Un bibliotecario e uno studioso: attorno a questi due personaggi si sviluppa il dramma del romanzo L'avvocata delle vertigini di Piero Meldini (Adelphi, 1994), bibliotecario a Rimini. Tra i due protagonisti c'è una rivalità amorosa, ma anche una competizione intellettuale. Lo studioso, un agiografo, ha una sua limitata notorietà. Per le ricerche del bibliotecario, secondo un luogo comune della letteratura, c'è il silenzio. È così che matura in costui il progetto di una vendetta tutta costruita su un testo conservato nella sua biblioteca e mai studiato.
Fortunatamente invece per Renato Nisticò, bibliotecario presso la Scuola normale di Pisa e studioso di letteratura, non ci sono conflitti tra le due attività. Nel suo breve saggio La biblioteca, egli infatti confronta e integra entrambe le proprie competenze attraverso l'analisi comparata del tema delle biblioteche letterarie.
Il libro si apre con un capitolo di carattere metodologico, in cui Nisticò definisce più precisamente l'oggetto della sua ricerca: le biblioteche senza pareti nel senso suggerito da Chartier, gli elenchi di libri esibiti dai personaggi, le loro collezioni, i loro inventari. La presenza di questo motivo in molte opere della letteratura ha una conseguenza formale (la mise en abīme) e una di contenuto: ogni rappresentazione della biblioteca corrisponde a un'idea differente della cultura e del mondo. Le biblioteche nei libri (i libri dentro altri libri) riproducono il corredo intellettuale dei personaggi e le predilezioni letterarie del loro autore.
Nisticò tenta nella prima parte del libro anche una sorta di classificazione di questa categoria di biblioteche letterarie: ci sono biblioteche esaustive o di tendenza, biblioteche ordinate o caotiche, biblioteche popolate da presenze quasi umane, biblioteche labirinto, biblioteche primarie e biblioteche secondarie, nate sulle ceneri delle prime. L'autore sceglie dunque una classificazione a coppie oppositive: a un tipo di biblioteca se ne oppone un altro, speculare. Egli riprende questo metodo anche nella seconda parte del saggio, passando in rassegna alcune biblioteche letterarie, da quella di don Chisciotte (che anche Truffaut sceglie come primo libro nel suo film-biblioteca Farenheit 451), a quella del Nome della rosa.
In questa seconda parte, però, il metodo adottato dall'autore mostra qualche incertezza. Ognuna delle biblioteche della sua piccola rassegna esemplifica contemporaneamente diverse tipologie. Alcune biblioteche, poi, come quella di Eco nel Nome della rosa, non sono nemmeno elenchi di libri, biblioteche parziali e senza pareti, ma biblioteche esaustive, enormi collezioni racchiuse in spazi definiti che sono sfondo dell'azione dei personaggi più che l'espressione delle loro idee.
Sembra dunque che la rassegna di esempi sfugga parzialmente al tentativo di classificazione proposto nella parte metodologica del saggio. Tuttavia, l'incertezza del metodo non costituisce un limite al lavoro di Nisticò, piuttosto suggerisce altri e più avventurosi itinerari: per esempio la costruzione di una mappa delle biblioteche letterarie, per vederne meglio i legami e gli echi. Oppure, si potrebbe sviluppare il percorso appena accennato dall'autore attraverso le immagini ricorrenti dei libri nei romanzi, come quella per esempio dei libri-soldati.
Tuttavia è inevitabile per un lettore-bibliotecario cercare in questo saggio di Nisticò anche le tracce e gli indizi della nostra professione, accanto a quelle dello studioso di letteratura e del lettore appassionato (in alcuni casi egli sembra non resistere alla tentazione di incrinare il registro dell'analisi e racconta la trama dei libri che sta citando). Si osservano infatti cenni alla classificazione, al numero d'ingresso dei libri, alla biblioteconomia.
Ma è soprattutto la descrizione della Biblioteca nazionale visitata da uno dei personaggi dell'Uomo senza qualità di Musil a dare la possibilità a Nisticò di parlare anche della professione del bibliotecario e delle sue prospettive. Egli, infatti, alla battuta di un personaggio, che afferma: «Se uno si lascia prendere dal contenuto, come bibliotecario è finito» fa seguire la considerazione: «Si avverte il processo per cui il bibliotecario da erudito-custode dei libri, nel corso del secolo si evolve nello specialista-scienziato, tecnico della mediazione informatica».
Anche in questo caso la posizione di Nisticò risulta stimolante, "aperta". Questa interpretazione dell'evoluzione della professione si può infatti considerare una particolare espressione della generale difficoltà degli uomini del nostro tempo a conservare una doppia visione sul mondo del sapere: quella di ampio raggio, in superficie, su tutto l'orizzonte e quella più in profondità, rivolta ai testi, anche nel loro nuovo cuore poliedrico.