Giovanni Feliciani è uno strano personaggio che, dopo essersi laureato in filosofia e aver lavorato per alcuni anni nella biblioteca scolastica di un liceo romano, ha maturato nel corso di queste esperienze una così grande passione per i libri che ha deciso di dedicare la propria vita a scrivere un'opera che parlasse proprio di libri. Interrompe quindi ogni sua attività professionale e, dopo dodici anni di dedizione assoluta, porta a termine Bìblius: libro dei libri.
Si tratta di un volume curioso e interessante, che fin dal titolo propone un duplice approccio, giocoso ed erudito: Biblius infatti appare come una sintesi tra il greco biblion (libro) e la desinenza latina us: un'associazione impossibile, ma originale.
E in questa dialettica tra gioco ed erudizione, Feliciani ci vuole proporre una sorta di piccola enciclopedia del libro, che non possiede l'approccio analitico di un'opera scientifica, ma si sviluppa con la leggerezza e la passione del bibliofilo (ma forse è meglio dire del bibliomane). Ed è certamente l'amore per i libri l'elemento che più caratterizza quest'opera di Feliciani. Il libro e la lettura (gran pregio del bibliofilo Feliciani è quello di sottolineare frequentemente che scarso valore ha il libro se non viene letto, assimilato, vissuto) sono fondamentali per la diffusione della conoscenza e della cultura.
Non si può non concordare con l'autore circa l'importanza del libro come strumento che consente la crescita di individui liberi, capaci di una visione critica dell'esistenza e di un approccio consapevole alla realtà. Ma Feliciani porta questo amore fino all'esasperazione, arrivando a sostenere «l'amore per il Libro in senso globale e universale», tale da essere vissuto «finanche religiosamente», e con enfasi arriva ad affermare che «i libri non vanno disturbati, intorno a loro amano il silenzio meditativo degli studiosi e non il chiasso martellante degli incolti».
Una lettura attenta di questo libro porta comunque a pensare che tale enfasi, forse in alcuni tratti esagerata, non dipenda da un atteggiamento affettato o di maniera, ma sia la conseguenza di un'autentica e travolgente passione per i libri, che se talvolta rischia l'eccesso, merita comunque rispetto.
Tuttavia non si può non sottolineare che, per quanto riguarda gli aspetti più legati alla nostra professione bibliotecaria, nonostante una bibliografia piuttosto ricca, Feliciani cade in errori talvolta gravi. Innanzitutto è piuttosto discutibile la definizione di "biblioteca" come «luogo (edificio, sala o mobile) dove si raccolgono e custodiscono i libri, ad uso pubblico e privato», perché appare fortemente sottovalutata la complessità della biblioteca e delle sue diverse funzioni. Se alcune biblioteche hanno infatti, come propria finalità, la raccolta e la conservazione dei libri, altre invece svolgono un compito di mediazione tra l'utente e l'informazione contenuta nei documenti, in qualsiasi forma essi si presentino (ma Feliciani non prende in alcuna considerazione la presenza in biblioteca di supporti diversi da quelli cartacei!).
Un altro grave errore dell'autore riguarda la storia della catalogazione, che viene riportata brevemente citando i Principi di Parigi, lo standard ISBD e poi le RICA: di queste ultime viene fatta anche una breve sintesi (che nella prospettiva divulgativa in cui procede il libro è corretta), ma nel farlo Feliciani conclude che il terzo capitolo delle RICA serve (ancora oggi) per la descrizione catalografica, prescindendo completamente dall'adozione dell'ISBD.
In definitiva si tratta di un testo non scientifico, con qualche errore nelle parti più propriamente biblioteconomiche, ma di piacevole lettura, soprattutto per tutti quelli che hanno, nei confronti dei libri e della cultura, un amore magari più misurato ma simile a quello di Giovanni Feliciani.