RECENSIONI E SEGNALAZIONI


Cataloging and classification: trends, transformations, teaching, and training, James R. Shearer, Alan R. Thomas editors.  Binghamton: The Haworth Press, 1997.  210 p.  ISBN 0-7890-0340-6.  $ 24.95.  Pubblicato anche in «Cataloging and classification quarterly», 24 (1997), n. 1/2.

Questa pubblicazione raccoglie un numero cospicuo di contributi di bibliotecari e biblioteconomi anglosassoni imperniati prevalentemente, ma non esclusivamente, sul tema dell'impatto che gli ultimi sviluppi delle tecnologie informatiche hanno avuto sulle procedure di catalogazione, sui sistemi per il reperimento dell'informazione, sulla formazione professionale. Il composito sottotitolo del volume (Trends, transformations, teaching and training) illustra bene la varietà degli spunti offerti: si parla, infatti, sia delle ultime novità nel campo delle prassi catalografiche, sia di come le trasformazioni tecnologiche influiscano sui meccanismi profondi di quelle prassi, sia anche di come i curricula formativi nelle scuole per bibliotecari necessitino di aggiornamenti sostanziali alla luce di quelle medesime trasformazioni. Negli ultimi due o tre decenni, infatti, i mutamenti introdotti dall'evolversi della strumentazione tecnica hanno comportato un tale potenziamento e affinamento delle procedure di lavoro - e, contestualmente, una capillare, anche se all'inizio inavvertita, redistribuzione dei compiti e delle competenze - da incidere in modo forte e profondo sui processi di manipolazione informativa: in molti casi hanno finito per influenzare sia le strategie di organizzazione che le politiche gestionali degli organismi stessi, come ben fa notare - tra gli altri - il saggio posto opportunamente a chiusura del volume (The cataloger's future: a director's view, di Richard W. Meyer).

I contributi sono stati raggruppati in tre sezioni, attorno ad alcuni temi enucleati come fondamentali, sebbene inevitabilmente tra di loro un po' disomogenei: The cataloger, The future of classification systems, New technology and its implications.

È difficile, naturalmente, estrapolare dalla molteplicità di questo insieme alcuni singoli punti qualificanti. Al di là del dibattito sulle innovazioni tecnologiche, sui ripensamenti metodologici che esse comportano, sui suggerimenti d'uso (temi interessanti, ma per loro stessa natura facilmente soggetti a rapido invecchiamento, anche se alcune prassi vengono poco usate in Italia, e dunque non sono state ancora sperimentate in modo approfondito, come l'outsourcing, cioè l'appalto di alcuni servizi a ditte specializzate), possono offrire spunti originali di riflessione per il lettore italiano sia il saggio di McIlwaine sull'utilizzo degli schemi di classificazione e l'interscambio informativo tra gli editori di quegli schemi e i fruitori, sia, in particolare, tutti quei passi (soprattutto i contributi di Vellucci e Towsey, ma non soltanto) in cui si tratta dei sistemi di formazione professionale e di reclutamento. Può essere, infatti, interessante istituire un confronto tra realtà lontane come quella anglosassone, in cui le scuole biblioteconomiche appaiono fortemente strutturate e radicate nella tradizione scientifica da oltre un secolo, e quella italiana, nella quale è ancora in nuce lo sviluppo del sistema formativo parauniversitario e universitario, che soltanto da pochi anni ha ricevuto una sua definizione giuridica. Da tale profonda differenza - oltre che, ovviamente, da una dissimile configurazione del mercato del lavoro - scaturiscono ampie diversità nel settore del reclutamento professionale, tanto che ci appare come sufficientemente inusuale e stimolante il contributo di Towsey, nel quale si analizzano e si paragonano percentualmente le tipologie lavorative bibliotecarie negli Usa e nel Regno Unito: si forniscono tabelle di raffronto circa i datori di lavoro, le modalità di impiego, i livelli e le specializzazioni professionali, le retribuzioni, le mansioni, i requisiti e le abilità richieste per chi deve accedere a questo mestiere. Mancando ancora in Italia una radicata coscienza della nostra autonomia e fisionomia lavorativa non può che interessarci il profilo risultante da questo come dagli altri contributi del volume: fare il bibliotecario - termine unico che riassume però una vasta e talvolta imprevedibile gamma di sfumature professionali - vuol dire nei paesi anglosassoni confrontarsi con agenzie lavorative specializzate, con "padroni" dalle molteplici esigenze, con sponsor i cui interessi marcano fortemente, di volta in volta, le caratteristiche dell'attività biblioteconomica o catalografica. Niente a che vedere con l'immagine ancora assai statica - diremmo meglio, burocratica - che si ha da noi, e che inevitabilmente finisce per condizionare anche la forma mentis di chi questo mestiere deve praticarlo nella quotidianità.

Flavia Cancedda
Biblioteca di area giuridica, Università "Tor Vergata", Roma