Libri, letture e biblioteche per il popolo, a cura di Oriana Maroni, Sante Medri e Paolo Temeroli.  «Memoria e ricerca: rivista di storia contemporanea», 4 (1996), n. 7.  Numero monografico.  L. 28.000.


Nell'ossessione e nel mito che l'Ottocento coltivò per l'educazione del popolo come strumento di rigenerazione della società ebbero un posto anche le biblioteche popolari. Il dossier monografico che la rivista romagnola «Memoria e ricerca» ha dedicato nel giugno 1996 a Libri, letture e biblioteche per il popolo si occupa appunto di indagare alcuni aspetti del modo in cui la biblioteca si trovò coinvolta nel più generale sforzo di acculturazione delle classi popolari a cui partecipavano asili d'infanzia, scuole tecniche e serali e la miriade di iniziative promosse dalle società d'istruzione sparse nella penisola nella seconda metà dell'Ottocento.

La prospettiva dalla quale muovono gli interventi può essere sintetizzata nell'augurio che chiude il saggio introduttivo di Patrizia Dogliani (La democratizzazione della lettura: le biblioteche pubbliche nel mondo occidentale): «che questo contributo possa ridurre di qualche misura la distanza che ancora separa storici accademici e storici bibliotecari». Si segnala infatti nella raccolta un taglio propriamente storico, che rinuncia al troppo immediato collegamento del passato con il presente a cui spesso ricorrono i bibliotecari che fanno la storia della loro istituzione.

Il saggio della Dogliani si spinge fino alla seconda guerra mondiale con una rassegna dei diversi modelli di biblioteca pubblica visti nell'ottica della funzione che ebbero nello stimolare la crescita democratica oltre che l'istruzione. I successivi contributi affrontano invece un arco cronologico più circoscritto, compreso fra la seconda metà del secolo scorso e i primi di questo. Un'epoca che la storiografia sulle biblioteche popolari italiane, come nota Romano Vecchiet nel secondo saggio della raccolta (Le biblioteche popolari in Italia: le esperienze e il dibattito nel secondo Ottocento), ha lasciato singolarmente in ombra. Fra le prime biblioteche popolari fondate da Antonio Bruni nel primo decennio postunitario e le esperienze di Ettore Fabietti ai primi del Novecento non mancano invece autori che hanno tenuto vivo il dibattito su questo argomento. Si trattò quasi soltanto di teorizzazioni, ma il loro interesse risiede proprio nell'immagine ideale che restituiscono della biblioteca. Gli autori studiati da Vecchiet focalizzano bene l'importanza della lettura per i ceti popolari, per esempio, ma è significativo registrarne la confusione a proposito di strutture e figure professionali deputate a diffonderla. La biblioteca vi appare come un'appendice volontaristica e precaria della scuola, il bibliotecario come un educatore attento più a sorvegliare e moralizzare le letture dei suoi utenti che a moltiplicarle.

Abbandona l'ambito strettamente bibliotecario il saggio di Loretta De Franceschi, Istruzione, libri, biblioteche nella lettura del self-help, ma il passo è corto poiché proprio quella letteratura era ampiamente presente nei cataloghi delle biblioteche popolari. Importata dall'Inghilterra, la letteratura del self-help è tutta rappresentata nelle opere del suo capostipite Samuel Smiles che esalta il potere della forza di volontà e lo spirito d'iniziativa. Intimamente laico, il messaggio di Smiles viene tradotto in Italia immergendolo nell'etica religiosa e del sacrificio. Non solo da autori come Cesare Cantù, vicini alla cultura cattolica, ma anche da chi ne aveva colto gli aspetti più emancipatori come Michele Lessona o Gustavo Strafforello che tradusse con «Chi si aiuta Dio l'aiuta» il self-help smilesiano. Il saggio affronta analiticamente gli abbondanti riferimenti sparsi nella letteratura "self-helpista", tradotta e soprattutto scritta da autori italiani, ai temi dell'istruzione, dei libri e delle biblioteche. Estremamente familiare per chi si occupa di educazione popolare nel secolo scorso la sottolineatura dell'educazione contro la semplice istruzione, ovvero dei rischi di un sapere non opportunamente indirizzato, presente anche nella matrice inglese della letteratura ma certamente esaltata nella sua versione italiana. Più originali invece le indicazioni sulla produzione editoriale ispirata al self-helpismo, poiché i volumi in traduzione e originali che hanno fatto parte di questa tendenza formarono il nucleo delle prime collane popolari di divulgazione scientifica e manualistica. Quanto infine alle biblioteche, esse hanno uno spazio di rilievo nella letteratura self-helpista, che corrisponde a quello conquistato dalla public library anglosassone e che non ha riscontro nella minore diffusione e soprattutto accessibilità al largo pubblico delle biblioteche italiane dell'epoca.

La raccolta si chiude con due saggi su esperienze locali, estremamente generosi nelle indicazioni bibliografiche in nota, in alcuni casi preziose nel segnalare studi recenti e fonti a stampa difficilmente reperibili altrove. In Il binomio imperfetto: biblioteche per il popolo e lettori in Romagna tra Otto e Novecento, Oriana Maroni si occupa di un'area nella quale le biblioteche popolari ebbero una forte impronta laica e democratica, in particolare quelle promosse dall'associazionismo operaio. Di grande interesse è la ricognizione nei singoli cataloghi delle biblioteche e in qualche caso nei dati statistici disponibili. Sono fonti, come segnala la stessa autrice, dalle quali appare con chiarezza il progetto pedagogico che ispirava i fondatori ma non i reali desideri di un pubblico che talvolta si cercava di blandire con l'acquisto di letteratura romantica, soprattutto francese, allo scopo di attirarlo e farlo partecipe della divulgazione positivista, della memoria risorgimentale e soprattutto delle opere morali e pedagogiche che altri volevano invece uniche presenti nelle raccolte stesse.

Marina Baruzzi infine (Libri per un pubblico femminile: la Biblioteca storica Ponti tra modello ravennate e "traduzione" imolese) studia le due biblioteche fondate a Ravenna e Imola da Maria Pasolini Ponti. Biblioteche pensate per un pubblico femminile alla luce di un'esigenza tipica del secolo scorso e affine a quella dell'educazione del popolo, l'educazione cioè della donna. Per la donna si ponevano infatti gli stessi riguardi necessari per il popolo. Istruire sì, perché le mutate condizioni della vita moderna lo imponevano almeno agli occhi della classe dirigente più illuminata, ma soprattutto dirigere, orientare, mettere a frutto la necessaria formazione in vista di un preciso ordine sociale implicito nella strategia pedagogica. Il saggio di Marina Baruzzi indaga dettagliatamente, attraverso le vicende delle biblioteche di Ravenna (1897) e di Imola (1900), la vasta attività organizzatrice di Maria Pasolini Ponti delineandone il progetto pedagogico oltre che le concezioni biblioteconomiche piuttosto avanzate per l'epoca.

All'interessante raccolta di saggi si affianca in questo numero della rivista una densa discussione sulla storia dell'editoria a cura di Gianfranco Tortorelli a cui partecipano giovani studiosi italiani e che muove dall'effetto vivificatore introdotto negli studi sulla circolazione libraria e sulla storia della lettura dai recenti lavori di Robert Darnton e Roger Chartier, la cui influenza è ben visibile anche nei saggi del dossier monografico.

Fabio Bazzoli, Biblioteca comunale di Travagliato