Idee per un sistema bibliotecario


«Occorre voltar pagina, impostando programmi di sviluppo e riforma da fare, da rispettare e da far rispettare»: così scriveva Renato Pagetti, presidente dell'AIB, nella sua relazione introduttiva al Congresso di Foggia-Pugnochiuso (1974) 1, come ci ha ricordato Giorgio De Gregori in un contributo molto apprezzato su queste stesse pagine 2. Due anni dopo, Diego Maltese parlava di "assenza totale di una pianificazione globale delle funzioni dei singoli istituti che dovrebbero costituire il sistema bibliotecario nazionale", invitando a "pensare ad un sistema che non coincide e non si limita alle biblioteche attualmente gestite dallo Stato, ma è esteso a tutta la struttura bibliotecaria del Paese o, più esattamente, ricostruito su base organicamente decentrata, con la razionale distinzione tra istituzioni gestite dall'amministrazione centrale (biblioteche nazionali centrali, biblioteche storiche particolari, istituti centrali di ricerca) e istituzioni da affidare interamente alle regioni (biblioteche nazionali, di monumenti nazionali, ecc.), con il passaggio delle biblioteche universitarie alle università, con la regionalizzazione dell'intero apparato della pubblica lettura, con l'apertura al pubblico e la gestione sociale delle biblioteche scolastiche" 3.

A vent'anni di distanza, con qualche realizzazione concreta pur discutibile (a partire dal Servizio bibliotecario nazionale), molta esperienza acquisita e una profonda mutazione - tuttora in corso - del quadro politico, istituzionale, sociale, tecnologico, il dibattito va riaperto con la coraggiosa lucidità di allora. Molte cose, certo, sono cambiate: oggi pare improponibile un'architettura generale e astratta calata dall'alto, in cui l'"onniscienza bibliotecaria" (l'espressione è di Giuseppe Vitiello, che in questi anni ne ha efficacemente demolito i presupposti) distribuisca compiti che poi nessuno vuole svolgere, per i quali non esistono i mezzi né l'organizzazione, di cui non si risponde a nessuno. Si tratta, piuttosto, di "ricollocare" le membra disarticolate di un sistema bibliotecario mai costruito nel contesto loro proprio, ossia innanzitutto in un sistema di autonomie in cui ciascuno risponda della propria funzione al proprio destinatario. L'esperienza di questi vent'anni mostra che, altrimenti, anche la cooperazione rimane un'illusione, qualche volta persino un alibi, spesso un organismo senza gambe per camminare.

La questione attuale della riforma del Ministero per i beni culturali e ambientali, a mio parere, è innanzitutto una questione di "ecologia" istituzionale, sorretta da un progetto culturale, che riconosca alle biblioteche la loro fisionomia di istituzione e di servizio.

"La biblioteca pubblica non è un ufficio dell'ente locale - ha scritto Luigi Crocetti -, proprio come le biblioteche statali non dovrebbero essere uffici periferici del ministero, come invece recita un obbrobrioso articolo della legge" 4. Al primo punto metterei quindi una distinzione radicale, di diritto e di fatto, tra gli apparati amministrativi (del Ministero per i beni culturali, ma anche delle Regioni) e l'autonomia delle istituzioni culturali (come, del resto, di quelle educative: le Università non sono uffici periferici del MURST, né le scuole del Ministero della pubblica istruzione).

Ma l'autonomia, a mio avviso, non può essere una scappatoia per disperdere sul territorio nazionale decine di istituzioni prive di compiti specifici, non responsabili verso nessuno ma mantenute con denaro pubblico (per quanto lesinato).

Occorre, quindi, individuare quei national library and information needs così bene analizzati qualche anno fa da Maurice Line per conto dell'Unesco. Dai bisogni alle funzioni, che non sono riservate ad istituti di carattere nazionale - come spesso si sente erroneamente dire - ma che qui e ora, a un certo livello di sviluppo del tessuto bibliotecario e degli strumenti tecnologici, devono essere coperte da servizi nazionali (ossia finanziati con denaro pubblico ma, in teoria, anche gestiti da privati). In primo luogo l'archivio nazionale del libro, il controllo bibliografico e la diffusione dell'informazione, la fornitura nazionale e internazionale dei documenti.

Nonostante i notevoli passi avanti compiuti negli ultimi anni sul piano del controllo bibliografico, in particolare dalla Bibliografia nazionale italiana, sembra evidente che l'assetto attuale dei servizi nazionali è del tutto inadeguato a un paese moderno.

Occorre rilanciare con forza, quindi, l'idea e il progetto della Biblioteca nazionale d'Italia, di una grande istituzione culturale autonoma e di prestigio, in grado di essere davvero sorella, nell'Unione europea, della British Library, della Deutsche Bibliothek, della Bibliothèque nationale de France. Una grande istituzione culturale articolata in più sedi e strutture con funzioni distinte, "che abbracci ma non confonda" - sono parole di Diego Maltese - istituzioni con il loro retaggio storico (le nazionali centrali, forse altre biblioteche storiche di Firenze e di Roma) e nuovi centri di servizi all'altezza di un paese moderno. Un'istituzione che possa contare da una parte su un consiglio scientifico cui partecipino eminenti personalità della cultura e della ricerca, dall'altra su una amministrazione semplificata e il più possibile privatistica (per esempio per la gestione dei ricavi, per il riscatto degli eventuali diritti di riproduzione e di noleggio, ecc.) che permetta - tanto per essere chiari - di gestire ogni anno due milioni di transazioni a distanza invece delle attuali duemila o giù di lì.

Del resto, se l'"obbrobrio" di una Biblioteca nazionale di Cosenza o di Potenza è additato già nei manuali, solo la consuetudine non ci fa percepire che non meno assurdo, per esempio, è parlare di una Biblioteca nazionale di Roma (salvo, ovviamente, per chi volesse contrapporvi la Biblioteca nazionale della Padania).

In questo quadro, mi sembra evidente che l'amministrazione centrale dovrà spogliarsi di molti compiti di gestione diretta, a partire proprio dall'anomalia italiana, tante volte denunciata, di "biblioteche pubbliche statali". È necessario restituire queste biblioteche a funzioni vitali nel sistema bibliotecario, funzioni che spesso esse hanno avuto in passato, ma che sono state disseccate o fuorviate in oltre un secolo di storia unitaria e di enormi cambiamenti sociali (come la democratizzazione dell'istruzione) a cui non è stata data risposta.

Queste biblioteche, a mio avviso, possono riacquistare una funzione vitale solo se vengono restituite alla comunità: forse, in qualche caso, quella regionale, in altri quella cittadina, in altri ancora quella degli studi.

Prendiamo un esempio concreto. Nessuno si nasconde, da una parte e dall'altra, le difficoltà e i rischi da affrontare per riportare le biblioteche universitarie statali (un'anomalia nell'anomalia) nella loro sede naturale. Ma non si può non vedere, nello stesso tempo, che queste biblioteche si dibattono fra l'ambizione inevitabilmente frustrata a tornare ad essere sede primaria della ricerca e il rischio - da qualcuno perfino teorizzato - di trasformarsi in "biblioteche per il diritto allo studio". Dall'altra parte, i sistemi bibliotecari d'ateneo ormai largamente diffusi restano spesso gracili sotto il profilo storico e bibliografico. E si illude, a mio parere, chi crede che le realizzazioni virtuali abbiano lo stesso impatto di quelle reali.

Abbiamo di fronte, quindi, l'occasione per mettere in moto un processo, non solo amministrativo ma anzi essenzialmente culturale, che potrebbe portarci, anche per strade diverse da quelle seguite in altri paesi, a mettere la biblioteca al centro dell'ateneo, riconoscendone il valore non solo di servizio ma anche di istituto, storicamente radicato e concretamente frequentato, con il suo prestigio e la sua necessaria autonomia.

È infine da affrontare il "buco nero" della tutela. Un buon punto di partenza, a mio avviso, è la constatazione che i compiti di tutela devono, per la loro stessa natura, essere affidati a figure di alta qualificazione scientifico/tecnica e di sicura indipendenza. In una sola parola, a soprintendenti. Il semplice buon senso indica anche che queste figure non possono avere, contemporaneamente, responsabilità di gestione: il controllore non può coincidere col controllato. E, in una moderna Repubblica delle autonomie, l'amministrazione della tutela non può e non deve far distinzione fra istituti gestiti dallo Stato, dalle comunità locali, da enti pubblici, da enti ecclesiastici, da privati: il patrimonio storico e artistico della nazione - come recita la Costituzione - dev'essere tutelato ovunque si trovi, senza zone franche né inutili vessazioni.

Diversi sono gli assetti istituzionali ipotizzabili, ma mi sembra evidente l'inadeguatezza dei modelli attuali, sia quello delle soprintendenze artistiche, che cumulano gestione e controllo, sia quello degli uffici regionali per le biblioteche, che hanno assunto sempre più, non senza ragioni, compiti e profili essenzialmente amministrativi, coerenti con l'organizzazione complessiva dell'ente ma chiaramente inidonei a una funzione tecnica indipendente.

Il dibattito, che troverà una prima sintesi nel Congresso nazionale dell'Associazione a Napoli, è aperto, e in esso dovremmo misurare la nostra capacità di volare alto, di proporre idee e modelli che escano dal circuito chiuso degli "addetti ai lavori" e sappiano parlare all'opinione pubblica, al mondo della cultura, alle istituzioni, al Parlamento e al Governo.

Alberto Petrucciani


1 Renato Pagetti, Le strutture bibliotecarie nazionali, in: I congressi 1965-1975 dell'Associazione italiana biblioteche, a cura di Diana La Gioia, Roma: AIB, 1977, p. 229-236.

2 Giorgio De Gregori, Renato Pagetti e il rinnovamento dell'Associazione italiana biblioteche, "Bollettino AIB", 36 (1996), n. 2, p. 141-148.

3 Diego Maltese, La Nazionale di Firenze nel sistema bibliotecario, in: Informazione e gestione bibliotecaria, suppl. a "Informatica & documentazione", 3 (1976), n. 4, p. 9-11.

4 Luigi Crocetti, Pubblica, in: Il nuovo in biblioteca e altri scritti, raccolti dall'Associazione italiana biblioteche, Roma: AIB, 1994, p. 54-55. La legge cui si riferisce Crocetti è il d.P.R. istitutivo del Ministero per i beni culturali, n. 805 del 1975.