Paolo Traniello. La biblioteca pubblica: storia di un istituto nell'Europa contemporanea. Bologna: Il mulino, 1997. 388 p. (Saggi; 464). ISBN 88-15-06010-3. L. 42.000.


È difficile sopravvalutare l'importanza di questo libro, attraverso il quale la storia contemporanea delle biblioteche e la teoria della biblioteca pubblica trovano finalmente posto, in una prestigiosa collocazione editoriale, fra i grandi temi della ricerca storica e della riflessione politica e sociale. La biblioteca pubblica esce dalla cerchia ristretta e un po' ripiegata su se stessa degli addetti ai lavori e viene finalmente inquadrata tra le istituzioni più significative e problematiche della realtà contemporanea, con il compito di "allargare le basi della partecipazione culturale alla vita di una società e di una nazione".

Giustamente, proprio al principio, Traniello ricorda che nei documenti e nei dibattiti internazionali il riferimento alla biblioteca pubblica è pacifico, scontato: "un servizio bibliotecario che interessa un determinato territorio, posto a carico della finanza locale con eventuali sussidi statali o regionali, rivolto alla generalità dei cittadini, collegato sul piano territoriale ad altri servizi analoghi nell'ambito di reti coordinate, capace di fornire servizi informativi anche mediante strumenti diversi dal libro e tecnologicamente avanzati, attento alle esigenze della propria utenza, sia per quanto riguarda i singoli che i gruppi, e volto ad estendere i propri servizi verso un'utenza potenziale".

Ma pacifico e scontato, almeno in Italia, questo riferimento non è. Non lo era quarant'anni fa, come ci ha ricordato Crocetti con il significativo aneddoto sulla traduzione del termine agli albori della Bibliografia nazionale italiana, e non lo è ancora, a quasi mezzo secolo dal primo Manifesto dell'Unesco, se pensiamo, per esempio, che gli istituti denominati "Biblioteca pubblica" si contano probabilmente sulle dita di una sola mano. La ricostruzione storica evidenzia equivoci non risolti di carattere non meramente teorico (e men che meno terminologico), ma radicati in un concreto quadro sociale e istituzionale.

L'indagine storica è finalizzata, più che a una narrazione sistematica, al cercare risposta - che è appunto il lavoro dello storico - alle domande che il presente rivolge al passato. Punto di partenza, nel capitolo iniziale, è la Rivoluzione francese: sicuramente il primo esempio di politica bibliotecaria, sorretto dalla decisa affermazione dell'appartenenza delle biblioteche alla sfera pubblica, come "beni nazionali", e affiancato da un dibattito molto avanzato dal punto di vista biblioteconomico, ma a cui fa riscontro una sostanziale incapacità di realizzazione. Traniello addebita questa incapacità alla maniera nella quale il problema delle biblioteche viene allora posto: come "appropriazione dei beni librari da parte della nazione", invece che come "istituzione di un servizio bibliotecario rivolto a un pubblico, che sarà, alla metà del secolo successivo, conquista più propria del mondo anglosassone".

Questa chiave interpretativa fa già capire come, nel capitolo successivo, Traniello darà risposta a quello che mi sembra l'interrogativo più interessante per tutti noi: come e perché il nostro paese si sia trovato prima a creare e poi a imbalsamare quello che Pagetti chiamò "il servizio bibliotecario più scassato d'Europa".

L'Italia, storicamente non certo povera di biblioteche erudite e spesso aperte - per munificenza o filantropia - all'uso pubblico, non è riuscita in oltre un secolo di storia unitaria ad affrontare i due problemi che venivano lucidamente individuati già al momento dell'edificazione del nuovo Stato: lo sviluppo di una o più grandi biblioteche di ricerca, in grado di stare al pari delle loro consorelle europee, e quello di un efficace servizio di biblioteca pubblica sul territorio. Due facce, come mostra Traniello, della stessa medaglia. Anche in questo caso, come in quello britannico studiato più avanti, l'autore cerca le risposte guardando al concreto quadro politico, giuridico, amministrativo e finanziario piuttosto che al dibattito ideologico. Le risposte stanno in quello che definirei un connubio davvero osceno fra centralismo burocratico e clientelismo diffuso: lo Stato centrale concentra nelle sue mani decine di biblioteche (le cosiddette "biblioteche pubbliche statali") prive di funzioni determinate e dei corrispondenti finanziamenti (si arrivò persino a pensare di addossarne in parte le spese ai Comuni in cui avevano sede); le autonomie locali, deboli sotto il profilo istituzionale e debolissime sotto quello finanziario, si fregiano di pallide imitazioni di biblioteche erudite o perfino elemosinano ulteriori insediamenti statali (e relative roboanti denominazioni di "biblioteca nazionale") apportatori di rivoli di finanziamento, di occupazione e di "prestigio".

Non ne esce bene, va detto, nemmeno la biblioteconomia italiana, segnata "fino ai nostri giorni" da una "sostanziale indifferenza per i problemi istituzionali", non marginali ma centrali se la biblioteca viene riconosciuta per quello che è, una istituzione sociale e non una mera "macchina" composta da meccanismi con cui baloccarsi, in perfetta continuità con la storica miopia dell'intellettualità italiana (di cui può essere simbolo l'opposizione di Fumagalli, allora direttore della Braidense, alla fondazione di una biblioteca pubblica a Milano). L'affermazione che "la biblioteconomia moderna è una scienza sociale", ricorda Traniello, è da oltre trent'anni "del tutto scontata in quei paesi che hanno conosciuto un effettivo sviluppo dell'istituto della biblioteca pubblica in senso contemporaneo", ma non in Italia.

Il capitolo successivo è dedicato alle biblioteche popolari, nel nostro paese e nel resto d'Europa. "Il movimento per le biblioteche popolari, nato sul terreno delle iniziative volontarie a carattere filantropico di singoli e di associazioni, ha progressivamente acquisito nel corso del secolo - conclude l'autore - la coscienza della necessità di inserire questo tipo di istituto tra i servizi di pertinenza degli enti locali, dotandolo così a pieno titolo di un carattere pubblico. Ciò tuttavia richiedeva preliminarmente l'esistenza contemporanea di due condizioni, l'una di carattere politico amministrativo, l'altra storico culturale. La prima [...] consisteva nell'esistenza di un sistema di autonomie locali sufficientemente forte [...]. La seconda [...] stava nella possibilità da parte degli enti locali [...] di concentrare i propri sforzi nella creazione di servizi bibliotecari sostanzialmente nuovi, indirizzati nel senso dell'offerta di strumenti di comunicazione e di informazione attuali, superando la necessità di dovere provvedere principalmente, se non esclusivamente, ad istituti caratterizzati come strumenti di conservazione di "beni" [...]. Là dove queste due condizioni erano entrambe realmente presenti [...] la biblioteca popolare ha potuto effettivamente svilupparsi nella direzione della biblioteca pubblica contemporanea; dove era realizzata la prima condizione, ma non la seconda, come in Germania, tali sviluppi sono stati assai più difficili e contraddittori; in quei paesi, infine, in cui nessuna delle due condizioni sussisteva, come in Francia e in Italia, l'organizzazione dei servizi bibliotecari è restata caratterizzata da un profondo dualismo e gli apporti della biblioteca popolare sono restati sostanzialmente sterili".

I due capitoli seguenti, dedicati a La nascita della "public library" in Gran Bretagna e a L'affermazione del modello anglosassone, offrono una ricostruzione originale e riccamente documentata (ma andranno corretti i piccoli lapsus relativi a Guglielmo Libri e Andrew Carnegie). Le conclusioni del primo, che riconosce nella biblioteca pubblica moderna non genericamente un "istituto della democrazia", bensì "un istituto dell'autonomia locale, che trova nel sistema del self-government britannico il proprio fondamento", erano già state anticipate dall'autore in un recente contributo su queste stesse pagine (Un istituto dell'autonomia locale: la biblioteca pubblica contemporanea nella sua genesi storica, "Bollettino AIB", 36, 1996, n. 3, p. 275-289).

Nel penultimo capitolo, L'attuale quadro istituzionale, l'autore propone una sintesi aggiornata della situazione delle biblioteche pubbliche in Europa, riprendendo in parte le ricerche raccolte in Biblioteche pubbliche: il quadro istituzionale europeo (Roma: Sinnos, 1993, recensito sul n. 4/1994 del "Bollettino AIB" da Giovanni Solimine). Non mancano anche qui spunti utili, soprattutto per gli interventi legislativi e amministrativi che sentiamo come sempre più urgenti: per esempio, la soluzione spagnola dell'anomalia di "biblioteche pubbliche statali", risolta con accordi di programma che ne hanno trasferito la gestione alle Comunità autonome mantenendo allo Stato la proprietà degli edifici e dei fondi storici oltre a funzioni di vigilanza.

L'ultimo capitolo, Tra passato e futuro, oltre a ripercorrere il significato storico e sociale che la ricerca ha restituito alla biblioteca pubblica negli ultimi due secoli, si interroga - ricollegandosi quindi all'introduzione - sul futuro di questa istituzione nell'epoca della "biblioteca virtuale" e del "mercato dell'informazione". Entrambe queste svolte non vanno sottovalutate, proprio dal punto di vista della biblioteca pubblica come istituzione sociale e non come semplice macchina organizzatrice di documenti e di informazioni.

In primo luogo, della biblioteca pubblica è costitutiva la sua presenza fisica nella comunità, con un'adeguata ubicazione e disponibilità di locali, e quindi come luogo di effettiva aggregazione sociale e di incontro libero - ma in pubblico, non in privato - con il patrimonio informativo ed espressivo di una società. La "struttura spaziale della biblioteca [...] garantisce e facilita la maturazione di una coscienza di appartenenza sociale e comunitaria da parte del lettore" e "determina la percezione di una disposizione favorevole da parte della comunità stessa verso tali attività", cosa particolarmente importante per l'utenza giovanile, "sensibile a questa ratifica sociale ed ambientale dell'interesse personale per la lettura".

In secondo luogo, lo sviluppo del mercato dell'informazione chiama in causa la biblioteca pubblica per la difficoltà di distinguere ciò che rientra nella sua funzione informativa generale da "quanto invece attiene a un uso dell'informazione capace di determinare benefici economici di carattere individuale" e a cui corrispondono costi e prezzi determinati appunto da una logica di mercato. "Pensare a una sorta di concorrenza sul piano produttivo e commerciale tra la biblioteca pubblica e i grandi networks dell'informazione sembra francamente illusorio". Nell'ultimo paragrafo, intitolato in maniera un po' provocatoria Un rifugio dall'informazione?, Traniello sottolinea "i rischi che una concentrazione delle risorse informative in un sistema globale dominato dal mercato può comportare non solo per la libertà dell'informazione, ma per la stessa sopravvivenza di ambiti e strutture comunicative particolari che non intendano inserirsi in quel sistema". Piuttosto che a un acritico e velleitario tentativo di inserimento nel mercato dell'informazione, le biblioteche pubbliche dovrebbero puntare a "contribuire a un controllo critico degli sviluppi della società contemporanea", a partire dal problema centrale dell'"esercizio della libertà individuale nella scelta degli strumenti del comunicare". Se l'autore enfatizza soprattutto il ruolo della lettura come esperienza comunicativa (ma anche dell'informazione di comunità, dell'offerta di opportunità formative per tutto l'arco della vita, delle espressioni di diversità culturale che sfuggono al mercato), al recensore pare che non meno importante a questo scopo sia la possibilità di accesso - collettiva, organizzata e soprattutto unitaria - a un ventaglio di mezzi di comunicazione e informazione, generali e specializzati, locali e "globali", di mercato e non, proprio a contrastare la logica di settorializzazione ed esclusione che può essere premiata a breve dal mercato ma si traduce in impoverimento culturale e rigidità sociale.

"Solo una biblioteca sufficientemente dotata ed adeguatamente attrezzata - conclude l'autore - può aspirare a costituire un'occasione di scoperta di novità significative [...] nel campo della lettura, di fruizione di spazi di socializzazione degli interessi culturali, di riconoscimento e di confronto delle identità culturali. Altrimenti la biblioteca finirà inevitabilmente per riproporre comportamenti ripetitivi, spesso condizionati dall'istituzione scolastica; si presenterà come uno spazio costrittivo per un apprendimento obbligato [...]. La capacità della biblioteca pubblica di partecipare effettivamente ai processi di mutamento culturale in atto nella società di oggi con un proprio avvertibile contributo dipende, in altre parole, dalla serietà dell'impegno con cui gli enti e le comunità interessate sapranno sostenere, sul piano dei concreti investimenti di effettive risorse, questo particolare istituto".

Attraverso questo libro, Paolo Traniello ha dato fondamenta solide e mature non solo alla storia contemporanea delle biblioteche o alla ricerca d'identità della biblioteconomia italiana, ma soprattutto a chi vorrà affrontare senza improvvisazioni né ipoteche il problema di dare anche al nostro paese un servizio bibliotecario coerente nella sua organizzazione biblioteconomica ed efficace nella sua funzione sociale.

Alberto Petrucciani, Università di Pisa