"La missione del bibliotecario"

Sono ormai molti anni che il nostro paese sembra vacillare sulla soglia di mutamenti e riforme ritenute indispensabili. L'instabilità, l'incertezza politica, la denuncia di comportamenti pubblici illeciti e diffusi, la generale insoddisfazione dei cittadini nei confronti dello Stato, l'inefficienza dei servizi, la distrazione delle classi dirigenti nei confronti della scuola e dell'istruzione, le polemiche sul funzionamento della giustizia hanno riempito per mesi e mesi le pagine dei giornali, mentre si continuava, altresì, a dibattere di nuove regole e di un assetto istituzionale capace di assicurare la governabilità. È lecito attendersi che la coalizione risultata vincitrice a queste ultime elezioni passi in fretta dalle parole ai fatti e mantenga gli impegni presi con gli elettori: la politica deve finalmente dimostrare, anche a livello nazionale, di essere soprattutto buona amministrazione. Spentisi gli echi della campagna elettorale deve ora prevalere il desiderio di governare davvero il paese in questa difficile fase di transizione. È giusto pretendere che l'attenzione ai temi della scuola e della cultura non sia episodica. Viviamo un'epoca di rapidi capovolgimenti di fronti: voci antiche e nuove si rincorrono e quanto appena ieri sembrava di grande attualità appare oggi il retaggio di un modo di pensare superato, mentre, si direbbe incuranti di ogni ostacolo, le nuove tecnologie invadono la nostra vita quotidiana, mutano le nostre abitudini, rivoluzionano il mondo delle comunicazioni di massa e dell'informazione.

Le biblioteche e i bibliotecari non possono, di certo, restare né estranei né indifferenti di fronte a questo intricato groviglio di problemi economici e di preoccupazioni sociali, in un momento in cui la necessità di cambiare e le difficoltà di un reale mutamento sembrano essere due facce della stessa medaglia. Non vi è componente della vita di una biblioteca che non sia fortemente coinvolta in questo moto convulso; al tempo stesso, attraversa le nostre coscienze una sensazione di immobilismo, la paura che tutto debba gattopardescamente mutare per restare uguale.

È, forse, in momenti come questi che occorre fermarsi a riflettere, a ripensare alla propria professione, cercare di riconoscerne i tratti, ripercorrendo magari la strada tracciata da José Ortega y Gasset nel 1935 nel suo scritto La missione del bibliotecario. È davvero raggiunta quella maturità che lo scrittore spagnolo vedeva delinearsi per la nostra professione? Si è radicata quella funzione sociale del bibliotecario che gli consente di non occuparsi più del libro "come cosa, come oggetto materiale", ma "in quanto funzione vivente"? E d'altra parte, nell'ipotesi che questa rilevanza sociale non sia ancora penetrata nella sensibilità comune, quale deve essere l'atteggiamento di chi reclama una piena "visibilità" e un riconoscimento che sia non il punto di arrivo di una mera rivendicazione salariale, ma bensì l'affermarsi di un dato di fatto culturale?

A ben vedere questi interrogativi sono alla base anche della riflessione che l'Associazione sta facendo da tempo sulle riforme statutarie. Sarà il sereno confronto delle opinioni a stabilire quale Associazione vorremo. Rimane il dato di un panorama variegato in cui anche gli adeguamenti normativi più recenti non sembrano in grado di sciogliere i nodi legati all'effettiva funzionalità delle biblioteche, mentre l'obiettivo di un'integrazione dei servizi bibliotecari sul territorio rimane una vaga utopia, a fronte della sostanziale incapacità di dialogo fra enti che, seppure titolari di realtà tipologicamente diverse, dovrebbero concorrere istituzionalmente alla creazione di un sistema armonico al servizio del cittadino.

Non c'è alcuno che possa dubitare che solo nell'espletamento di un ruolo riconosciuto da tutti come socialmente rilevante si possano pienamente ritrovare tutti i caratteri salienti della nostra professione. Ma non si può altresì dubitare che perché questo riconoscimento ci sia, c'è bisogno anche di una maturazione personale, che rimuova quella sensazione di essere "bibliotecari per caso" che spesso sembra riscontrarsi qua e là, fermo restando che una maggiore coscienza professionale non deve basarsi, come ci suggeriva Ortega y Gasset ormai sessanta anni fa, sull'assunto di voler determinare la "missione del bibliotecario" in ragione del singolo che l'esercita, bensì partendo, appunto, dalla necessità sociale a cui la nostra professione risponde. Non c'è, forse, generazione che non abbia vissuto periodi di crisi, non c'è società che non abbia dovuto fare i conti con la sensazione che "l'economia, la tecnica, gli strumenti che l'uomo inventa per rendersi la vita più facile, oggi lo accerchiano e minacciano di strangolarlo" o con la certezza che "tutto quello che l'uomo inventa e crea per facilitarsi la vita, tutto quello che chiamiamo civilizzazione e cultura, ad un certo punto si rivolta contro di lui", ma proprio per questo abbiamo sempre maggiore bisogno di radicare l'"idea della biblioteca" nel codice genetico della nostra convivenza democratica, non come un interesse legittimo che viene finalmente riconosciuto, ma come un diritto naturale irrinunciabile.

È necessario pensare alla nostra professione, dunque, non solo come alla necessità di studiare e di aggiornarsi, acquisendo la conoscenza di nuovi strumenti e arricchendo il proprio bagaglio di esperienze personali, ma anche riflettendo sul nostro ruolo sociale, inteso come un impegno costante, come una possibilità importante e decisiva di incidere sulla realtà, perfettamente consci, con Ortega y Gasset, che "la missione del bibliotecario dovrà essere, non come è stata finora la semplice amministrazione della cosa libro, ma la regolazione, la mise au point di quella funzione vitale che è il libro", o diremmo oggi, che è l'informazione.

Gabriele Mazzitelli