Renato Pagetti e il rinnovamento
dell'Associazione italiana biblioteche
di Giorgio De Gregori

I rapporti di Renato Pagetti con la nostra Associazione furono da principio tiepidi e rari: fu presente al VII Congresso del 1951, il primo del dopoguerra, che, del resto, si svolse in Milano, la sua stessa sede di lavoro, e alla tumultuosa Assemblea straordinaria del 1960 a Chianciano, nella quale non c'è traccia, però, che prendesse posizione nello scontro sulla riforma statutaria.

Sicché il suo riapparire nel 1962 al XIV Congresso era imprevisto: allora era già vicedirettore della Civica di Milano, ma di lui non s'era sentito parlare, e sorprese che si presentasse, come era iscritto all'ordine del giorno di quel congresso, con una relazione su L'ente regione e le biblioteche degli enti locali: considerazioni relative all'art. 117 della Costituzione. Un argomento, questo, che esulava da quelli vieti, fritti e rifritti, dei nostri congressi; che partiva, sì, dalle biblioteche, ma che era, soprattutto, di natura politico-amministrativa; che trattava, in definitiva, della vita e dei diritti della gente.

Lo ascoltammo tutti con attenzione e grande interesse, perché il discorso toccava argomenti vivi, problemi annosi e insoluti delle biblioteche degli enti locali, che in Italia sono tante ed erano allora, quale più, quale meno, salvo rare eccezioni, faticosamente inefficienti: e il discorso era condotto con un linguaggio, piano e semplice, perfettamente intonato all'ambiente, ricco di dati essenziali, ma spoglio di fronzoli, e svolto con consequenzialità a dimostrare quali sarebbero potuti essere i vantaggi dell'ordinamento regionale, di prossima attuazione in Italia, per quelle biblioteche. "Concludo - così finiva la relazione - con la certezza che la Regione, se attuata con quello spirito che ha animato i Costituenti che l'hanno voluta, e cioè come mezzo per attuare una più larga partecipazione del popolo alla vita politica e amministrativa del nostro Paese e come più idoneo strumento per l'organizzazione generale dello Stato, sarà un gran bene: e sono certo che gran bene riceveranno anche le nostre Biblioteche se i bibliotecari - ad ogni livello - non si lasceranno sorprendere, come non si stanno lasciando sorprendere gli interessati agli altri settori, da fatti compiuti e magari irrimediabili" [1, p. 89].

A questo anno, a questo congresso è lecito, perciò, far risalire il vero incontro tra l'Associazione italiana biblioteche e Renato Pagetti, e da questa relazione ebbe inizio la sua collaborazione, fattasi di anno in anno più assidua e intensa. Subito, ovvia conseguenza della relazione, il 10 gennaio 1963 il Consiglio direttivo provvide a costituire una Commissione di studio per l'esame di un nuovo ordinamento delle biblioteche degli enti locali in rapporto al funzionamento delle regioni, della quale furono autorevoli membri Pagetti stesso e Massimo Palmerini, magistrato della Corte costituzionale, esperto in diritto regionale. La Commissione, che aveva lavorato senza sosta in quattro tornate dal 23 marzo 1963 all'11 febbraio 1964, presentò al XV Congresso nel maggio dello stesso anno i risultati del suo operato sotto forma della pubblicazione La biblioteca pubblica in Italia: compiti istituzionali e principi generali di ordinamento e di funzionamento (citato correntemente come "Standards della biblioteca pubblica"), che fu stampata in 5000 esemplari per una larga diffusione specialmente tra gli enti locali, gli organismi più direttamente interessati, e che Pagetti difese strenuamente dalle critiche di alcuni colleghi.

Solo due anni, dal 1962 al 1964, erano stati sufficienti a Pagetti per affermarsi nella stima e nella fiducia dei colleghi, che, rinnovandosi nel XV Congresso le cariche sociali, vollero chiamarlo a maggiori responsabilità eleggendolo membro del Consiglio direttivo. Nel 1965 entrò a far parte di altre due commissioni, la Commissione per la stampa e le relazioni pubbliche e la Commissione per i problemi delle discoteche (dietro sua proposta una discoteca era stata organizzata alla Civica di Milano) e, incaricato dal presidente, abbozzò e perfezionò, portandolo alla firma, un accordo con l'Associazione italiana dei fonografici per la riproduzione dei documenti sonori posseduti dalle biblioteche; al XVI Congresso in Bolzano, inoltre, svolse una relazione su Biblioteche pubbliche e il piano pluriennale della scuola. Nel 1966, oltre a continuare il lavoro nelle varie commissioni nelle quali era inserito, ebbe l'incarico di rappresentare l'AIB alla 65a Assemblea dei bibliotecari svizzeri.

Altro lavoro, particolarmente importante e impegnativo, s'aggiunse per lui nel 1967, quando fu incluso nella Commissione mista archivi-belle arti-biblioteche per lo studio della legge sull'amministrazione dei beni culturali e ambientali. D'altra parte il 1967 fu l'anno del XVII Congresso di Fiuggi, durante il quale l'assemblea dei soci, che dovette provvedere al rinnovo delle cariche sociali, lo elesse di nuovo a membro del Consiglio direttivo dopo aver ascoltato una sua relazione su L'albo professionale per i bibliotecari, dalla quale trasse lo spunto per una considerazione che preannunciava un'altra bufera statutaria sul genere di quella del 1960. Lui, che a questa aveva assistito in silenzio da semplice spettatore, ma che doveva averne rimeditato la portata, diceva: "Le calde giornate di Chianciano, che avevano minacciato la vita stessa dell'Associazione, rimarrebbero un grigio esempio di lotta interna, se non trovassero giustificazione nel desiderio nobilissimo ed allora non a tutti chiaro di trovare sempre autorità di un intervento attraverso una strada più moderna e più responsabile. Chianciano rappresenta insomma una sorta di svolta democratica del nostro sodalizio, la chiusura di un ciclo di lavoro certo operoso, ma svolto all'ombra paternalistica di un autorevole professore, e l'apertura di un nuovo ciclo di lavoro da svolgersi alla luce di precise responsabilità assunte interamente dalla classe bibliotecaria" [2, p. 57].

Queste parole di Pagetti sembravano fatte apposta per alimentare il fermento da cui alcuni bibliotecari erano venuti animati a quel congresso: insofferenti dell'impronta di accademismo e di conformismo dai quali era caratterizzata l'azione dell'AIB ne chiedevano a gran voce un rinnovamento attraverso una radicale riforma statutaria, per cui nella riunione dell'8 luglio, posteriore a quel Congresso, il Consiglio direttivo costituì una Commissione di studio del nuovo statuto e regolamento nella quale fu inserito, naturalmente, Pagetti, che portandovi il peso della sua autorevolezza vi sostenne strenuamente i seguenti principi: finanziamento permanente e sicuro, più congruo, grazie al pagamento di una quota sociale proporzionata al proprio stipendio o alla dotazione dell'istituto e, quindi, continuamente rivalutabile; svolgimento dell'attività scientifica da parte di gruppi di lavoro stabiliti in parallelismo con le sezioni, commissioni e sottocommissioni della FIAB/IFLA; non rieleggibilità alle cariche sociali oltre un secondo triennio, in modo da assicurare il ricambio degli uomini al governo dell'AIB.

Lo schema dello statuto, che conteneva queste tre sostanziali innovazioni, fu inviato a tutte le sezioni per l'esame da parte delle assemblee regionali, i cui risultati dovevano essere presentati per la discussione nell'assemblea generale dei soci che si sarebbe riunita nel Congresso del 1968 in Venezia. Così avvenne e lo schema presentato fu approvato con le modifiche apportate dalla discussione in assemblea ma, purtroppo, perché questa si era svolta alquanto agitatamente ed era stata per ragioni contingenti un po' frettolosa, due articoli erano rimasti in contraddizione tra di loro a impedire la sua immediata entrata in vigore. Sanato facilmente l'inconveniente nella successiva assemblea plenaria dei soci tenuta nel corso del XIX Congresso del 1969 in Porto Conte (Alghero) fu giocoforza, in coincidenza con l'applicazione del nuovo statuto e regolamento, procedere al rinnovo degli organi sociali (anche se non era scaduto il triennio di validità di quelli in carica, eletti nel 1967), di alcuni dei quali, oltre tutto, s'era modificata la composizione. Mi sembra di ricordare che allora fosse la prima volta che a ricoprire quelle cariche alcuni soci si presentarono candidati spontaneamente e non attraverso segreti conciliaboli, designazioni dall'alto, o paternalistici suggerimenti: apertamente e con un definito programma d'azione. Fu anche per questa novità che la cronaca di quelle giornate nel "Bollettino d'informazioni" fu accompagnata da una nota redazionale esaltante la diversa atmosfera che aveva caratterizzato lo svolgersi di quel congresso, nella quale si diceva, tra l'altro: "Questo XIX Congresso della nostra Associazione, a rileggerne la cronaca, a ripensarne alcuni momenti, ci sembra rivestire una particolare importanza. Non tanto per i temi all'ordine del giorno i quali - anche quello dell'automazione nelle biblioteche era stato già trattato nel XVIII Congresso - sono da considerare, per così dire, fritti e rifritti. Ma per un certo clima di maggiore interessamento da parte dei presenti ai problemi discussi, per l'instaurazione da parte di alcuni di un costume di franchezza, di decisione, che se ha guadagnato al servizio sul Congresso fatto dalla rivista "Accademie e biblioteche" un titolo come quello di Da Porto Conte, con poco amore, è sembrato, tuttavia, in armonia con la chiarezza e limpidezza del cielo e del mare di quei giorni e promettente di minor accademismo e di un più costruttivo processo di democratico dibattito" [3, p. 100].

Dall'assemblea di Porto Conte Pagetti uscì eletto col massimo dei voti e poi, dai colleghi eletti con lui, venne acclamato presidente del Consiglio direttivo, quindi dell'AIB. Con la nomina di Pagetti a presidente ebbe inizio un periodo di sei anni (fu riconfermato nella carica anche per il secondo triennio) che - lo si può dire senza dubbio - segna l'apertura di un nuovo corso nella vita dell'AIB.

Contemporaneamente si stava attuando in Italia quell'ordinamento regionale di cui egli, quasi dieci anni prima, prevedendone le possibili benefiche conseguenze, aveva discettato indicando alle biblioteche degli enti locali la via da percorrere per trarne vantaggio. In questa nuova realtà i bibliotecari si sentivano, soprattutto, liberati dalla soggezione ad un'unica autorità legislativa e amministratrice del loro settore di attività: ciò significò, e non è facile spiegarlo, la possibilità di comportarsi diversamente da prima, di agire più indipendentemente da legami che prima si avevano e modificò tutto il modo di lavorare degli organi di governo dell'Associazione. La prima mossa, giudicata urgente dal Consiglio direttivo, fu dedicata a mettere l'ordine in casa: si provvide alla nomina dei responsabili dei gruppi di lavoro, delle commissioni temporanee, cui furono dettati alcuni indirizzi dell'azione da svolgere; fu avviato il nuovo meccanismo per la riscossione delle quote associative in proporzione al proprio stipendio e, insieme, per accrescere le possibilità economiche dell'AIB, fu stabilito per coloro che dovevano recarsi fuori sede un'indennità fissa, uguale per tutti, e il rimborso delle spese di viaggio in seconda classe; nello stesso tempo si volle che i nuovi elementi assunti nei ruoli di prima e seconda categoria delle biblioteche fossero associati gratuitamente all'AIB per un anno e che ai suoi congressi fossero sempre incoraggiati a partecipare, con un contributo finanziario, un rappresentante delle sezioni regionali e uno dei gruppi di lavoro; ai membri del Consiglio il presidente affidò il compito di seguire i diversi settori di attività, a chi quella delle sezioni regionali, a chi quella dei gruppi di lavoro, a chi diede l'incarico di stabilire i contatti con i parlamentari e i politici, a chi, infine, di curare quelli con la stampa e le relazioni pubbliche; tutti i soci furono cooptati perché facessero sapere se avevano occasione di familiarizzare con personalità della politica, dell'amministrazione, della cultura. Con tali espedienti si mirava a coinvolgere nell'attività dell'AIB quanti più soci fosse possibile, ciò che era ritenuto indispensabile presupposto della penetrazione della sua azione nelle stanze dei bottoni: si lavorava con disinteresse, con fiducia, con entusiasmo.

Guardando sempre a questo fine, nell'arco dei sei anni, in questo nuovo clima, furono tentate molte vie, furono fatte tante esperienze: in campo editoriale, per rendere più frequente la circolazione delle notizie, quelle spicciole di vita associativa furono stralciate dal "Bollettino d'informazioni" e affidate ad un suo supplemento, "Notizie ai soci", diffuso in edizione riprografica, e quattro nuove pubblicazioni monografiche furono edite, mentre di altre due (L'automazione in biblioteca di Kimber e la miscellanea Barberi) fu avviata la preparazione; si prese contatto con tutti i partiti politici, con i sindacati, con le associazioni in qualche modo coinvolte nella vita delle biblioteche, come il Formez, Italia nostra, ecc.; col Parlamento, in occasione di un'indagine conoscitiva del Senato sui problemi delle università, se ne discusse insieme e, accolte le vedute dell'AIB in proposito, venne fuori un articolo di legge riguardante la riforma delle biblioteche di ateneo; per la prima volta nella storia dell'AIB, il Consiglio direttivo, in udienza dai ministri della pubblica istruzione, esponeva ad essi i problemi delle biblioteche, come avvenne con i ministri Misasi e Scalfaro, mentre le sezioni regionali, a ciò stimolate dal centro, svolgevano uguale azione con le autorità regionali, che venivano emanando, molto spesso secondo i principi da esse suggeriti, le leggi regionali per le biblioteche. Anche in campo internazionale soffiò aria nuova: le annuali sessioni della FIAB/IFLA, da quella di Mosca del 1970 a quella di Washington del 1974, ebbero tra i partecipanti una delegazione di 20/30 soci: erano i rappresentanti dei gruppi di lavoro che vi partecipavano con l'incarico di riferire sul "Bollettino" al loro ritorno in sede, ciascuno sullo svolgimento delle riunioni cui aveva assistito, e qualcuno di essi, col tempo, fu cooptato a collaborare col settore dell'IFLA a lui più congeniale. Questi più stretti rapporti con la federazione internazionale, che già nel 1964 aveva scelto Roma per l'annuale sessione, la indussero a tenere in Italia due riunioni internazionali: il V Convegno dell'International association of metropolitan libraries (INTAMEL) nel 1972 a Firenze, Milano e Roma, e il Colloquio sulla costruzione delle biblioteche nazionali nel 1973, a Roma.

Ma il settore della vita dell'Associazione nel quale le diversificazioni rispetto al passato furono maggiormente notevoli fu quello dell'organizzazione e svolgimento dei congressi, specialmente per quanto riguarda le tematiche trattate. A una riunione dei gruppi di lavoro e a una presa di contatto tra loro dei soci ad essi aderenti fu dedicata la riunione del maggio 1970, che, seppure indicata come XX, non fu un vero e proprio congresso: a significare che alla cura e allo studio dei gruppi di lavoro sarebbe stata affidata, d'ora in poi, la trattazione di ogni tematica particolare e settoriale. Nell'attuato ordinamento regionale dello Stato e nella riforma universitaria già in programma il Consiglio direttivo vedeva la possibilità di un generale riassetto del sistema bibliotecario italiano, e a questo problema, che avrebbe dovuto trovare nei congressi il momento saliente del dibattito, intendeva dedicarsi esclusivamente, fino alla sua soluzione. "Occorre voltar pagina - diceva Pagetti - impostando programmi di sviluppo e riforma da fare, da rispettare e da far rispettare" [2, p. 229] e, parlando dell'incontro avvenuto in margine al Congresso del 1971 a Perugia con gli assessori regionali alla cultura e dei rapporti che s'andavano stringendo tra le sezioni dell'AIB e le regioni soggiungeva: "questa serie di contatti ci convincevano della nostra capacità di poter uscire dagli interventi settoriali (giustamente mai abbandonati) col mettere allo studio le grandi linee per la politica bibliotecaria in Italia: cosa, come ho detto all'inizio, che mai era stata fatta" [2, p. 199]. Le grandi linee del progetto presentato a quel Congresso, riassunte nell'ordine del giorno approvato dai partecipanti, consistevano nei seguenti punti:
1) passaggio delle biblioteche nazionali nella competenza legislativa ed amministrativa delle regioni, in quanto sorte e sviluppatesi negli Stati preunitari, il cui territorio corrispondeva all'incirca a quello delle regioni stesse. Dette biblioteche avrebbero potuto sostituire, nella regione, le soprintendenze bibliografiche, esercitando compiti di controllo e coordinamento delle biblioteche degli enti locali;
2) passaggio delle biblioteche centrali universitarie dello Stato alle università;
3) riunione sotto una direzione collegiale unica delle due biblioteche nazionali centrali di Firenze e Roma, con ben definiti compiti di carattere nazionale differenziati;
4) riunione alle Nazionali centrali di Firenze e di Roma delle altre biblioteche statali delle rispettive città, con solo poche eccezioni;
5) attribuzione alle amministrazioni regionali, oltre alla gestione delle biblioteche che erano state le nazionali degli Stati preunitari, del compito di organizzare e assicurare a tutti i cittadini la pubblica lettura attraverso il potenziamento delle biblioteche degli enti locali legate in sistemi;
6) affidamento ad appositi uffici dell'amministrazione centrale dello Stato sia del controllo e del coordinamento del sistema bibliotecario italiano, comprendendo in esso le numerose biblioteche dei suoi organismi periferici (ministeri, archivi, belle arti, ecc.), sia della tutela del patrimonio librario di pregio a chiunque appartenente.

L'assemblea, alla quale parteciparono oltre duecento soci, aveva dibattuto animatamente e appassionatamente il progetto e non lieve, anche se appena coperta in ristretti conciliaboli, era stata l'opposizione; il Consiglio direttivo, d'altra parte, che lo aveva affrontato con assoluta convinzione ed entusiasmo, era preparato a questa reazione, perché consapevole di fare un discorso che aveva del rivoluzionario e che si rivolgeva ad un uditorio poco disposto ad accettare la prospettiva del regionalismo legiferante e amministratore sia pure soltanto in sede locale. Un'accoglienza che si poteva giustificare solo attribuendola alla mancanza di esperienza circa la validità dell'azione delle regioni, similmente all'esitazione, alla titubanza che si prova nell'ingestione di un medicamento nuovo; e che si poteva spiegare solo con la preoccupazione avanzata da qualcuno circa l'impossibilità delle strutture esistenti di operare una così complessa trasformazione del sistema bibliotecario. C'era, poi, da considerare che una larga componente dell'AIB era costituita da elementi appartenenti all'amministrazione centrale dello Stato, permeati di burocratico paternalismo. Al sordo e freddo atteggiamento dell'assemblea il Consiglio direttivo cercava di assicurare che, nelle sue vedute, era contemplata una gradualità essenziale alla realizzazione del programma; che quelle erano soltanto le grandi linee da tener sempre presenti come punto d'arrivo di un'azione da svolgere lentamente durante un lunghissimo numero di anni.

Comunque, gli oppositori silenziosi al momento delle votazioni scelsero di ritirarsi sull'Aventino e non vi parteciparono, cosicché l'ordine del giorno fu approvato con 64 voti favorevoli, 14 contrari e con l'astensione di 4 soci [4, p. 107]. Il Consiglio direttivo, che provava una certa delusione perché il suo progetto non era stato accolto con la stessa convinzione con la quale lo aveva formulato, si sentì, però, autorizzato a continuare nello studio di esso: perciò all'ordine del giorno dei congressi posteriori al 1971 furono posti sempre temi riconducibili settorialmente a quell'unico della politica per le biblioteche, fino a quello del 1975, in Alassio, quando, a cura di Alberto Guarino, fu presentata una relazione dal titolo Per una legge di riforma delle biblioteche. Nel 1972 a Maratea s'era trattato di lettura pubblica; nel 1973, a Civitanova Marche, delle biblioteche scolastiche; nel 1974, a Pugnochiuso, il presidente, nel suo discorso inaugurale, comunicando ai congressisti il testo della relazione Principi per lo sviluppo del sistema bibliotecario in Italia presentata alla Conferenza intergovernativa per la pianificazione delle infrastrutture nazionali delle biblioteche, degli archivi e della documentazione indetta a Parigi dall'Unesco, testo concordato preventivamente con il Ministero parimenti invitato a quella conferenza, ritornava personalmente sull'argomento, non nascondendo la soddisfazione di poterlo fare con cognizione di causa avendo pensato già a quella pianificazione tre anni prima dell'Unesco.

Dopo il 1975 non si parlò più di politica per le biblioteche: si batterono altre vie. Pagetti aveva detto: "Una struttura bibliotecaria deve essere organizzata in modo da rispondere a due semplici e tipiche domande dell'utente: dove si trova tale documento, quali sono i documenti su tale argomento?" [2, p. 230]. Il Servizio bibliotecario nazionale, ormai in atto, risponde bene a queste domande, ma se si dovesse un giorno porre mano alla pianificazione delle strutture portanti quel servizio sarà difficile pensare a un progetto molto diverso da quello immaginato nel 1971.

Si intende qui affermare che può essere stato un errore l'interrompere col silenzio il discorso iniziato in quell'anno, invece di continuare a svilupparlo, affinandolo e rettificandolo. Nella lunga catena delle azioni che rappresentano la storia delle umane istituzioni è assai importante saldare le nuove maglie a quelle immediatamente precedenti: come non si sarebbero aspettati molti anni per reimmaginare il periodico "Notizie ai soci" ribattezzato "AIB notizie", arricchito nel contenuto e abbellito nella veste esteriore, o per riscoprire e valorizzare i gruppi di lavoro o di studio, o, ancora, per riprendere il discorso sull'albo professionale per alcun tempo bistrattato e accusato di settarismo e corporativismo, ecc., così non si sarebbe perso tempo nel portare avanti il processo di nazionalizzazione e razionalizzazione, che ancora attendono le strutture bibliotecarie del nostro paese.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

[1] XIV Congresso dell'Associazione italiana biblioteche, Roma-Salerno-Sorrento-Montevergine (Avellino), 25-29 ottobre 1962. Roma: Fratelli Palombi, 1965. Estr. da "Accademie e biblioteche d'Italia", 33 (1965), n. 4/5.

[2] I congressi 1965-1975 dell'Associazione italiana biblioteche, a cura di Diana La Gioia. Roma: AIB, 1977.

[3] [Nota della redazione]. "Bollettino d'informazioni AIB", 9 (1969), n. 3/5, p. 100-105.

[4] Mario Roncetti. Il XXI Congresso dell'Associazione italiana biblioteche (Perugia, 25-30 maggio 1971). "Bollettino d'informazioni AIB", 11 (1971), n. 2/3, p. 100-110.


GIORGIO DE GREGORI, Associazione italiana biblioteche, C.P. 2461, 00100 Roma A-D.
Il contributo riprende la relazione presentata alla tavola rotonda sul tema "Biblioteche pubbliche tra Stato e Regioni: di nuovo attuale il dibattito iniziato nell'AIB al Congresso di Perugia (1971)", che ha aperto la 2a Giornata delle biblioteche lombarde tenutasi a Milano l'11 dicembre 1993.