RECENSIONI E SEGNALAZIONI

Libri tipografi biblioteche: ricerche storiche dedicate a Luigi Balsamo, a cura dell'Istituto di biblioteconomia e paleografia, Università degli studi, Parma.  Firenze: Olschki, 1997.  2 v. (XVIII, 700 p.).  (Biblioteca di bibliografia italiana; 148).  ISBN 88-222-4504-0.  L. 160.000.

Non esclusiva, ma certo caratteristica delle discipline umanistiche è la nobile tradizione delle Festschriften: le raccolte di scritti che amici e colleghi dedicano, di solito in occasione di qualche ricorrenza, a un illustre studioso. Non frequenti come nel campo letterario o storico, esse sono però ben presenti anche nel campo degli studî su libro e dintorni (anche qui in Italia, dove un tempo erano piuttosto rare). Questa segnalata in epigrafe è dedicata a Luigi Balsamo, un maestro per chiunque si dedichi a questi studî.

Di Balsamo mi piace ricordare qui alcuni caratteri che rendono singolare la sua figura. Dal punto di vista professionale, se è indubbio che, specialmente negli ultimi trent'anni, la sua attività si sia concentrata sugli studî bibliografici e di storia del libro, non si può dimenticare che questi non hanno mai monopolizzato la sua mente. Balsamo ha cominciato il suo lavoro, almeno quello che interessa qui, nelle biblioteche: come soprintendente (e direttore dell'Universitaria di Cagliari) in Sardegna, poi in Emilia-Romagna; e anche quando le ha abbandonate in favore dell'insegnamento accademico, non ha mai dimenticato questo suo inizio. Non mi riferisco soltanto a un suo libro noto (La lettura pubblica in Sardegna, 1964, n. 22 della bibliografia), ma a una lunga serie d'interventi, scritti e orali, che testimoniano la sua ininterrotta riflessione, la sua ininterrotta capacità di proposta anche sul piano della politica bibliotecaria, delle soluzioni ai problemi tecnici e pratici delle biblioteche (che, si sa, sono spesso lontani dallo studio); e, che non guasta, anche della sua combattività su questi temi. Farò solo tre esempî, tra quelli che Balsamo ha consegnato alla pagina: Compiti e servizi fondamentali della biblioteca pubblica, del 1965, n. 28 della bibliografia, per la riflessione; Ipotesi per l'intervento della Regione, del 1979, n. 102 della bibliografia, per la politica bibliotecaria; Funzione e utilizzazioni del censimento dei beni librari, del 1989, n. 171 della bibliografia, per un problema tecnico che investe il lavoro quotidiano dei bibliotecarî, anche se non è loro esclusivo. E voglio ricordare anche l'interesse di Balsamo per le nuove tecnologie: è lui la prima persona che ho sentito parlare (a Reggio Emilia, 1985) di CD-ROM e altre diavolerie.

Questa larghezza d'interessi rende parziali, per lui, etichette come bibliografo e bibliologo: Balsamo è un uomo del libro, un uomo della biblioteca. Si scorrano, nell'accuratissima bibliografia già più volte citata (compilata da Arnaldo Ganda), i minuziosi spogli dei suoi interventi di recensione e segnalazione nella «Bibliofilia»: se ne ricava un panorama impressionante, la sensazione che, per tutto ciò che riguarda libro e biblioteca, per Balsamo non vi sia nulla d'ignoto. Ho usato sopra il termine, vecchio ma oggi così raramente applicabile, di maestro: lo ripeto qui, perché non ne trovo altri che dicano tutto in una sola parola.

Naturale, quindi, che la miscellanea prodotta in suo onore abbia radunato una ricca serie di contributi (trentuno saggi, più altro materiale di cui dirò). E qui cominciano le difficoltà per chi voglia darne compiuta notizia. Nonostante la relativa estensione e la compattezza dell'insieme, troppe e non in possesso del recensore sono le specializzazioni occorrenti a un esame puntuale. Darò solo pochi cenni intorno alla maggioranza dei contributi, spendendo parole in più (per una ragione o per l'altra) solo per alcuni di essi.

Si può tentare di costituire qualche raggruppamento. Uno dei gruppi più numerosi è quello degli scritti che illustrano un personaggio (o un gruppo di personaggi) nel loro riferimento al mondo del libro. Qui troviamo anzitutto Dennis E. Rhodes (autore anche della bella Presentazione, ricca di humour; seguita da un'altra specie di presentazione, Quel professore che racconta il libro, di Arturo Carlo O. Quintavalle) con Alessandro Ruinagia da Piacenza (1472-1556): vita e opere (p. 67-74). Ruinagia era un umanista piacentino, figlio d'arte, e ben poco conosciuto; Rhodes ne rintraccia un manoscritto e otto edizioni. Jeanne Veyrin-Forrer (Provenances italiennes dans la bibliothèque de François Rasse Des Neux, p. 385-398) ricostruisce il ricostruibile, mediante gli ex libris, delle edizioni italiane appartenute alla biblioteca del chirurgo parigino (28 numeri), che non solo acquistava libri, ma trascriveva in bei caratteri (come vediamo nella tavola fuori testo) i testi più varî, da riempirne sei grandi volumi: parecchi dei testi trascritti sono italiani. Rosaria Campioni, con Una 'fatica improba': la bibliografia delle opere di Giulio Cesare Croce (p. 399-420, con 6 tavole fuori testo), ritorna su una materia che ha già, sotto molti aspetti, accuratamente visitato, mettendo in luce l'interazione «tra ricerca bibliografica, investigazione storica, indagine filologica e analisi letteraria»; e alle sue ricerche precedenti aggiunge un nuovo prezioso contributo, il catalogo degli opuscoli croceschi posseduti da Giosue Carducci (20 rarità collezionate dal grande letterato, conservate a Bologna nella biblioteca di Casa Carducci). La miscellanea Il genio vagante, quattro volumetti pubblicati dal conte Valerio Zani, sotto il nome di conte Aurelio degli Anzi, è riesumata da Luisa Avellini: Un emulo bolognese del Ramusio: Valerio Zani curatore del "Genio vagante" (1691-1693) (p. 421-440). Non a un personaggio, ma a una folla, è dedicato lo studio di Ugo Rozzo, 'Furor bibliographicus' ovvero la bibliomania (p. 441-461): la folla dei bibliomani. Gente stravagante, figure insieme affascinanti e stolide popolano le pagine di Rozzo, che ripercorre la storia del vocabolo (bibliomania, fr. bibliomanie, ma anche bibliomane) coi relativi esiti lessicografici. L'autore espone qui una versione sintetica dei suoi studî sull'argomento e si ripromette di tornare più largamente, in futuro, sul tema. Alfredo Serrai traccia invece il ritratto d'un bibliografo non privo di abilità disciplinare ma psicologicamente devastato (La chasse aux bibliographes: perizia e paranoia nell'Abbé Rive, p. 463-472). Serrai, parlando dei giudizî, riccamente esemplificati, dell'abbé (su Guillaume de Bure e tanti altri; talvolta divertenti nel loro folle estremismo) ne diagnostica l'origine paranoica; e d'altra parte provvede, con due lunghe citazioni dai testi di Rive, a mostrarci le non infime qualità della sua riflessione bibliologica. Un gruppetto di fans di Aldo, tra fine Settecento e primo Ottocento, è l'argomento d'una ricerca di Martin Lowry (An Aldine network in revolutionary Europe, p. 473-491): George John, secondo Earl Spencer, Samuel Butler (nonno del più celebre omonimo autore di Erewhon e The way of all flesh) e i due russi d'adozione Andreas Merian e Pëtr K. Sukhtelen (o Suchtelen); sullo sfondo altri studiosi-collezionisti, come Renouard e Dibdin. Tutti, in qualche modo, in competizione tra loro nella raccolta di edizioni aldine. Dovremo ascriverli alla folla dei bibliomani di Rozzo o al più nobile gruppo dei bibliofili? Lowry trova inspiegabile, per esempio, l'ardore che l'Earl metteva - con l'investimento di somme ingenti - nel formare la sua collezione. Ma forse impenetrabile è qualsiasi passione, meschina o magnanima, se a darcene conto non è il suo titolare o un suo facente funzione (posto poi che l'uno o l'altro siano poeti o artisti). E tutti gli episodî rievocati da Lowry sono importanti per conoscere la storia del mito di Aldo. Un contributo alla storia della bibliografia, o del concetto di bibliografia, è di D.W. Krummel, Archer Taylor's three epochs of bibliography (p. 493-504). Krummel vi rilegge la partizione che della storia della bibliografia dette nel 1951 Archer Taylor (del quale l'autore traccia un curioso ritratto): tre epoche in cui, successivamente, il centro d'interesse dei bibliografi sarebbe stato 1) il nome dell'autore, 2) il titolo o soggetto dell'opera e infine 3) le circostanze della pubblicazione. Krummel fa elegantemente del suo meglio per scandagliare il significato di quest'affermazione e darle un senso compiuto (ma mi sembra che il testo di Taylor opponga una bella resistenza).

Numerosi i saggi che toccano questioni di bibliografia testuale e filologia. Di Aldo si parla anche nel contributo di Edoardo Barbieri (La Frotola nova già attribuita ai torchi di Aldo Manuzio, p. 75-104, con due facsimili), ma per la sua assenza, vale a dire per ribadire l'esclusione dal suo canone della pubblicazione in esame. Dopo un'analisi linguistica, Barbieri dà una trascrizione della Frotola (pur senza voler produrre «un testo critico, del quale non si sente, a dire il vero, né l'urgenza né la necessità») articolata nei suoi varî componimenti, di cui fornisce anche interpretazione e commento. Neil Harris (Filologia e bibliologia a confronto nell'Orlando furioso del 1532, p. 105-122, con tre riproduzioni) stringe i nodi che legano filologia e bibliologia partendo da due loro grandi esiti: il testo critico del Furioso curato da Santorre Debenedetti (1928; ma esso rivive nell'edizione del 1960 di Cesare Segre, lievemente ritoccata nel 1964) e la «gigantesca descrizione dell''esemplare ideale' del Furioso del 1532» dovuta a Conor Fahy (1989). Il testo ariostesco è un ottimo terreno di prova per la soluzione dei problemi, di metodo e puntuali, che sorgono quando l'autore interviene direttamente in tipografia, durante la tiratura (l'altro caso celebre, per restare in ambito italiano, è quello dei Promessi sposi). Che «qualche critico» sia stato indotto «a trascurare il vero significato del contributo bibliografico, proprio sul piano ecdotico» per il fatto che è lo stesso Fahy a dichiarare che le sue ricerche non muteranno il testo critico divenuto canonico (appunto, Debenedetti-Segre), serve solo a misurare la miopia di qualche studioso. Harris procede con grande eleganza nelle sue dimostrazioni, che è impossibile qui seguire per intero. L'eccelso risultato di Debenedetti è dovuto alla sua splendida competenza filologica e linguistica; la conoscenza approfondita dei processi di stampa l'avrebbe indotto a riconoscere che «Il nocciolo del problema testuale sta nel percepire una verità più profonda [rispetto al reperimento del cancellans o alla scoperta delle varianti di tiratura], vale a dire il peso della scelta dell'Ariosto di servirsi in prima persona dell'ars artificialiter scribendi per assemblare in tipografia la versione definitiva del capolavoro»: un «artefatto irrevocabilmente gutenberghiano». Delle edizioni cinquecentesche delle Rime contro l'Aretino e la Priapea di Nicolò Franco le prime due sono, almeno finora, da considerare perdute, e della terza resta un unico esemplare. La straordinaria rarefazione è probabilmente dovuta a ragioni censorie. Roberto L. Bruni (Le tre edizioni cinquecentesche delle Rime contro l'Aretino e la Priapea di Nicolò Franco, p. 123-143) ricostruisce la struttura delle edizioni scomparse sul fondamento delle copie manoscritte a lui note, delineando poi efficacemente la natura dei rapporti tra Franco e Aretino e la natura non solo personale dell'odio del primo, che vedeva nel secondo uno della cerchia dei potenti, servi del vizio e non della virtù. Un recupero quattrocentesco: La vita di Pietro Avogadro bresciano di Antonio Cornazzano e il lavoro di un editore del Cinquecento è il titolo del contributo di Diego Zancani (p. 145-167). Si tratta di un malnoto poemetto in terzine dantesche, il cui testo è qui convenientemente esposto e illustrato, corredato di un'analisi linguistica ed esplorato nelle sue ragioni. E particolarmente interessante è l'esame dell'edizione della Vita procurata nel 1560 (il poemetto, nella ricostruzione di Zancani, è da ascrivere agli anni 1466-1470) da Remigio Nannini, più conosciuto come Remigio Fiorentino: è un singolare caso - in piena età bembiana - di fedeltà filologica a un dettato "lombardo". Lodi di Bologna in tipografia, di Leonardo Quaquarelli (p. 363-383) è un'ampia rassegna di un genere, l'eulogia municipale, particolarmente vivo a Bologna, specie nel solco del suo archetipo quattrocentesco, De praestantia urbis Bononiae supra civitatem Senarum, di Benedetto Morandi.

Tre contributi sono dedicati a questioni di storia tecnica e terminologia tipografica. Tra questi il saggio di Lotte Hellinga, che è uno dei contributi maggiori di questa miscellanea: Press and text in the first decades of printing (p. 1-23). Una ricerca che dura da più di tre lustri e di cui l'autrice espone ora per la prima volta i risultati (che potranno in seguito sottoporsi a rifinitura). Il tema è la storia delle tecniche d'imposizione nella tipografia quattrocentesca, e in particolare del formato in quarto, dell'introduzione del torchio a due colpi. Tecnica per forme e tecnica dell'ordine seriatim sono analizzate accuratamente dalla Hellinga sul fondamento degl'incunaboli pervenutici (all'incirca fino al 1480); tre appendici tabulari sintetizzano i dati. La conclusione che se ne può trarre riguarda la necessità di estrema cautela nell'accertamento di questo sviluppo tecnologico. Partito da Roma, mostra l'autrice, la sua strada è stata da sud a nord, «precisely in the opposite direction from that had been taken by the introduction of printing by the many German printers in Italy»; ma è necessario tenere presente che tecniche vecchie e nuove sono spesso coesistite, e a lungo, prima della totale affermazione delle seconde. Importanti sembrano anche le considerazioni della Hellinga sulla funzione avuta nel suo lavoro da ISTC e, più in generale, sulla funzione delle basi di dati in lavori come questo («Electronic media introduce into research not only a new methodology but also a new discipline»). Alla storia dell'attrezzatura tipografica sono dedicati i saggi di Pierangelo Bellettini e Conor Fahy. Il primo (Il torchio e i caratteri: l'attrezzatura tipografica a Bologna in età moderna, p. 241-276, con varie illustrazioni) studia e pubblica sei rogiti notarili bolognesi (1615-1693) contenenti descrizioni utili alla ricostruzione di un lessico ancora non conosciuto in maniera soddisfacente. Fahy (La descrizione del torchio tipografico nel Dizionario delle arti e de' mestieri (1768-1778) di Francesco Griselini, p. 277-291) ripubblica una parte del lemma Stampatore in caratteri del dizionario di Griselini, quella relativa al torchio, commentandola e corredandola di una breve rassegna su voci attinenti alla tipografia comparse in opere enciclopediche sette-ottocentesche. È importante notare, sulla scorta di Fahy, che «Purtroppo il lessico italiano della stampa soffre per lo studioso moderno del difetto, comune a quello di altri mestieri, di essere stato registrato tardi. Mentre per il francese si può dire che il lessico della stampa fosse già autorevolmente fissato alla fine del Seicento, per l'italiano esso fa la sua comparsa, un po' timidamente, soltanto un secolo più tardi, nel Dizionario universale critico enciclopedico della lingua italiana di Francesco D'Alberti di Villanuova [...]. Bisogna aspettare altro mezzo secolo, proprio al tramonto del periodo della stampa manuale, per avere, con il Prontuario di Giacinto Carena [1853], un equivalente dei vocabolari tecnici francesi di fine Seicento». È per l'Italia una situazione normale: come già fa capire l'inciso di Fahy, quale mestiere o professione vi gode di una sistemazione migliore? Pensiamo alla biblioteconomia...

Storia e storie di tipografia e di tipografi compaiono in quattro saggi. Mario Infelise (Ex ignoto notus? Note sul tipografo Sarzina e l'Accademia degli Incogniti, p. 207-223) ricostruisce minutamente - anche se l'autore dichiara che altro lavoro resta da fare - le vicende del bresciano Giacomo Sarzina (1585-1641), che finora «non emerge come figura dotata di una propria individualità ed autonomia». Sono vicende assai intricate, nella fitta rete di rapporti, personali e istituzionali, del protagonista: che a loro volta portano alla luce, nel lavoro di Infelise, altre notevoli figure, come quella di Giacomo Scaglia, «un libraio pressoché sconosciuto, che fu tuttavia al centro del commercio librario veneziano degli anni '20». E proprio al termine di un'indagine di questo tipo spicca con singolare forza la conclusione dell'autore: nel corso del secolo «i confini tra un tipografo o libraio ed un altro» si fanno «sempre più labili», per gli accordi interni all'arte e per gl'interventi esterni, che «finiscono con il condizionare significativamente la produzione. Diventa a questo punto spesso futile l'operazione di isolare dal suo contesto la figura di questo o quel libraio, immaginando linee editoriali sulla base di annali artificiosamente costruiti sul principio della constatazione della presenza di un nome su un frontespizio, senza sentire la necessità di allargare lo sguardo al di fuori del piccolo mondo dei librai». Altro notevolissimo sforzo di penetrare il mondo del libro in antico regime è di Alberto Petrucciani, con Storie di ordinaria tipografia: la Stamperia Lerziana di Genova (1745-1752) e Bernardo Tarigo (p. 293-333). Qui la storia è ancora più complessa, perlomeno col suo groviglio di vicende giudiziarie pazientemente riesumate dagli archivî notarili e vivacemente raccontate (quasi una piccola monografia a sé sono le pagine sulle edizioni delle opere di Castruccio Buonamici). E in qualche modo affine a quella di Infelise è la conclusione (ma qui posta in premessa) di Petrucciani: «spesso dicono ben poco, o richiedono comunque un'interpretazione non banale, i frontespizi e il paratesto editoriale, mentre essenziale rimane il confronto con la documentazione collaterale, particolarmente quella notarile, pure anch'essa non sempre di facile interpretazione perché soggetta a una formalizzazione giuridica che può risultare lontana dalla realtà dei fatti, e soprattutto le rare fonti (testimonianze, carteggi, memorialistica, ecc.) che permettono di affacciarci sulla concreta quotidianità dei protagonisti». Anna Giulia Cavagna esamina gli Statuti e ordini dell'Università de librari e stampatori della città di Milano, e la loro revisione del 1734, estesa all'intero ducato (Statuti di librai e stampatori in Lombardia: 1589-1734, p. 225-239). Marino Berengo (Una tipografia veneziana della restaurazione : il Gondoliere, p. 335-354) traccia la storia del Gondoliere, una tipografia che tutti conosciamo di nome, se non altro perché compare sul frontespizio della quarta edizione del Gamba. Ma il saggio di Berengo vale a conoscerne la storia, all'ombra di Antonio Papadopoli, sotto le tre gestioni di Paolo Lampato, Luigi Plet e Giovanni Bernardini: una tipografia esteriormente accurata, di fondamenti filologici perlomeno dubbî (si vedano i rimproveri del grande Giordani), ma fornita, specie nel periodo bernardiniano, di un suo profilo e coraggio culturale.

Tre contributi vertono sulla storia del commercio librario. Two book-lists of Sweynheym and Pannartz, di Martin Davies (p. 25-53) studia due liste manoscritte di prezzi praticati dai prototipografi; William Pettas (The Giunti and the book trade in Lyon, p. 169-192) ridisegna le vicende del commercio librario cinquecentesco a Lione, dominato dalle famiglie italiane dei Giunti e dei de Gabiano; l'attività della bottega di un libraio fiorentino, Piero di Giuliano Morosi, è ricostruita, mediante le registrazioni riguardanti 459 clienti e 3073 operazioni di vendita negli anni 1589-1608, da Paul F. Gehl (Credit sales strategies in the late Cinquecento book trade, p. 193-206).

I rimanenti contributi riluttano a iscriversi in raggruppamenti, siano pure quelli escogitati alla meglio dal recensore. Anche due saggi che potrebbero essere ricondotti a un ambito comune, la biblioteconomia, sono così distanti tra loro da rendere inutile un'etichettatura del genere. Parlo di Collocazione materiale e ordinamento concettuale in biblioteche pre-moderne, di Piero Innocenti (p. 505-532) e Librarians and technological change: opportunities, disaffection and management responsibilities, di S. Michael Malinconico (p. 533-558). Innocenti prosegue la sua ricerca sui cataloghi di biblioteca «fuori di uso», i cui primi risultati pubblici risalgono, salvo errore, al 1984; qui, oltre ai rilevamenti su una decina di tali cataloghi, l'autore espone il criterio generale da lui seguito e uno schema di rilevamento costituente la griglia applicabile al suo lavoro il cui obbiettivo, in fondo, è l'esame di coincidenze, sovrapposizioni e frizioni tra "collocazione" e "ordinamento"; importante anche la definizione del limite cronologico dell'enorme inchiesta in progress, che Innocenti pone all'inizio del secolo scorso. Di fatto, l'unico contributo della raccolta in cui compaia la biblioteca moderna è quello di Malinconico, e con un tema attualissimo: le ripercussioni, l'impatto, delle nuove tecnologie sul personale di biblioteca. Il cosiddetto technostress è qui analizzato, com'è ovvio, soprattutto da un punto di vista sociologico (si veda anche la bibliografia utilizzata dall'autore), e se ne delineano conseguenze e rimedî non dal punto di vista individuale, ma da quello dell'organizzazione e della gestione dell'azienda biblioteca. La chiarezza intellettuale e l'incisività di scrittura, abituali in Malinconico, rendono il saggio un modello, su cui specialmente i bibliotecarî italiani, che spesso ignorano la questione, dovrebbero riflettere a lungo.

Per la storia della legatura l'unica voce è di Franca Petrucci Nardelli (Un legatore viterbese del Quattrocento: per l'identificazione della figura di un artigiano del libro, p. 355-362, con una tavola fuori testo). Si tratta di un maestro Adriano di Nichola di Pisano; ma soprattutto, mi sembra, contano le argomentazioni dell'autrice su come inquadrare nel tempo la figura "istituzionale" del legatore. Infine l'editore della «Bibliofilia», Alessandro Olschki, commenta da par suo, in uno scritto tramato di ricordi ed esperienze personali (Libri, cultura, banche e dintorni, p. 559-574), la situazione, legislativa e di fatto, che si è creata in materia di mecenatismo (in tutte le sue accezioni) e cultura; particolarmente utile il raffronto tra panorama italiano e americano.

Anche da questa modesta esposizione credo non possa non risaltare la ricchezza dei due volumi; ma c'è dell'altro: l'ampio apparato che li conclude. Si tratta dei due utilissimi contributi, rispettivamente di Maurizio Festanti ed Elisa Grignani, Il Corso di perfezionamento in biblioteconomia di Parma (p. 575-581) e Le tesi del Corso di perfezionamento (p. 583-588, con bibliografia delle eventuali comparse a stampa), che fanno il punto sui risultati dell'attività di docente del festeggiato; di una breve (p. 589-590) Nota biografica, non firmata; della Bibliografia degli scritti di Luigi Balsamo, curata da Arnaldo Ganda (p. 591-666), che ho già citato, divisa in Elenco cronologico e Indice analitico: imponente per mole e precisione. Tutto si conclude con l'attento Indice dei nomi, dei manoscritti e dei documenti d'archivio (p. 667-700) dovuto ad Alberto Salarelli.

Luigi Crocetti, Firenze