Michael H. Harris - Stan A. Hannah - Pamela C. Harris.  Into the future: the foundation of library and information services in the post-industrial era.  Second edition.  Greenwich (Conn): Ablex, 1998.  XI, 159 p.  (Contemporary studies in information management, policy, and services).  ISBN 1-56750-355-1.  £ 25.

L'approccio scelto dagli autori di questo saggio, che vuole essere una riflessione sullo sviluppo futuro delle biblioteche, è di tipo interdisciplinare. Lo spunto infatti nasce dall'analisi critica del famoso libro pubblicato da Daniel Bell The coming of post-industrial society (New York: Basic Books, 1973), nel quale si prospetta l'avvento della cosiddetta società post-industriale. Secondo gli autori, per comprendere il futuro che ci attende è indispensabile cercare di capire le linee di sviluppo di tutta la società. Questo significa riflettere non solo ed esclusivamente sul modo in cui cambia il lavoro dei bibliotecari, ma soprattutto sul ruolo delle biblioteche e sull'evoluzione del concetto di informazione. Emerge infatti, piuttosto chiaramente, che quella che viene definita da Bell come la società post-industriale è caratterizzata dallo scambio rapido di informazioni per mezzo della IT (information technology) e delle telecomunicazioni. Secondo Bell assisteremo a una vera e propria seconda rivoluzione industriale, non solo in termini di nuova tecnologia utilizzata per la produzione, ma anche di nuova merce prodotta. Questo profondo cambiamento, per essere governato, necessita di una nuova classe dirigente che viene definita knowledge élite o information specialists.

Questo saggio ha innescato un acceso dibattito che ha visto contrapporsi due fronti: gli entusiasti e i pessimisti, ovvero da una parte coloro che credono che la IT sia la soluzione a qualsiasi problema, dall'altra quelli che si aspettano di veder nascere da un momento all'altro una sorta di grande fratello di orwelliana memoria, che dispensa i propri servigi solo a chi può pagarli. Inoltre, alcuni sostengono che la nuova élite prefigurata da Bell è da identificarsi con i bibliotecari, altri che questa categoria di lavoratori continuerà a perdere di importanza fino a scomparire del tutto. Nonostante la notevole distanza esistente fra queste posizioni, esse hanno comunque una base comune. Entrambe ritengono che i cambiamenti prodotti dallo sviluppo tecnologico siano ineluttabili, ovvero che l'individuo li subisca passivamente, senza poter intervenire in alcun modo.

Questo modello ha influenzato profondamente il dibattito fra i bibliotecari negli Stati Uniti anche perché in alcuni scritti, ispirati dallo studio di Bell, si è giunti ad affermare che la società post-industriale sarà anche quella che rinuncerà sia all'uso della carta che alle biblioteche.

Tutta questa parte è però da ritenere una sorta di lunga premessa all'analisi dello sviluppo delle biblioteche. Infatti, dopo aver riflettuto sul modello proposto da Bell per tutta la società americana del futuro, gli autori passano a occuparsi delle biblioteche.

Utilizzare le premesse di Bell e Lancaster significa però accettare aprioristicamente che l'informazione sia una merce e che, come tale, debba sottostare alle leggi del mercato. Già a questo punto, però, anche alcuni bibliotecari americani, sebbene lusingati dall'idea di essere gli information specialists di cui parla Bell, insorgono ricordando che in realtà l'informazione è un bene pubblico e come tale deve essere accessibile a tutti: se questa condizione venisse meno, si metterebbero a rischio le basi stesse della democrazia e del primo emendamento della Costituzione americana.

A mio parere è molto apprezzabile la linea scelta dagli autori per affrontare questo aspetto del problema. Essi infatti rinunciano a qualsiasi tipo di polemica per prediligere invece la ricostruzione storica, in senso strettamente cronologico, delle scelte compiute dalla classe politica americana riguardo alla gestione dell'informazione (national information policy). Purtroppo, questa ricostruzione evidenzia un lento processo di liberalizzazione e di tagli negli investimenti pubblici a favore di una crescente privatizzazione, anche se quest'ultima per ora riguarda solo alcuni servizi. Questo processo è iniziato con l'amministrazione Reagan, ma continua anche con Bill Clinton, in netto contrasto con la tradizione dei democratici americani che aveva invece favorito la costruzione, negli anni Cinquanta e Sessanta, di numerose nuove biblioteche.

Proprio perché gli autori operano in un contesto interdisciplinare, oltre a riconoscere un ruolo politico fondamentale a questo problema, riflettono anche sulle implicazioni riguardanti i diritti d'autore. Se l'informazione è una merce da vendere, si deve anche creare una legislazione che punisca coloro che violano i diritti d'autore, tanto che si comincia a parlare di eliminare il cosiddetto fair use. Inoltre, se invece di offrire un servizio di pubblica utilità, i bibliotecari ora vendono, allora ci si aspetta che vengano pagati di più e meglio (e su questo punto si potrebbe anche concordare senza problemi!), come avviene per tutti i professionisti. Ma allora, proseguendo su questa linea, si dovrebbe anche rivedere il modo in cui viene percepita questa professione, non solo dal pubblico ma anche dal lavoratore stesso. A questo punto vengono considerate persino le possibili discriminazioni sessuali: secondo gli autori si deve infatti rinunciare a un approccio di tipo femminile che, se da una parte, privilegia la disponibilità e tende a evitare i conflitti, dall'altra causa sicuramente una perdita di autorevolezza, che risulta invece indispensabile per poter acquisire uno status professionale riconosciuto.

Come conclusione gli autori ricordano che, sebbene il dibattito riguardante i compiti dei bibliotecari sia certamente ancora in corso e il suo sviluppo futuro non sia, forse, ancora davvero prevedibile, sicuramente è un momento importante per poter ripensare criticamente il proprio ruolo senza rinunciare ai diritti fondamentali, soprattutto nella società post-industriale. Infatti, lo sviluppo tecnologico deve essere considerato un mezzo per raggiungere uno scopo, che in questo caso, senza tema di apparire esagerati, consiste anche nella difesa di un diritto fondamentale come quello all'istruzione e alla formazione.

L'ultimo elemento che si deve mettere in luce a proposito dell'impostazione di questo volume è il ricco apparato bibliografico. A mio parere, esso permette anche al profano di poter avere a disposizione un'ottima base di partenza per affrontare lo spinoso e complesso argomento del futuro delle biblioteche e del legame con la IT, anche se limitatamente agli Stati Uniti d'America.

Simona Albani
Biblioteca dell'Istituto di germanistica, Università di Milano