le editiones principes: alcuni manoscritti, postillati dai protoeditori, costituiscono un promettente campo di studio non ancora doverosamente esplorato. Nel saggio di Brian Richardson, invece, si delinea un ricco panorama delle opinioni che gli umanisti italiani espressero pro e contra il procedimento riproduttivo della stampa, mettendone in luce vantaggi e rischi, in modo - si direbbe - assolutamente non dissimile da quanto accade attualmente nel dibattito sull'editoria elettronica (The debates on printing in Renaissance Italy). Esempio di analisi lemmatica e concettuale è invece il saggio di Edoardo Barbieri (Contributi alla storia del lessico bibliografico. I. "Stampire"), che scevera una serie di fonti linguistiche, in prevalenza quattrocentesche o del primo Cinquecento, per ricostruire la facies semantica del verbo stampire, che godette di una certa diffusione soprattutto in area settentrionale, in concorrenza, ma non in opposizione, con il lemma parente stampare.
Ricerche bibliografiche nel senso più familiare del termine ci appaiono alcuni contributi che censiscono testimonianze tipografiche concentrandosi su specifici oggetti o tipologie. Dennis E. Rhodes analizza la produzione poetica del senese Serdini (1360 c. 1421), di cui erano sinora noti i testi manoscritti, ma sul quale nessuno aveva proceduto a una recensio per i testimoni a stampa pre-1600, recuperati in numero di quattordici (Le antiche edizioni a stampa delle poesie di Simone Serdini). Simile nell'impostazione, ma diverso nell'oggetto, è il saggio di Arnaldo Ganda, che esamina i prodotti musicali dello stampatore cinquecentesco Castiglione, di cui studia l'attività imprenditoriale, svolta in connessione con altri personaggi, come il libraio d'Adda e il musicista Borrono (Giovanni Antonio Castiglione e la stampa musicale a Milano). Uno dei pochi contributi che ci porta in aree lontane dall'Italia è quello di María Luisa López-Vidriero, che ricostruisce il clima e le motivazioni socio-culturali in cui si diffusero le edizioni cinque-secentesche delle crónicas; oltre a individuarne le caratteristiche tipografiche se ne percorrono alcuni singoli filoni narrativi ed editoriali, sintetizzati in un ricco elenco cronologico (Crónicas impresas y lectura de corte en la España del siglo XVI). Ancora al di fuori dall'Italia, ma per testimoniare della diffusione del libro italiano, conduce il saggio di Bruni ed Evans, in cui si procede alla ricomposizione storica dei fondi antichi della National Library scozzese (Seicentine italiane nella National Library of Scotland): l'attenzione degli studiosi - già autori di produttive ricognizioni nelle biblioteche storiche britanniche - si concentra sui materiali italiani del XVII secolo e sulle figure di quei nobili e letterati che tali patrimoni possedettero. Non si parla invece di libri, bensì di periodici, sebbene ai loro albori, nel successivo saggio di Pierangelo Bellettini, Le più antiche gazzette a stampa di Milano (1640) e di Bologna (1642), che ripercorre brevemente le origini del giornalismo in Italia per soffermarsi su alcuni fascicoli sinora ignorati delle gazzette di Milano e Bologna, ricollocandoli nella sequenza cronologica già nota e analizzandone le caratteristiche editoriali.
Anche la storia delle officine e delle procedure tipografiche occupa una parte cospicua del nostro volume, con svariati saggi che mettono in luce aspetti diversi di quel composito mondo imprenditoriale. Paul Needham, nel suo Venetian printers and publishers in the fifteenth century, procede a un'indagine serrata sugli stampatori veneziani del '400, tanto noti nel loro insieme alla storia del libro quanto poco indagati nel dettaglio: si approfondiscono gli apporti scientifici dei precedenti studiosi e si sintetizzano (ci scusiamo per la parola riduttiva) in un nuovo repertorio costituito da due liste cronologiche, con i nomi di tipografi ed editori, cui si fa seguire un indice alfabetico che introduce ulteriori dettagli storici. Sempre nell'ambito della ricostruzione delle attività delle botteghe si muove il contributo di Paul F. Gehl ("Day-by-day on credit": binders and book sellers in Cinquecento Florence), in cui però non si parla di tipografi bensì di legatori e librai. L'indagine storico-archivistica porta bene in evidenza quest'ultima categoria imprenditoriale, attraverso l'esemplificazione del quotidiano movimento di commissioni iscritte nel registro di una bottega fiorentina. Tematica decisamente tecnica è, invece, quella affrontata da Neil Harris in L'Hypnerotomachia Poliphili e le contrastampe, in cui si prende spunto da un testimone della celebre tiratura manuziana del 1499 per procedere alla valutazione delle tracce lasciate da ben 330 contrastampe: un'indagine di tal genere - applicata naturalmente anche ad altre edizioni - potrà portare nuove informazioni sulle tecniche d'impressione e sull'uso delle bozze nelle prototipografie. Dallo studio materiale di una singola copia parte anche Conor Fahy (La carta dell'esemplare veronese del "Furioso" 1532) per indagare le caratteristiche del supporto, raffrontarle a quelle di edizioni coeve, e ricostruire il profilo tipologico del materiale utilizzato nell'area padana per quel torno di anni. Altre sofisticate analisi bibliologiche ci offre Martin Boghardt nel suo Änderungen in Wort und Bild, in cui vengono richiamate - in un iter a ritroso - le metodologie d'indagine, le procedure e le motivazioni dei mutamenti occorrenti nelle differenti versioni di una medesima opera: ricomposizioni delle righe, riassemblaggio dei fascicoli, ritocchi alle lastre. Inevitabile, a conclusione di una così dettagliata casistica di "mutazioni", la discussione sul concetto sempre più sfuggente di copia ideale.
Riguardano più da vicino la storia delle collezioni librarie (e del loro uso) il contributo di Diego Zancani sulla raccolta Toynbee e quello di Bernard M. Rosenthal sui marginalia manoscritti presenti nei libri a stampa. Nel primo saggio - Una biblioteca di cent'anni fa: la "Dante collection" di Paget Toynbee (1855-1932) - l'indagine ruota attorno alla figura dello studioso inglese, il quale dedicò molta parte della sua intensa vita di letterato e filologo alle ricerche sul nostro poeta: la sua ricca collezione libraria venne infine da lui stesso generosamente donata, in tempi diversi, in larga parte alla Bodleiana. Non si parla, invece, di un singolo personaggio nello stimolante contributo di Rosenthal (Cataloging manuscript annotations in printed books: some thoughts and suggestions from the other side of the academic fence), ma piuttosto delle tracce lasciate da generazioni di studiosi o fruitori sui libri che ci sono pervenuti. Le postille manoscritte, che fanno di ogni esemplare un unicum, sarebbero in effetti meritevoli, secondo l'antiquario americano, di censimento e adeguata analisi.
Si trova opportunamente a conclusione di un così ricco excursus bibliologico (ma è a sua volta seguito dai preziosi Indici redatti da Alberto Salarelli), il contributo di Lotte Hellinga, The European printed heritage c. 1450-1830: a new approach, che esamina lo stato dell'arte del progetto CERL, il consorzio europeo che si prefigge di rendere leggibili e ricercabili con un'unica interfaccia le registrazioni catalografiche inerenti il libro antico. Sebbene la grande massa informativa raccolta necessiti ora di strategie di gestione più sofisticate di quelle messe in atto nella prima fase progettuale, il consuntivo sul triennio di attività è senz'altro positivo: l'aver messo a disposizione tramite innovative possibilità di ricerca tanta mole di dati non può che far lievitare la qualità delle ricognizioni scientifiche, consentendo rapidi raffronti e inedite analisi geografico-quantitative.
Flavia Cancedda
Biblioteca nazionale centrale, Firenze