La valorizzazione del capitale umano: inquadramento, competenze e funzioni dei bibliotecari nelle università

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Giovanni Di Domenico

Abstract

Negli atenei italiani le biblioteche sono chiamate a governare processi organizzativi e di servizio di maggiore complessità rispetto al passato anche recente. Questi processi reclamano nuovi livelli di professionalità e di autonomia, dunque una ridefinizione delle competenze e delle funzioni dei bibliotecari universitari.

L'ultimo Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) del personale tecnico amministrativo può avere (in parte sta già avendo) un impatto notevolissimo sulla crescita e sul destino delle professioni (segnatamente di quella bibliotecaria) all'interno degli atenei. Con questo contratto siamo entrati nel territorio delle competenze gestionali e di comunicazione: si è consapevoli che il sapere tecnico non basta da solo ad assicurare la crescita professionale degli individui e quella delle organizzazioni e che l'ambito applicativo di questi processi non coinvolge soltanto le figure apicali, ma anche tutte le altre. Inoltre, la valorizzazione dei contenuti professionali di più alto profilo non si basa più sul comando gerarchico e sul controllo, ma sulla formazione permanente, sulla partecipazione a progetti di ricerca, sulla responsabilizzazione.

L'attuale cornice contrattuale sembra adatta a ospitare le destinazioni professionali verso cui i bibliotecari universitari italiani si stanno avviando e che rimandano a un fenomeno emergente di più larga portata: la tendenziale trasformazione dei lavoratori della conoscenza da knowledge provider a knowledge integrator, vale a dire da specialisti che conoscono un procedimento e forniscono una risposta a persone capaci di integrare le loro conoscenze con quelle altrui per ottenere risultati originali (Butera). Questo profilo può rappresentare anche le funzioni che i bibliotecari - nelle università in modo marcato - svolgono o aspirano a svolgere, indipendentemente dai livelli di responsabilità e all'interno di diversi processi.
Organizzare servizi bibliotecari nelle università sta assumendo anche nel nostro Paese il significato di attivare ambienti in cui si realizzano facilitazioni per l'accesso alle informazioni, ma in cui contemporaneamente si sviluppano esperienze di elaborazione, condivisione e conversione di conoscenza. Tutto ciò implica la capacità di arricchire e trasformare costantemente il proprio bagaglio professionale con nuovi innesti: è necessario possedere competenze trasversali, competenze che un macrosistema flessibile di politiche del personale può aiutare a valorizzare. La formazione continua deve diventare la colonna portante del sistema professionale negli atenei. Essa è disciplinata dall'art. 45 del CCNL, che stabilisce un esplicito nesso tra crescita del personale e crescita qualitativa dei servizi, ma che lascia in sospeso aspetti rilevanti della programmazione degli interventi formativi. Sono aspetti su cui i coordinamenti bibliotecari di ateneo possono svolgere un ruolo di primo piano e formalmente riconosciuto, reclamando il diritto-dovere di concorrere alla messa a punto delle attività di programmazione e al sostegno di tutte le fasi attuative dei piani di formazione che coinvolgano il personale bibliotecario. Ciò, per giocare d'anticipo sulle carenze di programmazione che spesso si manifestano: genericità dei programmi, sovrapposizione di diversi livelli di intervento (di base, di aggiornamento, avanzati), assenza di contenuti formativi che insistano sulla cultura di progetto e di risultato, sui processi e sui comportamenti organizzativi, sulle capacità di relazione, ecc. Il contratto introduce, al pari di ciò che accade in altri paesi europei, un sistema di quantificazione e di verifica formale dell'apprendimento e di certificazione di qualità dei percorsi formativi (i crediti). Anche qui non mancano questioni meritevoli di immediata attenzione da parte dei bibliotecari: si possono avviare iniziative di coordinamento interateneo, avvalendosi del contributo che può venire dalla stessa commissione università-ricerca dell'AIB e da AIB-Seminari. In particolare, occorerebbe tenere in grande evidenza l'opportunità offerta dal comma 5 dell'art. 45, laddove si parla di corsi organizzati da consorzi interuniversitari, e occorrerebbe approntare un sistema di valutazione qualitativa dell'offerta di formazione per i bibliotecari universitari esistente sul mercato. Premesse del genere comportano la necessità di compiere un lavoro preliminare, quello di classificare in qualche modo le competenze dei bibliotecari. Si tratterebbe di accertare quali competenze individuali occorrono prioritariamente, per poterne fare oggetto di formazione mirata e poterle proficuamente valorizzare dentro le più vaste competenze organizzative dei sistemi bibliotecari di ateneo. Anche queste ultime andrebbero classificate, per stabilire le priorità e investire di più e meglio su ciò che oggi può rendere le biblioteche accademiche un valore, una risorsa strategica. Un tentativo di classificazione delle competenze organizzative dei sistemi bibliotecari di ateneo potrebbe assumere come modello iniziale di riferimento quello, piuttosto noto, di Kochanski e Ruse, necessariamente adattandolo.

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