Biblioteche e reti civiche:
un'alleanza per la libertà
di Claudio Leombroni e Igino Poggiali
Libraries are acting as architects for the community database
Craig Stillings

La pubblicazione dell'articolo di Giorgio De Gregori su Renato Pagetti nell'ultimo numero del "Bollettino AIB" ci offre lo spunto per proporre dalle pagine della stessa rivista un tema di discussione che, pur apparendo nuovo, si salda in realtà con le questioni con le quali all'inizio degli anni Settanta l'Associazione incalzava la classe politica chiedendo il confronto su "programmi di sviluppo e riforme da fare, da rispettare e da far rispettare" [1, p. 145]. Nello stesso fascicolo l'appassionato editoriale di Lorenzo Baldacchini sottolineava quanto quelle problematiche siano ancora pressoché prive di approcci strategici.

Era forte fin da allora la consapevolezza del ruolo che le biblioteche avrebbero potuto svolgere per contribuire a quello sviluppo qualitativo del tessuto civile della nazione che resta una delle ragioni più significative della nostra missione nella comunità. In quegli anni si veniva definendo, in una parte almeno della professione, una percezione della biblioteca come servizio pubblico di base, come presidio del diritto alla lettura e all'accesso alla conoscenza, a condizioni di pari opportunità per i cittadini di ogni parte del paese.

In seguito siamo stati assorbiti dalla necessità di predisporre infrastrutture tecnologiche o di sperimentare nuovi modelli organizzativi, siamo stati a volte travolti da logiche più grandi delle nostre fragili istituzioni, ma ciò non ci giustifica dall'aver posto indebitamente tra le questioni di secondo piano la valorizzazione del ruolo delle biblioteche rispetto all'affermazione e alla tutela delle libertà civili delle comunità per le quali esse operano.

È giunta quanto mai opportuna, a questo proposito, la pubblicazione del volume curato da Fausto Rosa, La biblioteca servizio pubblico locale [2], nel quale si affrontano in modo sistematico le opportunità operative che la legislazione prodotta negli anni Novanta offre alla classe politica e al corpo professionale per mobilitare un rinnovato interesse per la funzione civile ed economica che, insieme a quella culturale, le biblioteche possono esercitare. Solo da pochi anni, infatti, l'attenzione critica alla quale è stato sottoposto il paternalismo autoritario che caratterizzava la politica nazionale dei primi decenni della Repubblica ha aperto la strada ad alcune riforme (incompiute e contrastate dalla burocrazia, come le leggi 142 e 241 del 1990 e il decreto legislativo 29 del 1993) che stanno dando i primi contenuti concreti alla nozione costituzionale di cittadinanza piena e consapevole.

Il punto di arrivo di questo percorso è un vero breakthrough il cui carattere fondamentale dovrà essere la radicale semplificazione delle strutture di mediazione (partiti, sindacati, apparati, corporazioni tecnocratiche) tra i cittadini e l'affermazione delle loro prerogative, dei loro diritti fondamentali: semplificazione resa possibile dalla diffusa possibilità, a livello del singolo individuo, di accedere in modo autonomo e critico alla conoscenza e all'informazione.

Ecco perché deve essere accolta nella sua massima ampiezza la stretta relazione che il Manifesto Unesco sulle biblioteche pubbliche istituisce tra il sistema educativo e le biblioteche stesse, al fine di creare una generazione di cittadini capaci di avvalersi in gran parte da soli delle risorse della conoscenza. Ciò muterà progressivamente il nostro ruolo da quello di mediatori tra le conoscenze e l'utente a quello di "architetti" dei percorsi più indicati per un processo di appropriazione del sapere che il cittadino pone in atto in gran parte da solo, o magari in compagnia di altri utenti, in virtù della capacità di apprendere ad apprendere che la scuola gli avrà dato. In questa prospettiva si può cominciare ad affermare che nei processi di gestione della conoscenza il cittadino utente diverrà progressivamente l'attore principale, il vero operatore della biblioteca. Non è difficile cogliere un'analogia con quanto sta accadendo nel mondo della produzione dei beni e dei servizi, nel quale l'applicazione delle tecniche di qualità e il massiccio impiego di tecnologie per la gestione dell'informazione sta coinvolgendo l'acquirente sempre più all'interno del ciclo produttivo, fino al punto che è il cliente che fa il prodotto (mass customisation) [3].

Qualcuno, più benevolo, comincerà a pensare di star leggendo "fantasie" alla Alvin Toffler; qualcun altro che si tratti delle solite visioni futurologiche che stanno investendo, spesso in modo eccessivo e distorto, l'attenzione dell'opinione pubblica. In realtà questi fenomeni sono stati alla base di successi industriali che hanno fatto epoca, dagli orologi Swatch alle personalizzazioni esasperate che l'industria automobilistica giapponese può operare sulle vetture che pone sul mercato.

Il cittadino libero, consapevole, indipendente e critico rappresenta già, a un tempo, il nostro problema e la nostra necessità. È un problema in quanto portatore di domande complesse e nuove, ed è anche una necessità in quanto la qualità del nostro impatto sul tessuto sociale e culturale scaturisce da un processo nel quale il ruolo dell'utente e il livello delle sue capacità di avvalersi delle risorse conoscitive da noi organizzate condizionano il risultato atteso dagli investimenti effettuati sulle nostre strutture.

Il rischio resta ancora quello di sempre: laddove la biblioteca opera ignorando o sottovalutando la realtà esterna, resta al margine dei processi che investono le parti più dinamiche del tessuto sociale e produttivo. Ciò la pone nella condizione di non essere vista, di non essere considerata tra le questioni di valore strategico da nessuno dei gruppi che rappresentano gli interessi socialmente rilevanti. Si spiega forse così la difficoltà di far concepire all'opinione pubblica lo stretto nesso che esiste tra le biblioteche e il dibattito sull'informazione e sul suo valore culturale. E non è certamente un caso se, in una recente indagine conoscitiva svolta dalla VIII Commissione permanente del Senato sulle moderne tecnologie telematiche e multimediali, la questione sia stata affrontata dal punto di vista della televisione e dell'editoria senza mai menzionare le biblioteche [4].

D'altra parte, la diffusione delle tecnologie dell'informazione, la stratificazione dei contenuti informativi e conoscitivi su livelli che non abbiamo incluso nel nostro orizzonte operativo e la polluzione di servizi informativi, sorti sia per disposizioni di legge (come gli Uffici relazioni con il pubblico) sia per rispondere al bisogno, purtroppo insoddisfatto dai tradizionali servizi bibliotecari, di gestire informazioni della più varia provenienza e tipologia, ha prodotto da tempo "la fine della separatezza della biblioteca come istituzione" [5, p. 1]. Già oggi è sempre più difficile giustificare nel bilancio di un Comune, nel quale si tagliano spese sociali e infrastrutturali, i costi di gestione di un servizio bibliotecario che si limiti alla gestione di poche funzioni tradizionali, che in questo contesto appaiono sempre più marginali.

Il fenomeno delle reti civiche, comparso in Italia all'inizio del 1995, rischia di emarginare in modo ancora più netto le biblioteche dalle strategie di accesso all'informazione sviluppate dagli enti locali. Sebbene le reti civiche italiane siano qualitativamente eterogenee e non a tutte sia in realtà applicabile il concetto di community network, le finalità progettuali che ne hanno promosso la realizzazione sono essenzialmente omogenee. Innanzitutto esse mirano allo sviluppo di un nuovo modello di accesso all'informazione e alla conoscenza a disposizione del cittadino, stimolando a un tempo la crescita di una cultura telematica e l'apprendimento di tecnologie che caratterizzeranno vieppiù il nostro modo di vivere e di lavorare nei prossimi anni. In secondo luogo è almeno abbozzato il tentativo di superare la consistente frattura fra tecnologie dell'informazione e ristrutturazione organizzativa delle funzioni pubbliche. Infine, è diffusa la consapevolezza che la società dell'informazione sia un dato di fatto e che le tecnologie dell'informazione debbano essere parte integrante di una citizen care, indispensabile per la fruizione dei diritti di cittadinanza e per dare nuovo contenuto e senso al rapporto fra cittadino e poteri pubblici [6].

Quante biblioteche sono protagoniste o animatrici delle reti civiche italiane? La domanda non è oziosa e la risposta, purtroppo, poco consolante. Di fronte a un fenomeno sorto con finalità che dovrebbero essere in gran parte proprie della missione della biblioteche, non è difficile notare il ruolo marginale o sussidiario che queste occupano nell'architettura delle reti civiche del nostro paese, nonché nel disegno e nell'organizzazione dei loro contenuti informativi. E il dato che possiamo assumere come campione è peraltro molto ampio, giacché le ultime statistiche disponibili (aprile 1996) ci indicano che nel 45,4% dei capoluoghi di provincia sono state realizzate reti civiche, con picchi elevatissimi in Emilia-Romagna, Toscana e Umbria [6]. Le biblioteche pubbliche devono candidarsi a essere il perno delle reti civiche non solo partecipando alla progettazione del "database della comunità locale" e all'organizzazione del servizio, ma, soprattutto, svolgendo una funzione di "presidio civile", ossia operando affinché le reti civiche siano occasioni di libertà, di arricchimento delle conoscenze, e non già mere bacheche elettroniche a disposizione dell'amministrazione che ne ha finanziato la realizzazione. Una funzione cruciale, quest'ultima, ma necessaria, perché si innesta nel delicatissimo e dibattutissimo rapporto tra democrazia, "civilizzazione del cyberspazio" e tecnologia dell'informazione [7-36] e perché, al tempo stesso, esprime il senso profondo dello statuto etico della nostra professione di fronte alla società civile e a noi stessi.

La società civile - ha scritto Ernest Gellner - è "una società in cui politica ed economia sono distinte, nella quale la politica è strumentale, pur essendo in grado di tenere sotto controllo le espressioni estreme dell'interesse, ma nella quale lo Stato, a sua volta, è tenuto sotto controllo da istituzioni che hanno una base economica; una società che conta sulla crescita economica, la quale richiede la crescita cognitiva e rende perciò impossibile il monopolio ideologico" [37]. Ebbene, proprio perché le biblioteche sono il luogo dove l'attività cognitiva si esercita nel modo più libero, senza coercizioni, esse rappresentano il legame più profondo tra libertà e intelligenza. Ed è su questo legame che dobbiamo ricostruire il nostro ruolo.


Dalla tutela dei beni culturali alla tutela del "bene intelligenza"

La domanda di accesso alla conoscenza da parte di tutti gli strati della popolazione cresce a ritmi sconosciuti anche solo pochi anni fa ed è soddisfatta prevalentemente da un'industria culturale che offre prodotti di qualità frammisti a grandi quantità di materiale scadente. La logica del mercato consente l'accesso a risposte di basso profilo proprio a quei gruppi sociali che maggiormente necessiterebbero di essere orientati e posti in condizione di avvalersi di strumenti di elevata qualità per affrontare in condizioni di pari opportunità le sfide e le competizioni richieste in una società complessa. In tal modo si rendono più evidenti e drammatici il distacco e l'emarginazione di quelle fasce della popolazione che per varie ragioni, ivi compresa la propria volontà, non riescono a istituire un contatto con gli strumenti della cultura critica.

La diffusione delle tecnologie dell'informazione può contribuire ad affrontare con efficacia questi problemi, ma può al contrario allargare il solco tra coloro che accedono anche per questa via alla conoscenza e coloro che una volta di più ne resteranno esclusi. La sfida posta dal mercato globale ha cambiato radicalmente la collocazione della componente culturale degli individui, della loro competenza linguistica, della capacità di comprendere e di operare in organizzazioni complesse, al punto che quella scuola e quella cultura che erano spesso frutto di una conquista dal basso diventano ora una necessità del sistema produttivo, il quale infatti chiede allo Stato di investire risorse sempre più ingenti nella scuola e nella formazione. Il vantaggio competitivo delle nazioni si giocherà sempre di più sulla vitalità intellettuale e culturale delle popolazioni, condizioni che sono alla base di una forte flessibilità e capacità di autonomia e di assunzione di responsabilità. Queste sono già ora le qualità che determinano il successo o il fallimento di un'impresa, sia pubblica che privata [38-41]. Si aprono quindi immensi problemi di ridefinizione delle coordinate che hanno orientato finora molti comportamenti politici, sindacali o professionali: si dovrà approdare all'individuazione di nuovi livelli di qualità della vita, nei quali la componente culturale conquisterà vieppiù lo spazio occupato finora in maniera quasi esclusiva dal perseguimento di obiettivi materiali o monetari.

È in gioco, nel contempo, la garanzia di un approccio all'istruzione e alla cultura che non sia semplicemente funzionale alle esigenze della produzione, ma ora più che mai baluardo e vessillo della difesa delle libertà individuali e strumento dell'affermazione dei valori supremi su cui si fonda ogni società democratica. Non a caso è stato proprio il Dipartimento degli affari sociali del Ministero dell'interno a promuovere la nascita e lo sviluppo della rete degli Informagiovani, ravvisando nel contatto individuale che si sviluppa in questo tipo di servizi la possibilità di riaprire (o aprire per la prima volta) un rapporto col cittadino fondato proprio sulla fornitura di informazioni, orientamenti per il lavoro, per lo studio, per l'impegno nel sociale, ecc.

Nell'ambito della missione delle biblioteche e delle istituzioni similari l'attenzione era centrata fino a ieri sulla salvaguardia del patrimonio culturale, visto come prodotto dell'applicazione dell'intelligenza dei membri della comunità, e sulla sua gestione. Oggi la soglia si è spostata sul fronte della tutela dell'intelligenza stessa e del suo empowerment attraverso il concorso di tutti i soggetti che possono aver titolo e ragione di intervenire in questa attività: scuole, università, biblioteche, autorità locali e nazionali.

La biblioteca deve diventare quindi consapevole del fatto che non esaurisce la propria responsabilità nel rendere genericamente disponibili risorse informative organizzate secondo parametri professionali. Essa deve ampliare i criteri di valutazione dell'efficacia della propria azione commisurandoli all'influenza che esercita nel processo di crescita della qualità intellettuale della comunità.

È questa una funzione culturale o "informazionale"? La discussione su questo sofisticato distinguo che circola in alcuni ambienti biblioteconomici non ci attira, ma sentiamo che merita l'apertura di un confronto che potrebbe essere anche vivace. Naturalmente le questioni qui sollevate meriterebbero approfondimenti che non possono essere sviluppati nell'economia di questo articolo, ma era necessario evocarle per poter cogliere il livello del confronto al quale non possiamo sottrarci.


Biblioteche, diritti civili e reti civiche

Siamo contrari per principio e in nome della libertà dei cittadini alla polluzione legislativa che ha devastato la vitalità, la creatività e la ricchezza del paese senza risolverne i problemi. Non possiamo tuttavia non ammettere che la rilettura delle funzioni della biblioteca sotto questa luce giustificherebbe un intervento normativo che riconoscesse alle biblioteche la loro natura di infrastruttura di base, la cui istituzione e gestione abbia lo stesso grado di cogenza che viene riconosciuto alle funzioni igienico-sanitarie (ad esempio, persino i canili, giustamente, sono già obbligatori per legge), a quelle scolastiche, militari o giudiziarie.

All'abbondanza delle norme che regolano l'attività della biblioteca come luogo di conservazione e organizzazione dei documenti e delle conoscenze che si sono sedimentate nel passato fa da contraltare l'assoluta assenza di disposizioni legislative che conferiscano dignità di infrastruttura irrinunciabile al servizio bibliotecario di base. Siamo costretti a difenderlo comune per comune, laddove esiste, e a perorarne la realizzazione senza ottenere risposte in larga parte del paese. L'architettura del possibile testo legislativo dovrebbe mettere in evidenza la funzione della biblioteca quale strumento di attuazione di alcuni diritti costituzionali, tra cui quelli stabiliti dall'art. 3 (diritti soggettivi pubblici e diritti sociali) oltre al pieno dispiegamento degli effetti voluti dagli art. 21 e 33-34 (diritti culturali). Si dovrebbe far riferimento anche alla legge n. 881 del 25 ottobre 1977, che ha recepito il patto internazionale di New York del 16 novembre 1966 in materia di diritti economici, sociali e culturali. Con l'occasione, si dovrebbe procedere anche a eliminare o assorbire numerose norme emanate in vari periodi e da varie autorità nel campo dei servizi e delle attività che danno risposta al diritto all'informazione. L'approccio suggerito rende addirittura necessario questo accorpamento, in quanto tende a dare unitarietà e a coordinare le attività di una serie di enti, istituzioni, organizzazioni che a vario titolo concorrono all'attuazione del diritto all'informazione da parte del cittadino.

Questo non significa, ovviamente, che tutto dovrà essere svolto in biblioteca. Anzi, col lavoro in rete si potrà ottimizzare l'uso delle risorse umane e finanziarie e nello stesso tempo dare ai cittadini la percezione di un'organizzazione che, pur con diverse forme e specializzazioni, è consapevole di concorrere al massimo grado di soddisfazione del loro bisogno. Un eccellente strumento per conseguire questo obiettivo è costituito dalle reti civiche.

Non è facile definire in modo esaustivo l'identità più appropriata di una rete civica. Se per un verso sono sostanzialmente reti di computer interconnessi attraverso linee telefoniche a un elaboratore centrale, per un altro condividono la compresenza di tre elementi: il radicamento nella comunità locale, l'informazione "comunitaria", un mezzo di comunicazione elettronico [34]. Sul versante delle prestazioni erogate è invece possibile "distinguere i servizi puramente informativi, in cui il cittadino accede a un archivio di dati, da quelli comunicazionali, in cui il cittadino si rivolge all'ufficio o alla funzione aziendale responsabile di un servizio e ne ottiene una risposta personalizzata, e da quelli transazionali, in cui dalla richiesta del cittadino ha origine un insieme di elaborazioni specifiche e di scambi di dati che coinvolgono più di un ufficio e più di una rete" [42].

Tuttavia, ci sembra che la migliore definizione di rete civica possa essere formulata solo indicando ciò che non è o non deve essere. In un recente convegno sulle reti civiche svoltosi a Taos (New Mexico), Doug Schuler ha definito in negativo i tratti essenziali di una rete civica. "Per uccidere una rete civica - ha detto - sono sufficienti tre evenienze: ridurla a un mero servizio, come la luce o il gas; farle mancare i fondi; considerarla semplicemente un progetto tecnologico" [30]. Le reti civiche, insomma, non possono essere considerate semplici servizi pubblici o semplici progetti tecnologici. Esse sono radicate nella comunità e ne esprimono i valori, la cultura, l'intelligenza.

La migliore espressione in positivo della filosofia del civic networking, invece, è probabilmente quella formulata da Richard Civille, Miles Fidelman e John Altobello in un documento [24], datato 1993, in cui non è difficile scorgere taluni elementi che saranno ripresi, due anni dopo, dalla vecchia Europa col Rapporto Bangemann. Secondo Civille, Fidelman e Altobello le reti civiche devono contribuire alla rivitalizzazione delle istituzioni e delle economie locali, alla creazione di spazi pubblici di dibattito, al consolidamento degli istituti democratici di fronte agli apparati burocratici pubblici. Ciò spiega perché nella cultura statunitense, pur con luci e ombre, esse siano state individuate dai movimenti per i diritti civili e per le libertà di comunicazione e di opinione come mezzo per la salvaguardia delle prerogative irrinunciabili del cittadino. Quei movimenti sono fortemente sviluppati negli Stati Uniti ma conoscono presenze significative anche in Europa; per avere un quadro della situazione si può consultare il sito Web dell'associazione Città invisibile (http://www.citinv.it).

La tematica delle reti civiche in Italia è già uscita dalla fase delle esperienze d'avanguardia e sono numerose le amministrazioni che si stanno misurando con la predisposizione dei loro siti Web, con gli approcci più diversi e con esiti ancora, nel complesso, non troppo esaltanti [43, 44]. Il fenomeno costituisce comunque per le biblioteche, e in particolare per quelle pubbliche di ente locale, un'occasione impareggiabile per riproporre in modo nuovo il proprio ruolo di presidio delle funzioni di accesso all'informazione e alla conoscenza.

Negli Stati Uniti si tratta di un approccio naturale per le biblioteche. Sin dalla prima realizzazione di rete civica (Berkeley, 1974) i servizi bibliotecari si sono ritagliati un ruolo di primaria importanza. E hanno caparbiamente realizzato una solida alleanza con le strutture educative, con le associazioni, con le agenzie governative, per sviluppare i valori più intimi connessi all'idea di rete civica [13, 16, 26, 31, 45-47]. È il caso di notare che le biblioteche che per prime negli Stati Uniti si sono inserite nei progetti di civic networking o ne sono state protagoniste erano quelle che già avevano acquisito una particolare sensibilità verso una concezione della biblioteca come presidio delle libertà di accesso all'informazione. Ciò avveniva in un paese nel quale la sensibilità delle classi intellettuali e di fortissime aggregazioni sociali verso la difesa e l'ampliamento delle libertà civili ha una rilevanza quasi sconosciuta in Italia, ma anche nella maggior parte dei paesi europei.

Basterebbe del resto sfogliare qualche manuale di biblioteconomia americano per vedere come, a differenza di quanto accade da noi, la questione etica e deontologica del rapporto tra funzione della biblioteca e creazione delle condizioni per la difesa e l'ampliamento dei margini di libertà del cittadino sia al primo posto tra i valori di riferimento per la professione [48]. Le pagine Web dell'American Library Association sono collegate alla Blue Ribbon Campaign che si batte contro tutte le forme di censura e di limitazione all'accesso a ogni tipo di informazione. I movimenti per i diritti civili riconoscono tra i loro alleati l'ALA e si battono con lei per la freedom to read. L'associazione ha istituito persino un Office for Intellectual Freedom che fra l'altro cura e aggiorna l'Intellectual Freedom Manual [49], il cui supporto giuridico fondamentale è costituito dal Freedom of Information Act.

Proviamo a confrontare questi elementi con l'immagine corrente che hanno gli italiani dei bibliotecari e delle biblioteche per renderci conto della strada che dovremo percorrere. Diciamo "dovremo" perché quei movimenti costituiscono un efficiente apparato di difesa dalla tendenziale entropia autoritaria insita nelle tecnologie. Poiché il quadro delle infrastrutture tecnologiche per la gestione delle informazioni si sta velocemente conformando al modello già in essere negli Stati Uniti, la mancanza di questa sensibilità ci espone, prima di tutto come cittadini, a gravissimi rischi rispetto alla difesa delle libertà civili. È evidente che in questa direzione anche l'AIB dovrà attrezzarsi per giocare il ruolo che le spetta.


Reti civiche italiane e funzioni pubbliche

Nel contesto di questo articolo non intendiamo soffermarci tanto su soluzioni architetturali o applicative, poiché la tecnologia di riferimento è notoriamente consolidata, quanto piuttosto sugli aspetti organizzativi, ossia sugli impatti che una rete civica può avere sull'organizzazione di un ente pubblico, sulle modalità di lavoro delle burocrazie pubbliche. Intendiamo, inoltre, evidenziare il nesso che si instaura tra questa dimensione e la funzione delle biblioteche e dei servizi di informazione e documentazione.

L'impatto organizzativo è cruciale per qualsiasi sistema informativo, come dimostra l'ampia letteratura sull'argomento. Ogni sistema informativo ha o dovrebbe avere un impatto sulla organizzazione degli enti e sui processi di lavoro interni per "massimizzare" i benefici resi possibili dalle soluzioni tecnologiche disponibili. Ma in che senso e in quali termini si può parlare di impatto di una rete civica sull'organizzazione di un ente? Ovviamente il quesito acquista particolare rilevanza nel caso di quelle reti civiche sorte per iniziativa prevalente di un'organizzazione pubblica (Comune, Provincia).

Per abbozzare una risposta e definire alcune soluzioni organizzative analizzeremo alcuni tratti caratteristici delle reti civiche in generale e alcune sperimentazioni avviate dalla Provincia di Ravenna nell'ambito della propria rete civica (R@cine - Ravenna Civic Network).

Una rete civica non è la Rete unitaria della pubblica amministrazione e non è il sistema informativo che governa le procedure interne di un ente. Può essere un segmento, un modulo dell'una o dell'altro, con caratteristiche peculiari e un appropriato front end. Sotto questo profilo l'architettura di servizi di rete proposta dall'AIPA per la Rete unitaria è molto chiara e persuasiva [50, p. 16]. Ciò tuttavia introduce nella carta d'identità di una rete civica alcuni segni particolari non compresi nel concetto originario e alcuni dilemmi.

La definizione in negativo proposta da Doug Schuler [30], tradotta nella realtà italiana, significa che una rete civica non può e non deve coincidere semplicemente con un Ufficio relazioni con il pubblico, una struttura informativa o un Tuttocittà, né con ipotesi di "città cablate", ma deve avere al centro la comunità, urbana o provinciale, e i suoi valori. Di qui un dilemma: come garantire e incentivare la presenza della comunità all'interno di infrastrutture promosse da enti pubblici? A nostro avviso occorre procedere almeno in cinque direzioni:
1) concedere ampio spazio ai cittadini, singoli o associati, concependo le reti civiche come progetti di libertà e non di una singola amministrazione;
2) sfruttare la tecnologia a disposizione per instaurare un rapporto autenticamente bidirezionale tra cittadino e pubblica amministrazione;
3) puntare su ampie campagne di alfabetizzazione per porre tutti i cittadini nelle condizioni di utilizzare strumenti che caratterizzeranno sempre più il nostro modo di vivere e di lavorare;
4) integrare e razionalizzare i servizi di accesso all'informazione e alla conoscenza e potenziare i servizi pubblici di informazione (biblioteche, Informagiovani, Uffici relazioni con il pubblico) per farne dei punti di accesso alla rete, anche per coloro che, per varie ragioni, non hanno la possibilità di accedervi autonomamente;
5) operare, per quanto concerne i servizi pubblici, affinché la rete civica sia considerata dall'apparato della pubblica amministrazione una estensione naturale della propria attività; una estensione che induca, tuttavia, al cambiamento di taluni processi di lavoro, alla ridefinizione di taluni compiti e uffici.

Quest'ultimo punto si fonda su un dato di fatto: in Italia le rete civiche, indipendentemente dal giudizio che possiamo dare su di esse, sono state generalmente promosse e finanziate da enti locali. E se così è, vale la pena di tentare di concepirle anche come occasione per integrare e razionalizzare i servizi informativi rivolti al pubblico gestiti dagli enti locali.

Per meglio chiarire che cosa significhino integrazione e riorganizzazione nello specifico dei servizi informativi al cittadino citiamo un caso per noi familiare: la rete degli Informagiovani della provincia di Ravenna. È una rete efficace, per quanto rudimentale, che esiste da diversi anni.

Ebbene, che cosa accade? In pratica il flusso informativo fra i produttori di informazione - in gran parte enti locali e Ufficio provinciale del lavoro - e gli Informagiovani, se analizzato con attenzione, vede una ridondanza di operazioni con un costo che in genere non è calcolato nella pubblica amministrazione, cioè il tempo impiegato dal personale per compiere operazioni identiche e pleonastiche: c'è qualcuno che digita da una parte, che invia le informazioni agli Informagiovani i quali, a loro volta, le reinseriscono nel sistema. L'integrazione di questo servizio nell'ambito dei servizi informativi di rete civica consentirà un risparmio di costi pari a circa il 50%.

Questo processo di integrazione e razionalizzazione avrà un impatto sull'organizzazione degli Informagiovani. Essi dovranno orientarsi, più che alla produzione di informazioni, al trattamento selettivo di esse, allo sviluppo di servizi personalizzati di consulenza e orientamento, realizzando così un miglioramento complessivo del sistema.

Un altro esempio. Si parla, giustamente, di alfabetizzazione telematica e di formazione: ciò significa riconoscere il ruolo dell'informazione e della conoscenza e investire sulla qualità delle risorse umane. In una prospettiva ampia, come si legge peraltro nel Libro bianco sull'educazione dell'Unione Europea [38], significa concepire come un continuum le strutture pubbliche che sono istituzionalmente adibite alla diffusione delle informazioni e delle conoscenze: biblioteche, scuole, centri di formazione, servizi informativi. Nel caso della rete civica della Provincia di Ravenna si sta tentando di ridisegnare in questo senso i ruoli delle singole strutture. Ad esempio, l'organizzazione delle informazioni distribuite sulla rete e il presidio degli spazi civici sono stati affidati alle biblioteche: il compito tradizionalmente svolto dai bibliotecari, ossia creare indici di accesso al patrimonio documentario e informativo, è stato reindirizzato anche su un oggetto un po' diverso come la struttura del contenuto informativo di un Web server.

Quelli citati sono solo esempi di come una rete civica può modificare l'organizzazione e i compiti di segmenti della pubblica amministrazione. Ma quali strumenti possono essere utilizzati per vincolare amministrazioni eterogenee a perseguire le finalità sopra illustrate? Un possibile strumento potrebbe essere un organo previsto dal nostro ordinamento, individuato dalla direttiva del Presidente del Consiglio Dini del settembre 1995 quale sede di coordinamento e di assunzione di decisioni in materia di sistemi informativi periferici nel quadro della Rete unitaria della pubblica amministrazione. Si tratta, a seconda dei casi, dei Comitati provinciali della pubblica amministrazione o dei Comitati metropolitani.

I Comitati provinciali, presieduti dal prefetto, si occupano in genere di coordinare le attività delle amministrazioni periferiche dello Stato e solo in talune circostanze possono essere integrati dalla presenza dei rappresentanti degli enti locali o delle organizzazioni del mondo del lavoro. Ebbene, è possibile anticipare lo scenario previsto dalla direttiva Dini, immaginando enti locali e articolazioni dello Stato insieme permanentemente per coordinare e governare la partecipazione dei soggetti pubblici alla rete civica.

È bene sottolineare quest'ultimo punto: il coordinamento deve essere relativo alla partecipazione delle istituzioni pubbliche alla rete civica, non alla rete civica nel suo complesso, che è e deve essere governata dalla comunità.

Pur con le prevedibili contraddizioni e difficoltà riteniamo che la cooperazione fra i vari ambiti della pubblica amministrazione sia l'unica strada per riportare le organizzazioni pubbliche sulla lunghezza d'onda degli interessi del cittadino. Le biblioteche e i bibliotecari dovrebbero stimolare tale tipo di cooperazione.

Come si vede, l'ampliamento degli spazi di libertà che questi processi possono comportare vede la biblioteca quale soggetto cruciale per la corretta riuscita di un salto qualitativo di tutta la compagine sociale.

Quale istituzione potrebbe esistere sul nostro territorio con una capacità di visione complessiva, di flessibilità, di accessibilità, di competenza tecnica nel trattamento della risorsa chiave di questo nuovo mondo?


Postilla. Cosa accade in una biblioteca inserita nella logica della rete civica?

Nella primavera scorsa un grande comune del Nord (che non nominiamo perché episodi simili sono stati registrati in molte altre località e il caso ci serve solo come argomento per la nostra tesi) ha presentato con una certa enfasi un progetto per la realizzazione di un grosso intervento sul fronte multimediale, attraverso il quale si dava vita a un servizio pubblico finalizzato alla messa a disposizione di tecnologie telematiche e multimediali a tutti i cittadini che vi si recassero. Ciò al fine di far crescere la loro capacità di avvalersi delle enormi opportunità che le tecnologie dell'informazione pongono a loro disposizione. Il progetto, che dal punto di vista intrinseco era notevole e adeguato alla dimensione della città e agli obiettivi che si poneva, non vedeva però in alcun modo le biblioteche coinvolte in quella strategia. Anzi, pochi mesi prima, la Giunta di quel Comune aveva addirittura inserito tra le manovre per far quadrare il bilancio comunale l'istituzione di un biglietto di ingresso nelle biblioteche. Per colmare la misura, nella stessa Giunta un altro assessore, evidentemente un po' dandy, regalava a tutti i cittadini che lo richiedevano l'abbonamento privato a Internet con costi a carico del bilancio comunale. Il tutto mentre i servizi di biblioteca non vedono investimenti consistenti da molti lustri e non ci risulta esistere un numero significativo di postazioni a libero accesso. Sembrano i tempi in cui Maria Antonietta avrebbe detto: "Non hanno pane? Mangino le brioches". Tutto ciò a pochi mesi dalla pubblicazione del Manifesto Unesco sulle biblioteche pubbliche.

Questa vicenda potrebbe essere assunta a simbolo del grado di emarginazione che già oggi investe le biblioteche in relazione ai processi di innovazione che riguardano la funzione informativa ed educativa. Laddove, invece, il processo vede tra i suoi protagonisti la biblioteca quale perno di una logica di integrazione con gli altri servizi di accesso all'informazione sia tradizionali, come la biblioteca stessa nelle sue varie articolazioni, che personalizzati (Informagiovani, Informafamiglie, Informambiente, ecc.), si può assistere a fenomeni inattesi.

I comportamenti del pubblico sono effettivamente quelli preconizzati dagli studiosi di questi fenomeni (Toffler, Eco) e la predisposizione di postazioni di accesso alla rete, con personale adeguatamente preparato ad assistere l'utente nei primi passi, crea veramente le condizioni per sconvolgere la tendenziale divisione dei cittadini sulla base delle opportunità di accesso alla conoscenza.

Si possono incontrare giovani operai, che ormai non leggevano quasi più, intenti a scrivere messaggi in posta elettronica ad amici conosciuti in biblioteca o incontrati nella rete. Gruppi di bambini della scuola media, sulla base di un piano di lavoro integrato tra biblioteca e scuola, aggiornano un "diario di navigazione" tra le varie tipologie di strumenti bibliografici disponibili (catalogo cartaceo, bibliografia a stampa, SBN, CD-ROM, Internet) per scoprire le tracce di un personaggio o di un autore; se dalla navigazione ricavano materiale interessante sono in grado di raccontarlo in un ipertesto. Alcuni utenti possono utilizzare prodotti di autoformazione per acquisire in modo più sistematico nuove abilità, capacità e conoscenze, col ritmo più appropriato.

Per tutti è a disposizione gratuitamente un accesso personale gratuito alla rete civica. Si può così avere una casella personale di posta elettronica alla quale si potrà accedere sia da casa propria, qualora si possieda l'impianto necessario, sia dalle attrezzature poste in biblioteca e in altri luoghi pubblici, in uso gratuito. Si può accedere, inoltre, a tutte le altre funzioni di rete civica ormai tradizionalmente realizzate in molte città.

L'utente della biblioteca trova assolutamente naturale questa evoluzione della struttura fondamentale per l'accesso all'informazione che il Comune gli fornisce. Ciò che ci sembra più rimarchevole è che si assiste a una riscoperta del libro proprio grazie alle moderne tecnologie, che ampliano la possibilità di scoprire l'esistenza di libri nuovi e sconosciuti. Il fenomeno più interessante che si può riscontrare, dal punto di vista del potenziale di queste innovazioni sulle relazioni umane in luoghi di aggregazione liberi e aperti a tutti, è costituito da giovani e meno giovani che insegnano ai più sprovveduti: si crea così in molti momenti una piccola learning community.

Perdere tutto questo è il rischio che si corre quando le iniziative di innovazione nel settore dei servizi di accesso all'informazione vengono assunte al di fuori di una politica che le ricolleghi al tessuto dei servizi di biblioteca e documentazione. Comportamenti di questo genere hanno dato origine a clamorosi fallimenti che evidentemente non ci hanno insegnato nulla: ci riferiamo alla creazione dei centri giovanili trasformati ben presto in ghetti o luoghi di autoemarginazione, di mediateche intese come luogo dell'uso esclusivo di strumenti multimediali trasformatisi in sale giochi e poi lasciate decadere.

Le politiche pubbliche nel settore dei servizi di accesso alla conoscenza e all'informazione devono avere un riferimento strategico, un'infrastruttura logistica, una compagine professionale in grado di custodire e ampliare la cultura dell'organizzazione fino a farla divenire lo strumento per gestire i processi di innovazione nel tessuto sociale.

Vogliamo restare fuori anche dalla politica delle reti civiche? Non ci stupiremo poi se qualche bizzarro assessore, sotto lo sguardo indifferente del sindaco che lo ha nominato, potrà farsi venire l'idea di introdurre il biglietto d'ingresso in biblioteca.

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CLAUDIO LEOMBRONI, Servizio Biblioteche della Provincia di Ravenna, via Mariani 5, 48100 Ravenna, e-mail leombroni@racine.ra.it.
IGINO POGGIALI, Biblioteca comunale "F. Trisi", piazza Trisi 19, 48022 Lugo (RA), e-mail poggiali@racine.ra.it.